giovedì 28 febbraio 2008
Arroyo gets security forces backing
|
|
Students, teachers, religious leaders and activists marched through 15 cities on Monday, the 22nd anniversary of the creation of the country's "people power" movement, following a series of corruption scandals involving Arroyo.
A powerful council of bishops is to meet on Tuesday, however, to discuss the political situation.
The Philippine senate has launched an investigation into the case.
Arroyo has warned rivals against any attempts to remove her from power, saying a people's revolt for the third time would hurt the country politically and economically.
Thousands disagreed with her, apparently, with between 4,500 and 6,000 marching on the streets of the capital, Manila, on Monday, and
smaller crowds demonstrating in other cities.
The protests were all held peacefully amid tight security.
Estrada joins chorus
He said people felt that Arroyo had been insulting and fooling them throughout her presidency, and that now they had reached a limit.
"That is why so many different organisations are asking her to resign," added Estrada, a former film actor, who remains hugely popular among the masses despite being convicted of "plunder" in September last year.
http://english.aljazeera.net/NR/exeres/B3F82A7B-9889-4398-B394-BE1A2A4AD141.htm
lunedì 18 febbraio 2008
Jean-Loup Amselle
Jean-Loup Amselle
ayatollah piace il capitalismo
domenica 17 febbraio 2008
Ritorno al «Porcellum»
Camera, senato e italiani all'estero. A ciascuno il suo modello. Tra liste bloccate e candidature plurime, i cittadini non possono scelgliere chi li rappresenta ma solo il simbolo. E così il parlamento è nominato direttamente dai partiti
Matteo Bartocci
Alla fine si voterà con il tanto vituperato «Porcellum», ovvero la legge elettorale varata a maggioranza dal centrodestra alla fine del 2005. Una legge molto discutibile, soprattutto se consideriamo che l'Italia è l'unica democrazia occidentale in cui il primo partito (Fi) ha avuto solo il 23,7% dei voti (camera 2006) e l'unica in cui i due partiti principali (Fi e Ulivo) sfiorano insieme appena il 40% (senato 2006). Quando si parla di partiti «nanetti» è bene fare le proporzioni su questi «pseudo-giganti». Per i cittadini, il «porcellum» è la peggiore legge elettorale possibile. Per i partiti, invece, è una manna dal cielo.
Proviamo a fornire una bussola per orientarsi nel caos politico su alleanze, liste, candidati premier e premi di maggioranza.
Tecnicamente il «porcellum» è una legge proporzionale con il premio di maggioranza, garantisce cioè una governabilità certa almeno alla camera. E' bene ricordare che l'Italia è l'unico paese al mondo a usare il sistema del premio a livello nazionale.
Questa legge elettorale è una somma di tre sistemi di elezione molto diversi tra loro: uno per la camera dei deputati, un altro per il senato della Repubblica e un altro ancora per gli italiani all'estero. Ogni partito, entro il 9 marzo, dovrà depositare il proprio simbolo e programma elettorale dichiarando al ministero dell'Interno il proprio «capo della coalizione» (nomen omen) e l'eventuale alleanza (collegamento) ad altri partiti. Sulla scheda elettorale i simboli di partito coalizzati tra loro sono messi su un'unica riga. L'elettore fa una sola croce sul simbolo prescelto. I voti alla coalizione sono la pura somma dei partiti che ne fanno parte.
La camera dei deputati. Il sistema garantisce alla prima coalizione di partiti a livello nazionale (con l'esclusione della Val d'Aosta e degli italiani all'estero) almeno 340 deputati, cioè il 54% dei seggi (premio di maggioranza del 4%). Tutti gli altri si dividono proporzionalmente i 277 deputati restanti. Va da sè che se il vincente supera il 54% dei voti mantiene i seggi in più. Dei 13 seggi rimanenti uno va alla Val d'Aosta e 12 agli italiani all'estero, che votano con regole proprie. Paradossalmente è una legge più maggioritaria del «Mattarellum»: chi vince anche per un solo voto prende il 54% dei seggi. Nel 2006 l'Unione ha vinto per 24mila voti.
