I dati Istat parlano di un Paese vecchio e svogliato, ma il problema rimane il reddito
Chiara Di Domenico
Da giorni i media parlano di disoccupazione giovanile: i dati sono certamente preoccupanti se secondo l'Istat il 58% dei 18-34enni vive in famiglia, ma dimostrano con efficacia un problema di comunicazione tra dati ufficiali e dati reali di un paese in crisi, certo, ma soprattutto vecchio e svogliato davanti alle mutazioni sociali. In questo senso, la fascia dei trentenni italiani è particolarmente interessante e degna di attenzione per come riesce a sfuggire ai ritratti ufficiali. Abbiamo preso a campione Roma, ottimo esempio di crocevia di neolaureati o laureandi in cerca di fortuna nel belpaese. Il campione di testimonianze raccolte risulta particolarmente interessante: include soprattutto giovani di cultura medio-alta e di formazione umanistica. Una fascia particolarmente a rischio sotto la mannaia dei tagli ministeriali: i cosiddetti lavori atipici hanno visto nell'ultimo anno una flessione di 110mila unità rispetto alle 101mila dell'industria.
La futura classe dirigente, si diceva un tempo: è normale che la futura classe dirigente si sposti dalle province alla capitale in cerca di fortuna. Si tratta non solo di sud, ma anche di centro e di nord. Per una proporzione spesso inesorabile tra stipendi e affitto, la futura intellighenzia nostrana divide quasi sempre casa con altri fuorisede, quasi sempre in nero. Come in nero sono le occupazioni per pagarsi la vita e gli studi. I più fortunati si muovono con un mezzo privato, quasi sempre uno scooter, mentre la maggior parte se la cava con un abbonamento da trenta euro al mese coi mezzi pubblici. Sarebbe difficile fare altrimenti con compensi che oscillano tra gli 800 e i 1.100 euro e camere singole tra i 400 e i 600 euro. Un monolocale per vivere da soli, con un costo tra i 700 e i 1.000 euro, spesso non viene neanche preso in considerazione. Il tutto, ripetiamo, quasi sempre rigorosamente in nero. È proprio il nero che falsa le statistiche Istat divertendosi a creare il luogo comune e un po' volgare del bamboccione.
Pigneto, quartiere popolato di locali e giovani liberi professionisti: una terrazza profumata e illuminata da luci basse, la tipica festa a colletta in cui è facile imbattersi con la bella stagione: invitata da amici mi ritrovo tra una cinquantina di coetanei: l'immancabile Mac che diffonde la musica, voci passabilmente eccitate, citazionismi colti, gente che dorme sulle poltrone, che balla in salotto, che chiacchiera in gruppetti con bicchieri di birra e gin tonic in mano. Penso ai dati Istat e immagino che non sarebbe male avere la faccia tosta di chiedere a qualcuno come e dove vive. Mi imbatto in Toni, catanese, classe 1980. È curioso anche se un po' diffidente. L'amico che gli sta vicino mi squadra poco convinto, forse pensa che io sia una del fisco o semplicemente un'impicciona. Poi Toni mi dice che se queste cose le scrivo veramente lui è felice di raccontare. Dice che è venuto a Roma per diventare fotografo di moda. Ha fatto una scuola specialistica, e alla fine della scuola ha trovato subito lavoro. Gratis. Neanche lo stage che già di suo spesso è uno sfruttamento, ma un vero e proprio lavoro in uno studio dove faceva regolarmente le sue ore ma senza contratto e senza compenso. Così dopo aver presentato una vertenza, per vivere ha recuperato il mestiere di famiglia e si è messo a fare il cuoco. In nero naturalmente. Fino a poche settimane fa lavorava in due ristoranti cercando di continuare a fare il fotografo. Con i suoi due stipendi paga una stanza, sempre in nero, a Tor Pignattara: 450 euro più le spese. Adesso fa il cuoco in un solo ristorante, e aspetta di sapere come andrà un colloquio che, si augura, lo porterà a Parigi. Scrivo velocemente la sua storia sul taccuino e lo perdo di vista in mezzo agli altri, finita la serata non lo vedo più.
