venerdì 5 agosto 2011

«Perdetevi con me nel magnifico caos della città di Manila»

Miguel Syjuco Scrittore e giornalista filippino, autore di "Ilustrado" un romanzo che ricostruisce l'intera storia del paese

Guido Caldiron
Per indagare sulla scomparsa di Crispin Salvador, uno scrittore filippino il cui corpo è stato ripescato dalle acque del fiume Hudson a New York, il giovane Miguel parte per Manila, deciso a capire il perché di quella morte. L'esito delle sue ricerche lo condurrà molto lontano, fino a ricostruire l'intera storia degli ultimi centocinquant'anni delle Filippine, passate dalla colonizzazione spagnola a quella americana, dall'occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale alla lunga dittatura di Marcos. Alla fine il giovane si renderà conto che la lotta per la libertà, cui lo scrittore morto e lui stesso hanno dedicato la loro vita, non potrà che dirsi vinta solo quando tutti saranno capaci di rinunciare ai propri privilegi.
Con il suo romanzo d'esordio, Ilustrado, pubblicato nel nostro paese da Fazi (pp. 469, euro 19,50), Miguel Syjuco ha costruito un duro atto d'accusa nei confronti del proprio paese, ma anche verso le sue stesse origini: ad essere presa di mira è infatti la classe sociale degli "ilustradi", vale a dire i discendente dei filippini spagnoli espatriati, l'elite acculturata e illuminata appartenente a famiglie ricche e influenti che non hanno fatto abbastanza per difendere la libertà e la democrazia nel paese.
Nato a Manila nel 1976, ma cresciuto tra il Canada e gli Stati Uniti - ora vive a Montréal - , dove la sua famiglia si trasferì durante la dittatura di Marcos, Miguel Syjuco ha lavorato per il New Yorker, Esquire, Paris Review e l'Independent Weekly. Con Ilustrado ha vinto il Palanca Award, il più prestigioso premio letterario delle Filippine e il Man Asian Literary Prize, mentre il New York Times l'ha inserito tra i 100 migliori libri del 2010.

"Ilustrado" ripercorre l'intera storia delle Filippine, evidenziando luci ed ombre dell'identità nazionale del suo paese. Come stanno le cose?
Nelle Filippine ci sono due modi di concepire l'idea stessa di identità nazionale. Una è quella che tende a concepirla tornando in qualche modo indietro nel tempo, anche al di là del passato coloniale del paese, occupato prima dagli spagnoli e quindi dagli americani, per arrivare a una sorta di "età dell'oro" della tradizione. L'altra, a cui io sono più affezionato, non vuole escludere alcuna parte della nostra storia nazionale, né la consapevolezza che siamo un popolo di emigranti - oggi ci sono oltre undici milioni di filippini sparsi un po' ovunque nel mondo. In questa prospettiva credo si possa parlare di un'identità propriamente filippina solo se la si immagina "meticcia" e in continua evoluzione, qualcosa con cui muovere senza timori verso il futuro e non con cui rifugiarsi in qualche angolo del passato. Allo stesso modo, il definirsi della nostra nazione deve aiutarci oggi a misurarci con il resto del mondo e delle culture.

Sullo sfondo del romanzo si ha la sensazione di avvertire il pulsare costante della città di Manila, quasi ci si trovasse di fronte a un organismo vivente, testimone di tutte le tappe più significative della storia del paese. Qual è il suo rapporto con questa metropoli?
Manila è un posto fantastico, pieno di contraddizioni. Per molti versi la si potrebbe definire una città decadente, per altri è una metropoli decisamente proiettata verso il futuro. E' un posto dove si buttano giù splendide testimonianze del passato per costruire grattacieli e centri direzionali e commerciali, decisamente brutti. Tutto è costruito come se si trattasse di strati progressivi che mantengono celati i loro segreti e i loro piccoli misteri: così all'ombra di edifici moderni si può trovare un mercato di fiori che è vecchio di qualche secolo. E' una città che vede convivere l'Islam e il cristianesimo, l'Estremo oriente e l'Estremo occidente, la Malesia e gli Stati Uniti, gli europei e i cinesi. A suo modo è anche una città estremamente pericolosa, ma forse è proprio questo suo aspetto più sinistro a renderla così eccitante e entusiasmante. Parlo di quella sensazione di piacere e di scombussolamento che si prova proprio in presenza del pericolo. Se dovessi citare un'altra città asiatica che mi emoziona allo stesso livello, anche se in modo completamente diverso, parlerei di Singapore, che è però del tutto antitetica a Manila. A Singapore regna l'ordine, mentre a Manila regna il caos. Credo che solo Mumbay la superi quanto a confusione e rumore. Insomma, non è particolarmente bella, è molto inquinata e trafficata, ma non ricordo di aver visto nulla di altrettanto emozionante. E questo perché Manila, un po' come Montréal la città dove vivo ora, non è mai la stessa, evolve e respira, cambiando di continuo. E' in posti del genere che mi sento davvero bene, perché non puoi mai veramente provare un senso di appartenenza: la città si trasforma ogni giorno un po', sotto i tuoi stessi occhi, quasi tu fossi parte di quella trasformazione.

"Ilustrado" non è un romanzo normale, vi si intersecano diversi piani temporali, diverse biografie e molti elementi, di finzione, "tratti" dalla stampa e dalle tv, come interviste e reportage giornalistici. Come l'ha costruito?
Mi ci sono voluti ben quattro anni per scrivere questo libro. All'inizio ho cercato di scrivere in modo per così dire tradizionale, ma a un certo punto mi sono bloccato, in preda alla disperazione, perché il risultato non mi convinceva affatto. Proprio in quei giorni avevo visto in televisione un documentario sul lavoro di alcune donne filippine che realizzano dei tessuti incrociando decine di fili su cui hanno prima lavorato singolarmente. Ho capito che per scrivere davvero quello che avevo in mente avrei dovuto escogitare qualcosa di simile: sono tornato al computer e ho aperto contemporaneamente dieci documenti word e ho cominciato a mettere in ognuno uno schema narrativo specifico, per raccontare una particolare storia. Poi, pian piano, ho iniziato a intrecciare tutti i miei fili con un ritmo che ho ripreso dalla musica jazz, dove ricorrono temi e schemi, ma sua una base di continue improvvisazioni. Mi sono detto: se funziona per la musica perché non dovrebbe funzionare per scrivere un romanzo. Avevo bisogno di trovare un'unità narrativa a partire da elementi diversi e da una storia corale. Così ho pensato alla percezione della realtà che abbiamo oggi, che è fatta degli sms, della rete, dei giornali, della tv. Allo stesso modo ho preso ogni genere di "segnale" esterno è l'ho introdotto nel libro, rendendo il tutto ancora più ritmato e realistico.


Liberazione 03/07/2011, pag 16

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