Dita mozzate e corpi amputati: le nefandezze del "kill team" del sergente Gibbs
Daniele Zaccaria
«Ammazzatelo, ammazzatelo, dovete ammazzarlo subito», il soldato semplice Winfield e il caporale Morlock esistano appena qualche secondo prima di eseguire l'ordine del sergente maggiore Calvin R. Gibbs. Poi svuotano i caricatori dei loro Ak 47 nella schiena del Mullah Adahdad, dignitario religioso del villaggio di Qualaday, piccolo centro situato nella regione di Kandahar, storica roccaforte del movimento talebano. Poi lo gettano in un fosso. A quel punto il sovraeccitato Gibbs ordina ai suoi di allontanarsi; si cala all'interno del terrapieno, esplode due colpi di pistola contro la testa Adahbad e gli infila in bocca una granata "ananas" di fabbricazione russa che aveva acquistato illegalmente.
Sentendo una forte esplosione Winfield e Morlock tornano sui propri passi e assistono alla seguente scena: Gibbs accovacciato sul corpo dilaniato di Adahdad tira fuori da una tasca un paio di cesoie, di quelle che vengono usate dal personale medico per tagliare le mimetiche dei soldati feriti, e inizia a strappare le dita del religioso ad una ad una. Infine si accanisce sulla dentatura, estraendogli i canini con un coltellaccio e dei guanti chirurgici. Un perfetto intreccio di sadismo e senso pratico, perché la granata, oltre ad offrire al sergente maggiore lo spettacolo impareggiabile di un corpo umano che esplode in mille pezzi, serviva anche a nascondere la prova regina del crimine. D'altra parte Gibbs non è un soldato qualunque: è a capo del terzo plotone, del secondo battaglione, del primo reggimento di fanteria dell'esercito Usa, chiamato affettuosamente dagli amici il "kill team", la squadra della morte. E ama collezionare frammenti di ossa, di denti e di altri resti umani trafugati dai corpi dei nemici assassinati.
L'orrenda esecuzione del mullah risale allo scorso 2 maggio ed è stata raccontata dal fotoreporter "embedded" dell'agenzia Polaris Max Becherer che ha registrato l'audio di alcune conversazioni tra i membri della squadra, girando poi i nastri a Craig Whitlock, giornalista del Washington Post. Il fotoreporter, che ha una lunga esperienza come inviato di guerra, non era presente sul luogo del delitto, ma attraverso le registrazioni è riuscito a ricostruire la vicenda. Dai resoconti emerge tutta la gratuita efferatezza con cui ha agito (e agisce?) il "kill-team". Il plotone era entrato a Qualaday in mattinata, il luogotenente Stefan Moye era incaricato di interrogare gli abitanti del villaggio per raccogliere informazioni sulle milizie talebane. Fino a quel momento era una normale perlustrazione del territorio.
Come racconta Becherer, Adahdad, «era disarmato, si comportava in maniera amichevole, senza alcuna animosità nei nostri confronti». Ma, purtroppo per lui, aveva attirato la curiosità di Gibbs che ha invitato il mullah a seguirlo in un luogo poco distante dalle abitazioni. Il resto è cronaca.
«Il capo sembrava un selvaggio impazzito», si era sfogato a caldo con Becherer il soldato Emmitt Quintal, testimone oculare delle nefandezze del suo superiore. L'uccisione di Adahdad, la ferocia con cui viene squartato, il compiacimento di Gibbs sono insostenibili anche per uno come Quintal, membro fidato della squadra. Che non ha certo denunciato l'accaduto ai suoi superiori, ma almeno ha sentito il bisogno di sfogarsi con qualcuno di esterno al gruppo, un giornalista che conosceva da pochi giorni.
Le autorità militari statunitensi non potevano certo restare con le mani in mano di fronte al racconto pubblicato dal "Post" e hanno avviato un'inchiesta su quanto è accaduto nel villaggio afghano. La squadraccia di Gibbs è stata sciolta, negli armadietti dei soldati gli investigatori hanno ritrovato decine di resti umani e perfino un teschio perfettamente integro; la macabra scoperta non fa che confermare quanto scritto dal quotidiano di Washington e il sofferto racconto di Quintal. Peccato che, come spiega lo stesso Whitckok, «nessuno ha chiamato a testimoniare Becherer, nonostante sia stato il primo a denunciare l'esecuzione e il solo ad aver parlato con i soldati nelle ore che seguirono l'omicidio». Il che lascia pensare a un inchiesta all'acqua di rose, destinata a sgonfiarsi non appena i media abbasseranno i riflettori, come quasi sempre accade quando si tratta di crimini di guerra giudicati da tribunali militari.
Il "kill team" del sergente maggiore Calvin R. Gibbs ricorda gli spietati cacciatori di scalpi di Blood Meridian (Meridiano di Sangue), il capolavoro di Cormack McCharty che raccontava l'antiepopea di una squadraccia di psicopatici che alla metà dell'800 seminava il terrore nella terra senza tetto né legge al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Trasposizione esplicita delle atrocità commesse dai marines nella guerra del Vietnam, delle stragi di civili compiute nei villaggi nel delta del Mekong: cadaveri sfigurati, occhi strappati, collanine-trofeo ornate con i denti dei nemici uccisi, il campionario di orrori descritto crudezza dallo scrittore statunitense, l'atavica violenza dei suoi eroi, sono un viaggio nell'anima nera degli esseri umani e una riflessione sul loro comportamento quando possono agire al di fuori della legge. Che siano banditi dell'antico west o soldati dell'Us army nell'odierno Afghanistan c'è poca differenza.
Liberazione 28/10/2010, pag 2
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