Domenico invece viene da Acqua Formosa, in provincia di Cosenza. Ha 29 anni. Lo dice quasi vergognandosi, perché studia ancora. "Per forza, come faccio se devo lavorare?" è a Roma da tre anni per prendere la laurea specialistica in storia e scienze dello spettacolo, il vecchio Dams. Vorrebbe fare il regista. Per camparsi ha fatto un po' di tutto: falegname, cameriere, meccanico, tutto sempre in nero. Lo raggiungo al telefono tramite un amico in comune ed è un fiume in piena. Mi racconta di quando si è presentato a una pizzeria al taglio a Campo de' Fiori sotto le feste natalizie: 800 euro senza nessun contratto, nessun giorno di riposo. Nessun contributo né copertura sanitaria e assicurativa. Le ore? Come sale e pepe, quanto basta: comunque di sicuro non meno di otto. "Secondo loro dovevo servire la pizza, pulire bagni e pavimenti, conoscere correntemente tre lingue per servire i turisti. Ho pensato che pulire i cessi con la lingua proprio non mi andava e mi sono trovato un altro lavoro. Quando ti presenti a volte hai quasi paura di chiedere i soldi, quasi a vergognarsi, chissà perché. Così ti ritrovi a lavorare in nero con più ore e pagato meno che se fossi in regola. Al nord di solito è il contrario: proprio perché non ti pagano le tasse ti pagano di più, invece qui lavori di più e ti pagano di meno. Ho cambiato casa sette volte in tre anni e non ho mai avuto un contratto: i primi tre mesi sono stato ospitato da un amico. Poi ho sempre lavorato in modo da non chiedere niente a casa e da non dover dividere la stanza con un'altra persona come se fossi una matricola". Anche nel caso di Domenico il canone di una stanza si aggira intorno ai 400 euro più spese. Mi spiega che spesso sono gli stessi padroni di casa che si rifiutano di farti un contratto, perché gli costa troppo in tasse e sarebbero costretti a farti pagare di più. Un po' come quando vai dal dentista e se non chiedi la fattura ti fanno lo sconto. In questo modo, però, è molto difficile prendere la residenza. E agli occhi dello stato (e dell'Istat) anche chi vive fuori casa da dieci anni risulta abitare con mamma e papà.
Anche Anna, nata a Roma nel 1974, si rifiuta di fare il contratto ai suoi inquilini: lei la casa l'ha comprata ai tempi della lira, quando vinse il concorso come dottore di ricerca e posto con borsa. "E' stato l'unico aiuto che ho chiesto ai miei. Poi quando la borsa di studio è finita, è rimasto il mutuo e mi sono venduta pure le catenine. Però non volevo tornare a casa dai miei. Ho deciso così di affittare l' appartamento trasferendomi a casa del mio ragazzo. Pago un mutuo di 600 euro al mese, lo affitto a 800. Se ci pagassi le tasse non avrei i soldi manco per l'autobus. Ciò non toglie che se dopo sette anni di ricerca precaria potessi finalmente vincere il concorso e avere uno stipendio sarei felice e orgogliosa di pagare le tasse. Ma se lo stato non le paga a me io come le pago allo stato? È un crimine voler campare di quello che si è studiato?". Anche decidere di non essere bamboccioni ha un prezzo.
Liberazione 04/06/2010, pag 6
Chiara Di Domenico
Da giorni i media parlano di disoccupazione giovanile: i dati sono certamente preoccupanti se secondo l'Istat il 58% dei 18-34enni vive in famiglia, ma dimostrano con efficacia un problema di comunicazione tra dati ufficiali e dati reali di un paese in crisi, certo, ma soprattutto vecchio e svogliato davanti alle mutazioni sociali. In questo senso, la fascia dei trentenni italiani è particolarmente interessante e degna di attenzione per come riesce a sfuggire ai ritratti ufficiali. Abbiamo preso a campione Roma, ottimo esempio di crocevia di neolaureati o laureandi in cerca di fortuna nel belpaese. Il campione di testimonianze raccolte risulta particolarmente interessante: include soprattutto giovani di cultura medio-alta e di formazione umanistica. Una fascia particolarmente a rischio sotto la mannaia dei tagli ministeriali: i cosiddetti lavori atipici hanno visto nell'ultimo anno una flessione di 110mila unità rispetto alle 101mila dell'industria.
La futura classe dirigente, si diceva un tempo: è normale che la futura classe dirigente si sposti dalle province alla capitale in cerca di fortuna. Si tratta non solo di sud, ma anche di centro e di nord. Per una proporzione spesso inesorabile tra stipendi e affitto, la futura intellighenzia nostrana divide quasi sempre casa con altri fuorisede, quasi sempre in nero. Come in nero sono le occupazioni per pagarsi la vita e gli studi. I più fortunati si muovono con un mezzo privato, quasi sempre uno scooter, mentre la maggior parte se la cava con un abbonamento da trenta euro al mese coi mezzi pubblici. Sarebbe difficile fare altrimenti con compensi che oscillano tra gli 800 e i 1.100 euro e camere singole tra i 400 e i 600 euro. Un monolocale per vivere da soli, con un costo tra i 700 e i 1.000 euro, spesso non viene neanche preso in considerazione. Il tutto, ripetiamo, quasi sempre rigorosamente in nero. È proprio il nero che falsa le statistiche Istat divertendosi a creare il luogo comune e un po' volgare del bamboccione.