Le soglie di sbarramento. A Montecitorio sono tre gli ostacoli da superare. 1) le coalizioni (es: la Cdl) devono superare il 10% dei voti; 2) le liste singole (es. Pd o Sinistra) devono superare il 4% dei voti; 3) i partiti collegati in coalizione (es: la Lega) devono superare il 2% dei voti. In quest'ultimo caso la legge prevede perfino il ripescaggio del miglior partito sotto il 2% (es: l'Udeur). I seggi in premio vengono distribuiti proporzionalmente nella coalizione vincente.
Il senato della Repubblica. Il sistema è simile a quello della camera ma con un'eccezione decisiva. In ossequio alla Costituzione, il premio di maggioranza (a palazzo Madama del 5% e non del 4%) non è attribuito a livello nazionale ma a chi arriva primo nelle singole regioni. Meglio, in 17 di esse, perché c'è un sistema a parte in Molise, Trentino-Alto Adige e Val d'Aosta. Si tratta in sostanza di una sorta di «lotteria elettorale» basata su 17 premi regionali diversi.
Le soglie di sbarramento. Al senato sono molto più alte: il 20% per le coalizioni; l'8% per i singoli partiti; il 3% per i partiti coalizzati. Ecco spiegato perché almeno al senato la Sinistra arcobaleno non potrà mai presentarsi con i quattro simboli di partito: come coalizione dovrebbe raccogliere il voto di un italiano su cinque.
Gli italiani all'estero. Nel 2006 erano 2.700mila. Devono decidere se votare per corrispondenza o nell'ultimo comune italiano di residenza per eleggere 6 senatori e 12 deputati in quattro zone (Europa, Nord America, Sud America, resto del mondo). I seggi sono distribuiti con un proporzionale puro (quoziente naturale e più alti resti). A differenza che in Italia sono ammesse le preferenze.
Ci sono poi alcune previsioni generali non proprio brillanti.
Le «liste bloccate». I cittadini non scelgono chi li rappresenta ma votano solo il partito che preferiscono. Gli eletti perciò sono predeterminati dall'alto secondo l'ordine di presentazione nelle liste. Il risultato è che i candidati non fanno campagna elettorale nel territorio durante il voto ma prima del voto solo dentro i rispettivi partiti. Le loro capacità di mobilitazione sono irrilevanti: chi finisce in fondo alla lista è come se non esistesse, e chi è in cima anche se non è apprezzato sarà comunque eletto.
La nomina degli scrutatori. Una novità molto sottovalutata del «porcellum» è l'abolizione del sorteggio degli scrutatori. Dal 2006 essi sono nominati direttamente dai sindaci. E a proposito dei vecchi sospetti su brogli elettorali non è una scelta incoraggiante.
Le «candidature plurime». Ad aggravare il quadro, la legge consente a chiunque di candidarsi dappertutto (o alla camera o al senato). Come si ricorderà, Berlusconi o Bertinotti, per fare due esempi, nel 2006 si sono candidati in tutte le circoscrizioni della camera. Va da sé che sono stati eletti dappertutto e, come plurieletti, hanno potuto decidere dopo il voto chi fossero gli eletti al loro posto. Alla camera il 40% dei deputati deve la sua poltrona solo all'opzione finale dei vari leader: 38 deputati ne hanno incoronati quasi 250. Numeri che non cambiano a palazzo Madama: 22 plurieletti hanno scelto più di 50 senatori. Non c'è differenza tra ex Unione ed ex Cdl: entrambi i poli hanno usato questo sistema per oltre 150 parlamentari ciascuno. Con questi numeri, non è esagerato dire come fa Roberto D'Alimonte in un suo saggio recente sulle elezioni 2006 («Proporzionale ma non solo», Il mulino 2007): «Siamo diventati l'unico paese occidentale con un parlamento direttamente nominato dai partiti, prima delle elezioni grazie al meccanismo delle liste bloccate e dopo le elezioni dalle scelte dei leader grazie alle candidature plurime».
