giovedì 1 luglio 2010

«Expo & Co. Fanno un deserto e vorrebbero chiamarlo città»

Dal Fastival di Rho la denuncia di urbanisti e architetti: «La partita è tutta interna alla speculazione finanziaria»

Daniele Nalbone
Da una parte un grande evento, l'Expo del 2015, in fase di ridimensionamento. Dall'altra, un'opposizione dal basso che sta costruendo, oltre al vuoto della città vetrina, un immaginario collettivo in grado di disegnare "un'altra Milano". Un immaginario fatto di un elemento che, tanto nel Piano di Governo del Territorio in discussione in queste ore in Consiglio Comunale che nei progetti di Expo, è assente: la partecipazione cittadina. La sensazione che si ha dopo aver seguito i lavori, e gli spettacoli, del primo Festival No Expo, tenutosi da venerdì a domenica negli spazi del centro sociale Fornace di Rho, è quella di una rete di resistenze territoriali in costruzione. Una rete che potrà contare su diversi "specialisti" che saranno la base da cui attivare tutta una serie di lotte locali contro ogni singola speculazione in nome del Grande Evento.
Uno dei momenti più importanti del Festival è stata proprio la tavola rotonda con urbanisti, architetti e intellettuali sul Pgt e su Expo. Gli urbanisti Edoardo Salzano, in videoconferenza da Venezia, e Sergio Brenna, l'imprenditore-intellettuale Luca Beltrami Gadola e il sociologo, esperto di sistemi urbani, Salvatore Palidda hanno così delineato quale Milano i cittadini si troveranno a dover vivere nel 2016: un «deserto sociale», come lo hanno definito dal Comitato No Expo, «che vorrebbero chiamare città». «L'unica grande opera già costruita in nome di Expo 2015 - ha spiegato l'urbanista Sergio Brenna - è il principio di "finanziarizzazione" del territorio». Un esempio per tutti, «i terreni che ospiteranno il Grande Evento, acquistati da Fondazione Fiera per 15 milioni e che saranno venduti a 200. Se poi queste aree diventeranno edificabili, avranno un valore di 6-700 milioni: l'affare del secolo».
Un affare in cui tutti vorrebbero entrare. «A noi non deve interessare chi avrà la fortuna di portare a termine questa enorme speculazione, se Soge (Società Gestione Expo2015, ndr), Fondazione Fiera o la nuova società composta da Regione, Provincia e Comune - ha spiegato Brenna - Il vero problema è che chi, un giorno, andrà a vivere in quelle zone diventate edificabili si troverà ad abitare in un luogo inadatto a scopi residenziali, chiuso tra grandi infrastrutture, lontano dal cuore di una città in via di estinzione». Per questo l'obiettivo, oggi, è quello non solo di impedire queste speculazioni, «ma far si che il "mostro Expo" diventi, realmente, un'occasione».
Come? «Usando quei terreni, dopo i sei mesi della kermesse, per consolidare un nuovo modello di direzionalità pubblica, e non per la speculazione privata». Una sfida quasi impossibile, soprattutto in considerazione del fatto che ad investire una montagna di soldi sulle aree (dal 2016) da edificare, non sono gli immobiliaristi ma banche e finanziarie: «Expo 2015 si sta rivelando un'enorme scommessa speculativa a lungo termine - spiega Brenna - dalla quale, sicuramente, uscirà sconfitto il territorio». Un esempio sono i terreni della vecchia Fiera, venduti al doppio del prezzo corrente per le aree edificabili: 1800 euro a fronte di un valore di 900-1000 euro.
«Questo spiega esattamente come la partita che si sta giocando è tutta interna alla speculazione finanziaria. Gli operatori stanno investendo convinti che, fra 25-30 anni, i prezzi per le aree edificabili saranno più che raddoppiati». Questa è, anche per Edoardo Salzano, la vera essenza di Expo 2015: «Partendo dal presupposto della morte della pianificazione, Expo si sta mostrando un chiaro esempio, da una parte, di speculazione. Dall'altra, di pulizia sociale: le aree che saranno messe in vendita dovranno per forza di cose risultare "perfette", pulite, ordinate, senza "sporcizia umana"».
Di questo ne è convinto anche Salvatore Palidda che vede nell'Expo un laboratorio di politiche securitarie, pulizia sociale e tolleranza zero. «È questo l'iter - spiega - delle città oggi alla rincorsa del Grande Evento per poter attuare quelle trasformazioni urbanistiche che, altrimenti, non potrebbero aver luogo». Da Genova capitale della cultura nel 2004 al Forum delle Culture di Napoli del 2013. Dall'Expo milanese del 2015 alla corsa di Roma per conquistare le Olimpiadi del 2020. «Grandi eventi per mettere in piedi mega speculazioni immobiliari e finanziarie. È questa la logica della massimizzazione dei profitti hic et nunc». Una logica che sta sancendo, però, la fine di ogni pianificazione. «Oggi - spiega Palidda - siamo all'opposto della "distruzione creativa" teorizzata da Schumpeter. Siamo alla distruzione, punto e basta. Distruzione che è il presupposto per un'evoluzione ulteriormente negativa di quello che, per anni, abbiamo chiamato "gentryfication" e che oggi andrebbe ribattezzato con un altro concetto: darwinismo sociale violento. In fondo, gli sgomberi dei rom, e il business che ne consegue, tanto a Milano quanto a Roma, è questo. Perseguitare gli ultimi, ridurre all'angolo l'umanità "di scarto". Recuperare territori per le speculazioni edilizie. Costruire e poi, come accaduto, ad esempio, dopo l'Expo di Siviglia o il Forum delle Culture di Barcellona, lasciare il deserto».
Da questi interventi "illustri" si capisce qual è stato il senso finale del Festival No Expo. Mettere insieme saperi per delineare un'altra città, partendo da battaglie in difesa dei beni comuni e da progetti partecipati. Sulla falsariga di Schumpeter, distruggere in modo creativo per ricostruire. In fondo, come ha spiegato Luca Beltrami Gadola, «la politica milanese, come quella nazionale, sta usando la logica dell'ostia del farmacista: fare un pacchettino insapore di una serie di decisioni-medicine dal sapore inaccettabile per far si che la cittadinanza le possa ingoiare senza problemi. Expo è la ciliegina su una torta immangiabile. Ma di Expo, in questa Expo, non c'è niente: per questo, la prima cosa da fare, sarebbe cambiarle nome in Occasione 2015». E allora, per costruire un'opposizione forte a questa "Occasione", dal Festival No Expo è nata una fitta rete di realtà territoriali che, in vista dell'edizione 2011 del Festival, si adopereranno per intercettare i bisogni reali della cittadinanza direttamente nei luoghi dove nasce il conflitto. «Luoghi che non si esauriscono negli ambiti lavorativi in senso stretto - spiegano dal neonato gruppo di lavoro de lamappa.org - ma che attraversano tutta la comunità locale». Sarà questo il luogo, fisico e mediatico al tempo stesso, in cui si localizzeranno le reti di precari, gli appartamenti sfitti, i cantieri delle grandi opere, le strutture dismesse, i grandi alberghi, i centri commerciali, gli ecomostri, le discariche, gli inceneritori, le centrali inquinanti, le autostrade, i tunnel, l'alta velocità. «Perché è questo l'elenco che compone Expo 2015».

Liberazione 01/06/2010. pag 7

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