Pigneto, quartiere popolato di locali e giovani liberi professionisti: una terrazza profumata e illuminata da luci basse, la tipica festa a colletta in cui è facile imbattersi con la bella stagione: invitata da amici mi ritrovo tra una cinquantina di coetanei: l'immancabile Mac che diffonde la musica, voci passabilmente eccitate, citazionismi colti, gente che dorme sulle poltrone, che balla in salotto, che chiacchiera in gruppetti con bicchieri di birra e gin tonic in mano. Penso ai dati Istat e immagino che non sarebbe male avere la faccia tosta di chiedere a qualcuno come e dove vive. Mi imbatto in Toni, catanese, classe 1980. È curioso anche se un po' diffidente. L'amico che gli sta vicino mi squadra poco convinto, forse pensa che io sia una del fisco o semplicemente un'impicciona. Poi Toni mi dice che se queste cose le scrivo veramente lui è felice di raccontare. Dice che è venuto a Roma per diventare fotografo di moda. Ha fatto una scuola specialistica, e alla fine della scuola ha trovato subito lavoro. Gratis. Neanche lo stage che già di suo spesso è uno sfruttamento, ma un vero e proprio lavoro in uno studio dove faceva regolarmente le sue ore ma senza contratto e senza compenso. Così dopo aver presentato una vertenza, per vivere ha recuperato il mestiere di famiglia e si è messo a fare il cuoco. In nero naturalmente. Fino a poche settimane fa lavorava in due ristoranti cercando di continuare a fare il fotografo. Con i suoi due stipendi paga una stanza, sempre in nero, a Tor Pignattara: 450 euro più le spese. Adesso fa il cuoco in un solo ristorante, e aspetta di sapere come andrà un colloquio che, si augura, lo porterà a Parigi. Scrivo velocemente la sua storia sul taccuino e lo perdo di vista in mezzo agli altri, finita la serata non lo vedo più.
Domenico invece viene da Acqua Formosa, in provincia di Cosenza. Ha 29 anni. Lo dice quasi vergognandosi, perché studia ancora. "Per forza, come faccio se devo lavorare?" è a Roma da tre anni per prendere la laurea specialistica in storia e scienze dello spettacolo, il vecchio Dams. Vorrebbe fare il regista. Per camparsi ha fatto un po' di tutto: falegname, cameriere, meccanico, tutto sempre in nero. Lo raggiungo al telefono tramite un amico in comune ed è un fiume in piena. Mi racconta di quando si è presentato a una pizzeria al taglio a Campo de' Fiori sotto le feste natalizie: 800 euro senza nessun contratto, nessun giorno di riposo. Nessun contributo né copertura sanitaria e assicurativa. Le ore? Come sale e pepe, quanto basta: comunque di sicuro non meno di otto. "Secondo loro dovevo servire la pizza, pulire bagni e pavimenti, conoscere correntemente tre lingue per servire i turisti. Ho pensato che pulire i cessi con la lingua proprio non mi andava e mi sono trovato un altro lavoro. Quando ti presenti a volte hai quasi paura di chiedere i soldi, quasi a vergognarsi, chissà perché. Così ti ritrovi a lavorare in nero con più ore e pagato meno che se fossi in regola. Al nord di solito è il contrario: proprio perché non ti pagano le tasse ti pagano di più, invece qui lavori di più e ti pagano di meno. Ho cambiato casa sette volte in tre anni e non ho mai avuto un contratto: i primi tre mesi sono stato ospitato da un amico. Poi ho sempre lavorato in modo da non chiedere niente a casa e da non dover dividere la stanza con un'altra persona come se fossi una matricola". Anche nel caso di Domenico il canone di una stanza si aggira intorno ai 400 euro più spese. Mi spiega che spesso sono gli stessi padroni di casa che si rifiutano di farti un contratto, perché gli costa troppo in tasse e sarebbero costretti a farti pagare di più. Un po' come quando vai dal dentista e se non chiedi la fattura ti fanno lo sconto. In questo modo, però, è molto difficile prendere la residenza. E agli occhi dello stato (e dell'Istat) anche chi vive fuori casa da dieci anni risulta abitare con mamma e papà.
Anche Anna, nata a Roma nel 1974, si rifiuta di fare il contratto ai suoi inquilini: lei la casa l'ha comprata ai tempi della lira, quando vinse il concorso come dottore di ricerca e posto con borsa. "E' stato l'unico aiuto che ho chiesto ai miei. Poi quando la borsa di studio è finita, è rimasto il mutuo e mi sono venduta pure le catenine. Però non volevo tornare a casa dai miei. Ho deciso così di affittare l' appartamento trasferendomi a casa del mio ragazzo. Pago un mutuo di 600 euro al mese, lo affitto a 800. Se ci pagassi le tasse non avrei i soldi manco per l'autobus. Ciò non toglie che se dopo sette anni di ricerca precaria potessi finalmente vincere il concorso e avere uno stipendio sarei felice e orgogliosa di pagare le tasse. Ma se lo stato non le paga a me io come le pago allo stato? È un crimine voler campare di quello che si è studiato?". Anche decidere di non essere bamboccioni ha un prezzo.
Liberazione 04/06/2010, pag 6
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