Manifesto 10 Febbrio 2008
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Febbraio-2008/art18.html
Il Brasile la conflittualità sindacale
In Brasile la conflittualità sindacale
resta alta, nonostante Lula
Pietro Orsatti
La storia sindacale brasiliana è estremamente complessa, anche perché è maturata in gran parte in clandestinità, durante i vent'anni di dittatura militare dissoltasi solo negli anni '80. E si intreccia, strettamente, con l'attuale scenario politico. L'attuale presidente della repubblica è stato un sindacalista e oppositore del regime militare. Nel 1978 Luiz Inácio "Lula" da Silva fu eletto presidente del sindacato dei lavoratori dell'acciaio di São Bernardo do Campo (una delle principali aree industriali metalmeccaniche dell'intera America latina) e, dopo essere stato imprigionato e aver trascorso un periodo in clandestinità, fondò l'associazione sindacale Central Única dos Trabalhadores (Cut), che oggi è il più grande sindacato dell'intero continente. E se non bastasse, sulla poltrona di ministro del lavoro siede Luis Marinho, per anni segretario nazionale della Cut.
Nonostante sia strettissimo il legame con l'attuale governo, la Cut non ha cercato in questi sei anni di presidenza Lula di avere un rapporto privilegiato e conciliante. Anzi, paradossalmente, la Cut (anche nel periodo della reggenza di Marinho prima del suo passaggio al governo) ha mantenuto una posizione radicalmente autonoma con le autorità governative federali. Certo, alcune iniziative del governo come il progetto Fome zero (fame zero) e quello contro la lotta al Trabalho escravo (contro le nuove forme di schiavitù nel nord del Paese) hanno avuto il totale appoggio e anche un apporto organizzativo capillare dalla Cut e dalle altre organizzazioni sindacali, ma la conflittualità su alcuni temi (salario, riforma agraria, sicurezza sul lavoro, politica dei trasporti, rimessa del debito estero e liberalizzazioni) è rimasta elevata.
Il concetto della "concertazione" è totalmente estraneo alla cultura sindacale brasiliana. Per fare un esempio, basti ricordare l'incredibile sciopero dei lavoratori bancari del 2004, durato due mesi, con un braccio di ferro perso miseramente dal governo che ha accettato tutti i punti delle rivendicazioni su orari e salari e contratti avanzati dalla Cut. Per due mesi l'intero sistema bancario rimase immobilizzato, congelato. Vennero garantite agli utenti solo le operazioni effettuate agli sportelli automatici e solo per somme minime. Soltanto gli sportelli postali (privatizzati) riuscirono a garantire un minimo di copertura delle esigenze di milioni di brasiliani.
Ma forse ancora più clamorosa fu la partecipazione della Cut alla Marcia per la riforma agraria promossa l'anno seguente dal Mst, il movimento dei Sem terra brasiliani che oggi, a tutti gli effetti, si delinea come un'organizzazione di rappresentanza sindacale contadina. Più di 15.000 persone marciarono attraverso il Brasile per 20 giorni fino alla capitale, Brasilia, per chiedere l'applicazione della riforma agraria, che nonostante fosse già regolata da una legge, era rimasta (e in parte lo è ancora) al palo di partenza per mancanza della copertura finanziaria. Anche in questa occasione Lula si vide costretto a cedere alle richieste dei lavoratori.
La saldatura fra Mst e Cut non è solo strategica, ma anche culturale. Entrambe nascono o sono state appoggiate da settori della chiesa che durante gli anni della dittatura fornivano, nei fatti, l'unica forma organizzata di resistenza al regime. In particolare due pastorali, quella operaia e quella della terra, offrirono appoggio e organizzazione a due nascenti organizzazioni laiche che, oggi, rappresentano l'ossatura dei movimenti sociali e sindacali brasiliani. Il modello iniziale è stato quello delle comunità di base della teologia della liberazione che, con gli anni, si è evoluto in strutture che raccolgono milioni di persone.
