venerdì 5 agosto 2011

Quello che manca: una redistribuzione della ricchezza

Il "Manifesto" del Sole24Ore

Rosario Patalano
I nove impegni per la crescita apparsi sul Sole 24 Ore di sabato 16 luglio e presentati come Il Manifesto della politica economica per lo sviluppo, hanno il merito, come ha rivelato lo stesso Capo dello Stato, di aver rilanciato il dibattito su "concrete proposte e opzioni che diano sostanza al discorso talvolta generico sulla necessità di combinare rigore nella finanza pubblica e rilancio dello sviluppo".
In estrema sintesi le proposte concrete del Manifesto del Sole 24 Ore sono incentrate su tre pilastri: 1) riduzione della pressione fiscale sul lavoro, in modo da imprimere una slancio alla competitività dei nostri prodotti e compensare con un aumento delle esportazioni la riduzione di consumi interna proveniente dall'incremento dell'Iva; 2) riduzione della spesa pubblica, colpendo soprattutto i costi della politica, l'inefficienza della macchina amministrativa e gli sprechi della sanità (introduzione rapida dei costi standard) a cui va aggiunto l'innalzamento a 70 anni entro il 2020 dell'età pensionabile; 3) "scossa forte" su privatizzazioni (soprattutto di public utility) e liberalizzazioni (compresa l'abolizione del valore legale del titolo di studio). Intorno a questo nucleo si concentrano poi altre misure, tra le quali è rilevante la proposta di rafforzare l'integrazione e la sicurezza finanziaria europea con l'adozione di Eurobond, emessi allo scopo di sostenere (ed eventualmente disciplinare) i paesi in maggiore difficoltà sul versante dei conti pubblici.
E' molto probabile che nei prossimi giorni le proposte del Manifesto del Sole 24 Ore animeranno il dibattito politico nazionale, reso ormai asfittico da un governo che è palesemente debole e senza più iniziativa. Ed è possibile che intorno a questo Manifesto, per l'autorevole posizione politica e sociale che rappresenta, presto si coaguli il programma del nuovo assetto di alleanze destinato a colmare il vuoto politico lasciato da Berlusconi. L'ispirazione neoliberista del programma del Manifesto del Sole 24 Ore è evidente e sarebbe un grave errore per il centro sinistra esprimere una posizione di sostanziale subalternità a queste proposte al solo scopo di favorire ampie alleanze politiche per chiudere definitivamente la partita con Berlusconi.
Dopo la crisi del 2008, il rilancio dello sviluppo non può più passare attraverso ricette neoliberiste che volutamente ignorano il nodo centrale della distribuzione del reddito. In questo ultimo decennio la diseguaglianza è aumentata considerevolmente. Basterebbe citare l'ultimo dato Istat, diffuso pochi giorni fa, che ci rivela l'esistenza nel nostro paese di 8 milioni e 272 mila persone in condizioni di povertà, pari all'11% della popolazione.
La controffensiva neoliberista degli ultimi due decenni si è basata sulla promessa che il mercato lasciato libero di funzionare avrebbe assicurato maggiore ricchezza per tutti riducendo anche le diseguaglianze. Ma non è andata così, e la verità è sotto gli occhi di tutti. Oggi nessun serio programma di sviluppo può prescindere da strumenti fiscali che riequilibrino la distribuzione del reddito a vantaggio del lavoro e contro le rendite. La proposta della patrimoniale, cioè di un prelievo straordinario sui grandi patrimoni, diventa a questo punto un elemento discriminante per una vera politica economica riformista. Si tratta semplicemente di re-distribuire la ricchezza a vantaggio di chi è oggi a rischio di esclusione sociale. Interessanti progetti in questa direzione sono stati proposti negli ultimi mesi, a cominciare dalle posizioni di Giuliano Amato.
Alla patrimoniale dovrebbe poi seguire una riforma tributaria che sposti definitivamente il carico sulle rendite patrimoniali e finanziarie, riducendo la pressione sui redditi da lavoro dipendente. Il tutto ovviamente accompagnato da una più efficace e severa lotta all'evasione, che è il vero cancro di questo paese. Basterebbe dare un segnale inasprendo le sanzioni e allineando la nostra legislazione a quella degli altri paesi europei.
Anche di fronte al tema delle privatizzazioni una vera politica riformista deve rifiutare ogni subalternità a-critica. In un periodo di crisi come quello attuale è assolutamente fuori luogo proporre il tema della privatizzazione delle public utilities; si andrebbe in una direzione del tutto opposta a quella segnata dalla volontà popolare nei recenti referendum del 12 e 13 giugno. Tenere i servizi di pubblica utilità sotto il controllo pubblico è un altro importante strumento a favore della re-distribuzione: solo la gestione pubblica delle tariffe, infatti, può permettere l'accesso a servizi essenziali alle fasce più deboli della popolazione.
Resta poi un ultimo elemento per il rilancio di una politica riformistica in Italia: la necessità di nuovi strumenti di programmazione economica che ovviamente presuppongono l'intervento pubblico. Non dimentichiamo che lo sviluppo economico italiano è stato caratterizzato dalla gestione pubblica di asset strategici come l'energia, e oggi manca del tutto l'attività di impulso e di indirizzo che solo l'intervento pubblico può dare.
Se i problemi di questo paese si riducono al solito spauracchio del peso del debito pubblico è bene chiarire che una politica di risanamento può essere attuata in democrazia solo in un contesto di crescita. Un ulteriore drastico abbattimento della spesa pubblica, in una fase di stagnazione come quella attuale, ci condurrebbe verso un pericoloso immobilismo, con l'effetto di bloccare ulteriormente ogni prospettiva di crescita e acuire pericolosamente i contrasti sociali. Gli speculatori si avventano, del resto, verso quei paesi che non sanno indicare soluzioni valide per uscire dalla crisi. E noi siamo ancora pericolosamente esposti.


Liberazione 20/07/2011, pag 3

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