lunedì 12 luglio 2010

L'Afghanistan è una miniera d'oro. Sottosuolo ricchissimo

La scoperta dei geologi del Pentagono: litio, ferro, rame e altri minerali. Un'ancora di salvezza o un pericolo per il Paese?

Matteo Alviti
Rame, ferro, oro, litio, niobio e tanto altro. L'Afghanistan, martoriato da trenta anni di guerre civili e invasioni militari, potrebbe diventare uno dei paesi esportatori di materie prime più ricchi al mondo. Geologi statunitensi, dopo anni di lavoro silenzioso, hanno stabilito recentemente che nel sottosuolo afghano, sparso su tutto il territorio nazionale, si nasconderebbero enormi riserve minerarie, per un valore stimato in mille miliardi di dollari.
Ne ha dato notizia ieri il New York Times, rivelando un lavoro minuzioso di esplorazione del territorio gestito negli anni scorsi dal Pentagono. «Si tratta di un potenziale sorprendente», ha commentato il generale David H. Petraeus, a capo del Comando centrale Usa per il Medio Oriente. Una notizia che, in un modo o nell'altro, certamente stravolgerà il futuro di quella nazione.
L'intera storia delle esplorazioni è molto interessante. Una piccola squadra di geologi inviata in Afghanistan per la ricostruzione, nel 2004, si era imbattuta in una cartografia del sottosuolo afghano piuttosto dettagliata, prodotta dai russi durante l'occupazione sovietica. I documenti, conservati in segreto da alcuni geologi afghani durante gli anni di governo dei taliban, rivelavano parte delle enormi ricchezze minerarie. Da quelle cartine nel 2006 i geologi del Pentagono, per conto della taskforce incaricata dello sviluppo del business afghano, hanno avviato un monitoraggio del territorio, completato solo nel 2009.
Sotto l'arido terreno afghano si nascondono enormi riserve di rame e ferro, che potrebbero rendere Kabul leader mondiale dell'estrazione di quei minerali. Solo il mese scorso, poi, i geologi Usa hanno scoperto una riserva di litio nella provincia di Ghazni in grado di competere con quella boliviana, finora la più grande al mondo. Secondo un documento del Pentagono l'Afghanistan potrebbe diventare «l'Arabia Saudita del litio».
Il litio è una componente fondamentale per la costruzione delle batterie di computer portatili e cellulari. Ma non solo. Seppur non ancora sviluppata, men che meno negli Usa, in un futuro sempre più prossimo l'industria automobilistica avrà bisogno di grandi quantità di litio per la produzione di batterie per le auto elettriche. In Europa, e soprattutto in Germania, si sta già lavorando alacremente per garantirsi adeguate riserve del prezioso materiale. La recente scoperta statunitense potrebbe dunque avere conseguenze importanti per gli equilibri nella "coalizione di volenterosi" dell'Isaf.
L'enorme riserva mineraria stimata potrebbe rivelarsi una manna, come, più probabilmente, una maledizione per l'Afghanistan. La storia dei paesi poveri ma ricchi di materie prime, con un sistema politico debole, corrotto, e condizionato dagli interessi delle potenze economiche mondiali è troppo ricca di esempi negativi per far ben sperare. In un contesto bellico già difficile per i militari Isaf, ci sono diversi elementi che complicano la gestione delle ricchezze. Il primo, non il più importante, riguarda l'inesperienza afghana nel campo dell'industria mineraria, estrattiva e di trasformazione. Serviranno capitali per investire nella costruzione di industrie e infrastrutture. Capitali che arriveranno dall'estero - considerato che oggi l'Afghanistan può contare su un pil di soli 12 miliardi di dollari -, con tutto il loro carico di condizionamenti. Il secondo elemento di difficoltà riguarda l'alto livello di corruzione che affligge il paese, diventato intollerabile anche per gli alleati di Washington.
Inoltre, le ricchezze scoperte faranno certamente crescere l'interesse della Cina per l'Afghanistan, aprendo una lotta regionale per il controllo delle risorse con gli Usa - e, perché no, con la Russia - che sarà combattuta con tutte le armi, lecite e non. Solo l'anno scorso, scrive il Nyt, il ministero afghano per l'industria mineraria è stato accusato dagli Usa di aver assegnato a Pechino un appalto per l'estrazione del rame in cambio di una tangente da 30 milioni di euro. E' molto probabile poi che i taliban, sapendo delle ricchezze, combattano ancora più alacremente la guerra per il controllo del territorio. E che la gestione dei giacimenti complichi i già difficili rapporti tra il debole governo Karzai a Kabul e i governi regionali. Attualmente manca una legislazione adeguata al controllo della situazione - quella che c'è è stata scritta con l'aiuto della Banca mondiale.
Ma a parte tutte queste complicazioni - e quella nemmeno considerata della protezione ambientale -, è la filosofia che finora ha ispirato il rapporto tra stati esportatori e importatori di materie prime che va riconsiderata. La storia ha dimostrato come nessun paese abbia mai fatto la sua fortuna con la sola estrazione e la vendita di materie prime - se si escludono gli Emirati arabi, l'Arabia Saudita e pochi altri con il petrolio, la cui economia estrattiva è però destinata al declino. Non è la materia prima da sola a produrre ricchezza duratura, per la popolazione, ma la capacità di trasformarlo in qualcosa d'altro, in un prodotto finito competitivo. Come dimostrano peraltro gli investimenti arabi nell'industria avanzata occidentale. Per evitare di finire come tanti stati africani, l'Afghanistan dovrebbe poter sviluppare negli anni, con il tempo necessario, un'industria nazionale innovativa. Una prospettiva tutto sommato poco realistica, considerate le condizioni attuali in cui versa il paese.

Liberazione 15/06/2010, pag 8

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