venerdì 5 agosto 2011

Strappo dello Zimbabwe: torna lo sporco traffico dei diamati insanguinati

Africa a rischio il Processo di Kimberley che regola la vendita delle pietre

Hélène Buzzetti
I diamanti di guerra (o di sangue come si dice in inglese) hanno iniziato ad attirare l'attenzione verso la fine degli anni 90. Diversi gruppi umanitari avevano dimostrato che le scintillanti pietre che De Beers e soci (la compagnia sudafricana che controlla fino al 70% della produzione mondiale) smerciavano in Occidente come simbolo dell'amore eterno servivano a finanziare le guerre in Angola, Liberia, Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Sierra Leone. I gruppi ribelli di questi paesi si appropriavano dei giacimenti per foraggiare la guerriglia e la destabilizzazione. E' per questo che nel 2003 è nato il processo di Kimberley. Si tratta di un organismo di controllo che mette intorno a un tavolo i 74 paesi implicati nel commercio di diamanti, le compagnie industriali e membri della società civile. Ogni paese è incaricato di controllare l'infiltrazione dei diamanti di guerra nei lotti ufficiali. Ogni lotto deve in tal senso possedere il suo certificato Kimberley. Il sistema funzionava, tanto che il commercio mondiale dei diamanti di sangue è passato dal 15 all'1%. Fino a quando lo Zimbabwe ha fatto saltare il patto. Nel 2006 lo Zimbabawe ha infatti recuperato i diritti di sfruttamento del sito di Marange, un giacimento così abbondante che nei prossimi anni potrebbe rappresentare il 20% dell'estrazione mondiale. Nel 2008 il paese sprofonda in una crisi economica senza precedenti, il tasso d'inflazione schizza all'11.000.000 %. Medici, funzionari e altri lavoratori lasciano il proprio posto e si riversano a migliaia nei campi diamantiferi. Il governo ricorre alla violenza per sloggiare questi minatori "illegali". Nel dicembre 2008 circa duecento civili vengono uccisi in un raid compiuto con due elicotteri da guerra. In seguito a questo massacro, nel 2009 i membri del Processo di Kimberley vietano allo Zimbabwe l'esportazione di diamanti.
Ma dopo due anni di trattative e discussioni, lo scorso 23 giugno i Processo di Kimberley presieduto dalla Rdc ha cambiato rotta: il commercio dei diamanti di Marange viene autorizzato in quanto le violenze sono state compiute da «un governo legittimo e non da un gruppo di ribelli che tentava di ususrpare il potere». Nonostante l'opposizione di alcuni paesi come il canada, gli Stati Uniti e l'Unione europea, il presidente Mathieu Yamba è andato avanti.
Facendo infuriare i membri della società civile africana seduti al tavolo: «Noi rappresentiamo le comunità che hanno subito le violenze alimentate dalla guerra dei diamanti, delle comunità che sperano di poter usufruire delle richezze delle propria terra. Ora non possiamo più guardare la gente negli occhi e dirgli che il Porcesso difende i loro interessi quando in realtà non lo sta più fecendo», si legge in un comunicato del Network Mouvement for justice and developpement, un gruppo della Sierra Leone. Questi gruppi sono essenziali poiché assicurano più degli Stati il controlo del Processo di Kimberley.
Il problema è che ormai nazioni come il sudafrica e l'emirato del Dubai accettano tranquillamente i diamanti dello Zimbabwe, contaminando la catena di approvvigionamento. «E' molto difficile distinguere la provenienza delle pietre che sono mischiate le une con le altre», spiega Alan Martin dell'associazione Afrique Canada, sottolineando che «i paesi africani si stanno dando la zappa sui piedi, perché ora l'Occidente dovrà rifiutare i loro prodotti». Inviato in Zimbabwe per osservare la situazione, Martin ha raccolto diverse prove di come le richezze generate dal commercio di diamanti finiscono essenzialmente nelle tasche delle forze armate a discapito dei cittadini. Secondo lui la decisione del 23 giugno segnerà probabilmente la fine del Processo di Kimberley, il quale non è stato in grado di comprendere l'evoluzione dei conflitti nei paesi diamantiferi. E' necessario a questo punto istituire nuovi meccanismi di controllo più efficaci. Ad esempio gli Usa, con la legge Dodd-Frank obbliga le imprese quotate in borsa a certificare la provenienza dell'oro, del coltan e del wolfram contenuti nei prodotti elettronici. Se questi metalli vengono da paesi sospetti, le imprese devono dimostrare che la loro raccolta non contribuisce a violenze e conflitti. «Questa sarebbe l'arma migliore», conclude Martin.
da "Devoir"


Liberazione 23/07/2011, pag 7

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