venerdì 18 dicembre 2009

«Altro che paura degli immigrati. Esilio e diaspora fondamentali per la cultura»

Amitav Gosh Considerato uno dei più grandi scrittori indiani. Il suo ultimo libro è "Mare di papaveri"

Guido Caldiron
«Nel secondo dopoguerra l'Europa aveva indicato al mondo il modo migliore per affrontare la questione dell'immigrazione, accogliendo un gran numero di persone provenienti da ogni parte del mondo o che si spostavano da un paese europeo all'altro. Oggi dovrebbe tornare a dare un esempio positivo di apertura e integrazione. Ma non mi sembra che sia così. Anzi, si registra un forte aumento dell'intolleranza e anche paesi che hanno una lunga tradizione di accoglienza come l'Olanda e il Belgio stanno facendo rapidamente marcia indietro».
Amitav Ghosh è uno dei maggiori scrittori indiani, uno "scrittore globale" che vive tra Calcutta e New York e racconta trasformazioni e eredità culturali della società asiatica. Quest'anno nel nostro paese sono stati pubblicati due suoi romanzi che raccontano a loro modo storie lontane di temi però attualissimi, come l'immigrazione e il traffico della droga: Lo schiavo del manoscritto (pp. 416, euro 12,50) e Mare di papaveri (pp. 544, euro 18,50), entrambi per Neri Pozza.

Ne "Lo schiavo del manoscritto" lei racconta una storia medievale di viaggi, emigrazione e schiavitù tra l'India e l'Egitto. L'immigrazione è oggi al centro del dibattito europeo, lei sembra dire che si tratta però di un tema generale. In che senso?
Seguendo il dibattito internazionale a volte si ha l'impressione che i fenomeni migratori riguardino soltanto l'Occidente i cui paesi ospitano un numero crescente di immigrati provenienti dai diversi "sud" del mondo. In realtà però le cose sono molto diverse, nel senso che le migrazioni avvengono anche tra Africa e Asia e all'interno di ciascuno di questi continenti. In India ad esempio arrivano ogni anno nuovi immigrati dal Bangladesh, dallo Sri Lanka, dalla Birmania. E si tratta di un fenomeno in continua crescita con cui tutti, in tutte le parti del pianeta, devono abituarsi a convivere. Tra venti o trent'anni questi spostamenti di popolazione saranno ancora più numerosi, anche a causa dei cambiamenti climatici, e costruiranno il nuovo volto dell'umanità su questo pianeta.

In che modo il cambiamento del clima incide sull'aumento dell'immigrazione nel mondo?
I rapidi cambiamenti climatici e i grandi problemi ecologici che attraversano la terra sono sempre più spesso all'origine delle migrazioni, se non sono la loro causa principale. La gente fugge infatti da territori che si stanno rapidamente trasformando in deserti, da zone dove l'innalzamento del livello del mare si sta mangiando la terra. L'immigrazione indica da questo punto di vista il futuro del mondo.

Rispetto alla chiusura e al prevalere di paure e pregiudizi, c'è però anche un altro modo di pensare l'immigrazione: ad esempio da suoi romanzi sembra emergere l'idea che la diaspora e l'esilio rappresentino elementi fondamentali per la cultura. In che modo?
In Europa il concetto di esilio viene spesso associato agli scrittori e più in generale al mondo artistico del XIX secolo. In Asia si pensa a tutto ciò in modo molto diverso: esilio e diaspora fanno parte ancora oggi della vita di tutti i giorni. In India la convivenza tra diverse impostazioni culturali è costante e si arricchisce di stimoli e segnali in movimento frutto delle migrazioni e degli spostamenti di popolazione. Inoltre, nel mondo, c'è uno spazio culturale specifico che si è sviluppato grazie alle forme diasporiche provenienti dall'Asia: si può così parlare di una diaspora cinese, di una dispora indiana e via dicendo. Quindi ciò che oggi sembra fare una gran paura all'Occidente è in realtà una sorta di abitudine per gli asiatici e una fonte inesauribile di stimoli culturali.

Ne il "Mare di papaveri" è descritto lo sviluppo del commercio dell'oppio al tempo dell'Impero coloniale britannico e della Compagnia delle Indie. L'inizio di quel mercato della droga che rappresenta oggi una tra le prime economie del pianeta?
Direi proprio di sì. Nell'Ottocento le responsabilità maggiori per la diffusione dell'oppio furono proprio degli inglesi che traevano enormi introiti dal commercio di questa sostanza. All'epoca l'Impero britannico promosse guerre e azioni militari per difendere, e talvolta anche per promuovere, questi suoi interessi. E questo fino allo scorso secolo. Comportandosi così esattamente al contrario di quanto avevano fatto i cinesi che per secoli avevano invece cercato di limitare il consumo di oppio e di distruggere le coltivazioni del papavero. Così credo si possa affermare tranquillamente che alla base della solidità delle economie degli ex paesi coloniali, l'Inghilterra ma anche la Francia, ci sia stato a un certo punto il commercio su larga scala di questa droga. Il capitalismo è prosperato anche sulla diffusione dell'oppio.

I suoi romanzi si muovono dall'Ottocento a oggi raccontando continuità e trasformazioni della socità indiana. Ma l'India di oggi come le sembra?
L'India è davvero un paese complicato, difficile da spiegare o raccontare in poche battute. E' soprattutto un paese contraddittorio dove convivono elementi tra loro molto diversi. Io stesso vivo gran parte dell'anno a Calcutta, sulla costa orientale dell'India, e il resto del tempo a Goa che sta dall'altra parte del paese. Le due realtà non potrebbero essere più diverse e lontane. In questo senso credo si debba dire che non esiste una sola India, ma molte realtà che convivono nello stesso luogo. Ci sono molte piccole località, sulla costa orientale o all'interno, dove lo Stato non esiste, dove l'economia e le regole della società sono oggetto di trattative quotidiane in un vero caos. Questo sta portando alla regressione di queste zone, proprio mentre si assiste invece nel sud del paese allo sviluppo delle nuove tecnologie e di tutto quello che ne consegue sul piano dell'organizzazione sociale.

E che ruolo continuano a giocare le religioni in questo contesto, si può parlare di secolarizzazione per le nuove generazioni indiane?
In India siamo sempre stati abituati alla convivenza, magari anche problematica o violenta, tra religioni e culture. Quindi nessuno si è mai stupito se accanto aveva una donna che indossa un burqa o un uomo con il turbante, allo stesso modosi è sempre assistito a ogni sorta di rito o cerimonia religiosa. Questa credo sia la grande differenza con la situazione europea, dove in un paese coma la Francia si è arrivati a vietare l'esposizione dei segni religiosi. Quindi direi che in generale gli indiani sono molto più tolleranti rispetto agli occidentali. Altra cosa sono naturalmente i fondamentalisti di tutte le fedi che minacciano la pace e la convivenza. Detto questo, per non eludere la sua domanda sulla secolarizzazione, il vero problema che affronta oggi il paese è quello di difendere la natura laica delle istituzioni da questa minaccia fondamentalista: le regole devono essere uguali per tutti e per tutte le fedi.


Uno scrittore tra Calcutta e New York

Amitav Ghosh è nato a Calcutta nel 1956, ha studiato a Oxford e vive tra la sua città natale e New York. Considerato uno dei più grandi scrittori indiani è autore di Mare di papaveri , Lo schiavo del manoscritto , Il palazzo degli specchi , Circostanze incendiarie , Il paese delle maree , tutti pubblicati nel nostro paese da Neri Pozza.

Liberazione 16/12/2009, pagina 9

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