Bruno Amoroso economista e presidente del centro studi Federico Caffè
Tonino Bucci
Tutta colpa dell'indebitamento del sistema. Questa è la spiegazione più diffusa della crisi globale. Nel 2008 scoppiò negli Usa la bolla dei mutui subprime, l'apice della spirale consumi-indebitamento privato. Ma la seconda puntata della crisi globale di questi giorni ha fatto venire a galla un altro tipo di indebitamento, quello degli Stati nazionali. Ne parliamo con Bruno Amoroso, docente di economia internazionale e presidente del Centro studi Federico Caffé.
Ma davvero c'è un rapporto automatico tra debito pubblico e calo di investimenti/consumi? Ci sono paesi con deficit pubblici che hanno avuto tassi di crescita straordinari, no?
La crisi economica e sociale attuale è stata scatenata da alcuni gruppi di potere finanziario e militare che, con la copertura delle istituzioni statali e private e la legittimazione di una "cultura" economica e giuridica da loro stessi promossa (il liberismo neo- e no), stanno attuando un colossale furto ai danni di milioni di persone. Il "colpo" è riuscito, rimane finora impunito e si protrae grazie al loro controllo dei mercati finanziari, delle istituzioni internazionali e nazionali di controllo. Parlare di crisi finanziaria è improprio. La finanza sta avendo grande successo, come confermano anche le promozioni e le retribuzioni che vengono date agli artefici di questa grande truffa. E soprattutto si conferma un potere incontrastato: sono i "mercati finanziari" - gli "incappucciati della finanza" come li definiva Federico Caffè - che dettano giorno per giorno le tendenze dei mercati e dell'economia, le scelte e le politiche dei governi e delle stesse opposizioni. Perfino il calendario delle riforme è dettato dalla finanza. La crisi non è scoppiata per l'indebitamento di persone e paesi basato su rapporti reciproci di credito-debito. Quale debito, pubblico o privato? Entrambi possono essere utili o dannosi. Se il debito pubblico è fatto per finanziare guerre e consumi dannosi alla società, o per tenere in piedi istituzioni nocive e improduttive, è ovvio che è un debito sbagliato. Immaginiamo, al contrario, che si favorisse l'indebitamento d'iniziative imprenditoriali, sociali, di formazione gestite da cooperative o da imprese sociali private ma radicate sul territorio e su base comunitaria. Saremmo in presenza di un giusto indebitamento. In grado peraltro di far fronte ai propri impegni perché i benefici sociali da questo prodotti - occupazione, miglioramento delle condizioni sociali e di vita, dell'habitat, ecc. - farebbero aumentare i livelli di produttività sociale.
Obama ha ceduto alle richieste più radicali dei repubblicani, tagli alla spesa sociale e indisponibilità a tassare i redditi alti. Dobbiamo constatare - sulla linea dell'economista Galbraith - il fallimento dell'obamismo, troppo legato all'oligarchia finanziaria e a Wall Street?
Su Obama si sono dette molte sciocchezze. Sin dalla formazione del suo governo e dai primi mesi di gestione era chiaro che si è trattato di un'operazione mediatica per rilanciare l'istituzione presidenziale ma continuare sulle vecchie strade. Galbraith, giustamente citato, ha denunciato puntualmente la composizione dello staff di governo di Obama come continuazione di quella di Bush. La base di Guantanamo è ancora aperta, le guerre continuano e si moltiplicano. La politica neo-coloniale di destabilizzazione avviata da Obama nel mondo arabo per controllarne il futuro è parte di questo scenario. Le grandi riforme sociali come quella della sanità si sono rivelate un bluff. Il debito statunitense è servito anzitutto a finanziare il ruolo di poliziotto mondiale degli Usa, e a foraggiare i gruppi sociali più ricchi del paese, pur mantenendo un minimo di livello sociale necessario alla coesione sociale interna del paese. La discussione oggi negli Stati Uniti non è come ridurre il peso dell'industria militare, che aumenta, e neanche quello di come riappropriarsi delle ricchezze che i gruppi della finanza (qualche migliaio di persone) hanno derubato ai cittadini (non solo negli Usa). I tagli "necessari" riguardano come impedire che i gruppi sociali espropriati, le "prede", possano essere sostenuti nelle loro necessità di reddito e di consumo, lasciando piena protezione ai "predatori". Le proposte dei democratici sulla tassazione dei redditi alti e la redistribuzione dei ricorda molto l'inutile dibattitoitaliano sull'evasione. Sparare alto sapendo di non poter colpire, per non accorgersi dei corvi che ci svolazzano intorno.
L'Islanda ha scelto la via del default. Ha fatto un referendum e ha arrestato i banchieri responsabili della crisi. E' un esempio da seguire?
L'Islanda ha fatto la sua scelta il che dimostra che si può fare. Ma si tratta di un piccolo paese e molto coeso sui temi che lo riguardano. Già la Grecia avrebbe maggiori difficoltà interne a trovare il consenso. Spesso si dimentica che l'integrazione europea nell'Euro riguarda non tutti i paesi dell'Unione: ne sono fuori paesi importanti come la Gran Bretagna, la Danimarca, Svezia, ecc. Cosa è l'Euro e quali sono i paesi che ne risentono negativamente? L'Euro è la valuta dell'area del marco tedesco e sono i paesi dell'Europa del Sud in particolare a risentirne negativamente. L'Euro non ci ha protetto dalle speculazioni, come si era promesso. In più ha tolto la sovranità delle politiche economiche di aggiustare i rapporti di scambio internazionali alle necessità delle nostre economie. Che fare? Riacquistare la sovranità monetaria, non isolatamente, paese per paese, ma creando una moneta unica per i paesi dell'Europa del sud con strutture produttive e problemi simili. Un'unione monetaria che comprendesse Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sarebbe un'area forte, dentro l'Unione Europea accanto alle altre valute esistenti e a queste collegata, fuori dell'Unione per la possibilità di gestire in modo sovrano i rapporti economici e commerciali con le grandi aree in crescita come la Cina e l'Asia in generale.
Liberazione 12/08/2011, pag 5
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