lunedì 12 luglio 2010

«Cambiamo il sistema non il clima». La sfida per un futuro diverso

Si chiude a Istanbul la sesta edizione del Forum sociale europeo. Con i cambiamenti climatici in primo piano

Monica Di Sisto*
"I giornali possono riempirsi di pagine sulla crisi economica e finanziaria, ma quando ci guardiamo intorno quello che vediamo non sono derivati e mercati finanziari. Vediamo la distruzione delle comunità, del contesto sociale e della natura, delle relazioni tra di noi. Vediamo il capitalismo che ci sta distruggendo. Contro questa devastazione, e i tempi duri che si porta dietro, le persone stanno resistendo, stanno combattendo, stanno cercando di creare quei nuovi mondi che sappiamo sono necessari".
Istanbul, ultimo giorno del Social Forum Europeo prima della chiusura con l'assemblea finale di oggi. Gli oltre duemila delegati che hanno dato vita ai più di 200 seminari di questa sesta edizione si sono ritrovati di nuovo tutti in centro città insieme a tante e tanti che si sono uniti in piazza. Una manifestazione contro la crisi, per chiedere ancora, con più forza, soprattutto all'Europa della politica e delle banche che la crisi la paghi chi l'ha provocata. Ma sono i movimenti per la giustizia sociale e climatica, gli stessi di Copenhagen, di Cochabamba e di Bonn, quelli che in Turchia lottano contro le dighe, si oppongono all'invasione della chimica nella terra e l'impatto dell'industria sull'aria e nell'acqua, tra quelli che hanno fatto in questi giorni di Forum forse il tentativo di convergenza politica più forte. Allo slogan del KlimaForum "Cambiamo il sistema, non il clima", con il documento finale condiviso al termine di tre giorni di seminari molto partecipati e intensi, dal Social Forum Europeo queste reti chiamano tutte e tutti a una stagione di mobilitazioni ma anche di cambiamento individuale e collettivo quotidiano: una "transizione verso una vita buona per tutti".
"Lo abbiamo scritto proprio con queste parole - spiega Tadzio Muller, portavoce di Climate Justice Action arrestato a Copenhagen durante le manifestazioni per la COP 15 - perché lo abbiamo sentito vero e condiviso. Per noi parole come "transizione", o "giustizia climatica" non si esauriscono nell' assumere ‘la giusta posizione' rispetto a ciò che si negozia all'interno dei summit sul clima delle Nazioni Unite. Non si riduce nelle parti per milione di anidride carbonica nell'atmosfera. Si tratta di cambiare davvero: di una vera transizione verso un altro modo di produrre e consumare cibo, beni ed energia in ogni momento della vita quotidiana". Il documento che propongono oggi in assemblea rilancia, come di consueto, un calendario fitto di mobilitazioni: si comincia il 26 agosto, quando a Copenhagen ci sarà il processo contro Tash Verco e Noah Weiss, attivisti di Climate Justice Network arrestati alla COP 15. Per tutta l'estate, poi, campeggi sul clima sorgeranno un po' in tutta Europa. Il 29 settembre si mobilitano i sindacati, mentre tra il 10 e il 17 ottobre le differenti reti si attiveranno, in particolare il 12 ottobre, giornata globale d'azione per la giustizia climatica, e il 16, quando la Via Campesina organizza azioni dirette diffuse contro la Monsanto e i padroni dei brevetti. "Se dal 29 novembre al 10 dicembre si terrà a Cancun il 16esimo summit sui cambiamenti climatici - sottolinea Alexandra Strickner di Attac Austria, tra gli animatori del Climate Justice Network - noi crediamo e chiediamo ai gruppo di creare "mille Cancun", come propone anche la Via Campesina, per protestare contro le false soluzioni che ci stanno proponendo e cambiare strada verso una vera giustizia climatica. E la Turchia stessa che ci ha ospitato in questi giorni è un caso emblematico di come il cambiamento debba essere rapido, complessivo, una vera transizione verso un nuovo modello".
L'ultimo rilevamento condotto proprio dall'UNFCCC sui cambiamenti climatici in questo Paese richiama l'urgenza delle azioni di mitigazione e cambiamento: le temperature estive si fanno torride, quelle invernali polari, le piogge autunnali e primaverili si sono ridotte drasticamente nelle zone dell'Anatolia centrale dove ci sono i due più importanti invasi idrici turchi. "Le simulazioni - si legge nel rapporto - ci dimostrano che le acque di superficie si ridurranno del 20% entro il 2030, creando seri problemi di scarsità d'acqua per tutto il Paese. Un problema potenzialmente esplosivo, con rischi di militarizzazione del territorio e di repressione dei tentativi di gestione comunitaria delle risorse che i movimenti turchi stanno già subendo. "Contro quelli che vogliono separare la lotta per la giustizia sociale da quella ecologica, noi affermiamo che non sono contraddittorie- conclude il documento dei movimenti europei. Devono essere complementari".
*vicepresidente di Fair, www.faircoop.splinder.com

Liberazione 04/07/2010, pag 9

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