Anche nell'attuale fase economica brasiliana, con una drastica riduzione del debito, un maggior grado di inclusione sociale e una crescita economica di poco inferiore a quella indiana e cinese, la conflittualità" sindacale non si è "riassorbita". Nel 2007 sono state attuate dalla Cut più di 400 vertenze nazionali e locali (statuali). Di queste sono andate a buon fine circa 300 e una gran parte delle vertenze rimaste aperte sono in via di chiusura nei prossimi mesi. E' chiaro che il peso anche elettorale di questa organizzazione è enorme e perciò riesce a condizionare seriamente la politica, sia sul piano nazionale federale che statuale: quando parliamo della Cut parliamo di un blocco di voti di circa 12 milioni di persone, e per quanto riguarda lo Mst si parla di di poco meno di dieci milioni di voti. Queste due aree dei movimenti sociali sono per Lula non solo controparti conflittuali - entrambe le organizzazioni sono molto critiche verso le politiche di liberalizzazioni selvagge dell'attuale governo -, ma sono anche un bacino elettorale immenso, sul quale si basa gran parte del successo elettorale di questo presidente "operaio" sul serio, che porta addosso ancora i segni della fabbrica - ha perso un dito sotto una pressa - e che continua a voler trattare direttamente con le forze sociali, scavalcando e sovrapponendosi, spesso, ai ministri del proprio governo. Senza però mai confondere piani e ruoli.
03/02/2008
sabato 16 febbraio 2008
Rainews 24
http://www.rainews24.it/ran24/rubriche/incontri/default.asp
Libri
http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/speciali/libri/
venerdì 15 febbraio 2008
Die Linke
Il successo della Linke cambia il panorama politico in Germania | |
Paola Giaculli |
Philippines on alert over protest
Arroyo however appeared unperturbed with the assassination plots and political scandals, spending Valentine's Day singing a duet with Richard Carpenter of "The Carpenters" fame in Manila. Calling on opponents to end their politicking, she said corruption was part of life in the Philippines.
"It is a sad fact that the Philippines has a legacy of political corruption. While that legacy will not be erased overnight, we have made tremendous strides," Arroyo told investors, diplomats and industry leaders on Friday.
"We call on our political leaders of all parties and preferences to look to our future … to ensure stability for the sake of the nation."
A day earlier officials warned of plots to assassinate the president and bomb foreign embassies, a move critics say was intended to derail Friday's demonstrations.
The government, concerned about communist rebels planning to infiltrate the protests, brought armoured army reinforcements and set up checkpoints at key points across the city.
Captain Carlo Ferrer, a military spokesman, said intelligence reports indicated the rebels planned "to create confusion and chaos".
On Wednesday, the rebels vowed to intensify attacks to weaken the government.
Scare tactic
Organisers said the security alert was to stoppeople from attending the rally [AFP]
The assassination plot allegedly involved a sniper ready to attack when an opportunity arises, Hermogenes Esperon, the Philippines military chief of staff, said.
One of the protest organisers, Renato Reyes, scoffed at the allegations as a "very desperate tactic to create an atmosphere of terror" and prevent people from joining the protest.
Esperon denied the move was to scare people, saying that as security forces they have deemed it necessary to "come out in the open about our assessment of the situation".
Speaking to Al Jazeera, Ramon Casiple, executive director for the Institute for Political and Electoral Reform, said the political crisis is all about the government being the custodian of public money.
He said the Philippine economic progress has not been felt on the ground and there is a general perception that there is big-scale corruption within the government.
China link
In a related development, a leading Chinese telecommunications company implicated in the Philippines corruption allegations warned that the scandal could affect bilateral trade.
ZTE Corp allegedly offered huge kickbacks to a former Philippine elections chief and Arroyo's husband if they could clear a national broadband contract for the company.
Both men have denied the accusation, and Arroyo scrapped the deal last year.
Howard Xue, a ZTE spokesman, said the company "cannot allow itself to be dragged into any political circus" and dismissed an appearance at the Philippine senate hearing.
"ZTE has neither done anything wrong, nor has it bribed anyone to get this project," he said, noting that China has overtaken the US as the Philippines' biggest trade partner.
