mercoledì 16 settembre 2009

Tutti contro il colonello, ma tutti pronti a fare affari

Sdoganata dalle diplomazie occidentali, oggi la Libia fa shopping in Europa

Simonetta Cossu
Tutti contro il colonnello, ma tutti pronti a firmare affari con Muhammar Gheddafi. La retorica e la doppiezza dei governi europei di fronte al leader libico ha dell'incredibile. C'è chi parla di realpolitik, chi di necessità. Ma l'unica verità è che oggi la Libia è un paese con a disposizione un sacco di soldi e li vuole spendere e chi compra forse è più spegiudicato del venditore. Sospetti terroristi liberati, stragi di innocenti davanti alla propria porta di casa? Non contano. Come non contano i diritti umani, la libertà e l'uguaglianza.
E sono tanti in Italia ad aver fatto affari con il collonello libico. A guidare la pattuglia sono tre big: Eni, Finmeccanica e Enel. L'Eni è in Libia dal 1959 dai tempi di Enrico Mattei. Oggi pompa dai pozzi petroliferi libici più di 250mila barili al giorno, in pratica il 30% di quanto importiamo. Anche il 12%del gas che compriamo arriva dalle stesse sponde da cui partono i barconi della disperazione. Ma chi gongola di più è l'industria bellica italiana che dopo la ratifica del trattato di cooperazione italo-libico potrebbe fare en plein. All'articolo 20 del Trattato si prevede infatti "un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari", nonché lo sviluppo della "collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate", mediante lo scambio di missioni di esperti e l'espletamento di manovre congiunte (anche se è dal 2001 che le marine militari di Italia e Libia effettuano annualmente l'esercitazione "Nauras" nel Canale di Sicilia).
Per non parlare delle opere "compensatorie" dei crimini coloniali italiani in base al quale sono previsti cantieri per 5 miliardi di dollari da realizzare in Libia nei prossimi 20 anni. Il Trattato di cooperazione Italo-libico prevede espressamente che saranno le aziende italiane a realizzare i progetti infrastrutturali.
Intanto il capitale libico fa incetta di pacchetti azionari delle maggiori società italiane. Acquisito il 4,9% di Unicredit, la Central Bank of Libya starebbe per rilevare una quota tra l'1 e il 2% di Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale. I libici starebbero pure per fare ingresso in Impregilo, il colosso delle costruzioni italiane, general contractor per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, del Mose di Venezia e di importanti tratte della TAV ferroviaria. I libici punterebbero ad acquistare circa il 5% del capitale, ottenendo pure un posto nel consiglio d'amministrazione d'Impregilo. In Libia, del resto, il gruppo italiano ha costituito qualche mese fa una joint venture per realizzare tre università nelle città di Misuratah, Tarhunah e Zliten (valore del contratto, 400 milioni di euro).
Ma non è solo l'Italia la nuova preda del colonello. La strategia è semplice: investire per fare soldi e per condizionare quando c'è ne bisogno le scelte economiche e politiche. Un esempio eclatante di questa strategia i recenti casi in Svizzera e Gran Bretagna.
La Sivezzera il 15 luglio 2008 ha arrestato in un albergo di Ginevra il figlio Hannibal Gheddag e la moglie incinta dopo la denuncia di due domestici per maltrattamenti. Due giorni di cella e poi il rilascio su cauzione. I due dipendenti hanno poi ritirato la denuncia e tutto è stato archiviato. Ma non per la Libia. Chiusi gli uffici libici delle multinazionali svizzere, come Nestlè e Abb. Chiusi i rubinetti del petrolio e del gas, mentre due uomini d'affari elvetici sono di fatto ostaggi del regime e non possono lasciare la Libia. E dulcis in fondo ha ritirato dai forzieri delle banche elvetiche 7 miliardi di depositi che ora stanno afflunedo in Italia, Spagna e Gran Bretagna. Per correre ai ripari il presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz si è precipitato a Tripoli e ha chiesto scusa per gli arresti "ingiustificati".
Il caso britannico va oltre. Sono veramente pochi coloro che possano pensare che la Scozia avrebbe potuto mettere in libertà il sospettato terrorista condannato per l'attentato di Lockerbie. La sua libertà è lastricata di contratti e trattati firmati a fine dell'anno scorso tra il governo britannico e libico. Accordi che vanno da quelli fiscali, contratti civili e commerciali e anche di trasferimento di prigionieri. Il fatto che siano stati tutti firmati in contemporanea, fa notare il quotidiano britannico Times significava che erano collegati fra loro. A marzo il ministro della Giustizia Jack Straw scrisse al presidente della commissione per i diritti umani del parlamento e lo sollecitava a ratificare i quattro trattati in contemporanea altrimenti «la «Libia potrebbe mettere in dubbio la nostra volontà a concluderli».
E a proposito di automatismi il giorno prima della libertà di Megrahi la compagnia British Petroleum ha annunciato che era alla ricerca di partner per iniziare le trivellazioni nel bacino di Ghadames, accordo siglato con i libici l'anno precedente per 1 miliardo di sterline. Ma non solo petrolio. E' di ieri l'annuncio che Tripoli si prepara ad investire milioni di sterline nel mercato immobiliare londinese. E questo è solo la punta di un iceberg. Spagna, Francia e Germania hanno tutte sottoscritto accordi bilaterali.
Ironia: il nuovo colonizzatore dell'economia e finanza europea è un ex colonia.

Liberazione 26/08/2009, pag 4

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