"This episode certainly brings unforeseeable negative influence on bilateral economic cooperation between China and Philippines."
http://english.aljazeera.net/NR/exeres/8935C1FC-090D-47D8-9364-7344C2C25F67.htm
domenica 3 febbraio 2008
Ciad
10/12/2007 10.14 - Una richiesta di organizzare una conferenza di pace per il Ciad è stata avanzata dal principale gruppo ribelle attivo nell’est del Paese, l’Unione delle forze per la democrazia e lo sviluppo (Ufdd), al governo austriaco. Lo riporta oggi la stampa austriaca, precisando che le Ufdd, il primo gruppo ribelle ad aver ripreso la lotta armata due settimane fa e ad averla interrotta negli ultimi giorni, ha scritto al ministro della Difesa austriaco chiedendo all’Europa di giocare un ruolo più ampio nel risolvere l’impasse attuale tra N’djamena e i movimenti armati che il mese scorso avevano sottoscritto un accordo di pace col governo e che, denunciandone la mancata applicazione, sono tornati negli ultimi giorni a riprendere le armi contro il presidente Idriss Deby. “Noi vorremmo dialogare con il presidente Deby ma nessuno è disposto a fare da mediatore”, aveva detto nei giorni scorsi alla MISNA Hassan Boulmaye, portavoce del movimento, aggiungendo: “Secondo noi, i più indicati per la mediazione potrebbero essere gli europei. Invece di precipitarsi ad inviare truppe sul terreno potrebbero piuttosto favorire il dialogo”. Intanto da circa 48 ore non si registrano notizie di nuovi scontri e gli ultimi presunti combattimenti, dato l’isolamento dell’area in cui governo e ribelli si affrontano è estremamente difficile ottenere conferme indipendenti, avrebbero coinvolto formazioni minori e finora sconosciute. Da registrare la defezione di alcune centinaia di ribelli del movimento della Concordia nazionale ciadiana (Cnt) avvenuta nel fine settimana. Secondo fonti vicine alla ribellione un comandante dissidente del movimento, isolato perché troppo “morbido” nei confronti del governo, ha lasciato le proprie basi oltre confine per consegnarsi all’esercito. [MZ]
4/12/2007 ore 12.19 - L’accordo di pace tra governo e gruppi ribelli è “definitivamente sorpassato”. Lo sostengono, dopo giorni di intensi combattimenti nell’est del paese, i ribelli dell’Unione delle forze per la democratizzazione e lo sviluppo (Ufdd), in una nota nella quale il movimento denuncia “l’atteggiamento irresponsabile dell’esecutivo” e il “rinvio alle calende greche dell’attuazione degli accordi di pace”. Secondo fonti militari, sarebbero tra i 200 e il 300 i soldati feriti trasportati questa settimana a N’djamena dagli ospedali di Abeche, principale centro abitato nel Ciad orientale. Gli scontri degli ultimi giorni, intanto, sui quali ribelli e esponenti di governo forniscono versioni contrastanti, si sarebbero concentrati nella zona di Hadjar Marfaine, regione montuosa al confine con i Sudan; nessun bilancio ufficiale è stato fornito dai ribelli, ma fonti militari parlano di centinaia di vittime tra le fila dei miliziani. Riguardo alla situazione sul campo, intanto, sarebbero terminati i combattimenti ripresi all’alba di oggi tra l’esercito regolare e i ribelli del Raggruppamento delle forze per il cambiamento (Rfc), esplosi nella regione di Biltine: i ribelli accusano l’esercito di aver attaccato le proprie postazioni e di aver scatenato violenti combattimenti “conclusisi con l’uccisione di numerosi soldati e la cattura di diversi prigionieri”. Questa mattina, l’ex primo ministro Jean Alingué Bawoyeu ha invitato il presidente Idriss Deby a “riprendere la strada del processo di pace in Ciad”. Esponente del raggruppamento dell’opposizione ‘Coordinamento dei partiti per la difesa della Costituzione’ (Cpdc), Bawoyeu ha sottolineato in un’intervista all’agenzia di stampa panafricana ‘Panapress’ che “gli attori di questa crisi devono incontrarsi e parlare tra di loro, perché la guerra non porterà ad una soluzione”. I combattimenti sono divampati nei giorni scorsi nell’est del paese dopo che le fazioni ribelli, firmatarie il 25 ottobre a Sirte (Libia) di un accordo con il governo, ne avevano dichiarato l’annullamento denunciando il non rispetto dei patti da parte dell’esecutivo. Ufdd e Rfc sono solo due delle numerose formazioni ribelli attive da quasi due anni nell’est del Ciad con lo scopo dichiarato di deporre il presidente Idriss Deby.
www.misna.org