mercoledì 3 agosto 2011

I costi invisibili del nucleare dietro la paura per il quorum

I misteri dell'accordo coi francesi e i trucchi sui numeri dei produttori

Checchino Antonini
Su Roma occupata dall'esercito spunta l'ennesimo striscione di Greenpeace. Succede in piazza del Popolo in nome del Sì al referendum sul nucleare. Uno sprazzo di energia dentro l'inizio che questi referendum potranno produrre se il quorum sarà raggiunto. Ma la battaglia sarà durissima perché gli interessi in gioco - sia nella partita per il ritorno del nucleare, sia sulla privatizzazione dell'acqua - non sono ben visibili a occhio nudo. Ma traspaiono dalle reazioni infastidite, anzi «furiose», di pezzi del governo all'indomani della decisione della Cassazione di ammettere il quesito, aggirando l'aggiramento operato dal dl omnibus. Furioso è il ministro Romani che grida alla «sentenza politica» insinuando che ci sarà un quesito che non esiste più. Furioso, probabilmente, è chi dentro Fli si trova costretto a pronunciare la parola acqua. Come Bocchino che annuncia i suoi No sulle schede sul servizio idrico. Furioso è chi deve riscrivere il futuro. Anzi, dovrà assistere a una riscrittura fatta da altri dopo aver sentenziato, come ilPremier, che il futuro è il nucleare. Perché sull'atomo sarebbero girati un sacco di soldi. «Il problema vero è capire che tipo di accordo ci sia tra Enel e Edf», avverte Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente e portavoce del comitato referendario, coalizione di un'ottantina di sigle. Sebbene l'accordo rintracciabile sulla rete non ne faccia esplicito riferimento, Cogliati Dezza si riferisce alle voci di penali che dovrebbero essere sborsate se le centrali non dovessero essere costruite. C'è un'interrogazione parlamentare che giace senza risposta. Le frottole sul nucleare, oltre alla manipolazione dei dati sui costi e sulla salute (indimenticabile lo showman Cecchi Paone che garantisce che la pasticca di uranio non è radioattiva nel dvd girato da Enel e Edf), prevedono anche il ricatto occupazionale. Confindustria stima l'affare in 30 miliardi di euro di investimenti, di cui il 70% gestito da aziende italiane per 23.600 posti di lavoro, indotto compreso, non meglio specificati. Il giornale di Confindustria, poche settimane orsono, titolava sull'arrivo dei primi posti ma a leggere il pezzo ci si accorgeva che era solo pubblicità per master a pagamento. «Tutto fuorché lavoro», continua il presidente del Cigno verde svelando un'altra "calla" di Enel, «quella per cui col nucleare ci si libererebbe dalla dipendenza energetica dall'estero». Le centrali, infatti, utilizzerebbero brevetti francesi da importare assieme all'uranio per la produzione di un fatto fisico «identico da sessant'anni». «Enel sta partecipando alla costruzione del reattore Epr a Flammanville, in Normandia - spiega Marco Bersani di Attac e del comitato 2Sì per l'acqua pubblica - e l'accordo allude alla costruzione di altri quattro reattori con la stessa tecnologia». I soldi arriverebbero dalle bollette, nelle quali c'è ancora una quota per lo smantellamento delle vecchie centrali ma, puntualizza Bersani, in ballo ci sono finanziamenti indiretti come gli sgravi fiscali, altri benefici e le facilitazioni per il credito. Nessun privato, meno che mai in Italia dove il mercato è dopato dai fondi pubblici, si metterebbe a costruire una centrale nucleare senza la garanzia di mungere l'erario. E chi fa i conti spesso bara. Come la Nea, Nuclear Energy Agency, un ente che ha come unica ragione sociale la promozione dell'energia atomica, che - sempre nell'indimenticabile dvd con Cecchi Paone - spergiura su un costo dell'atomo del 20% in meno rispetto alle centrali più moderne a gas. Un dato smentito dal Congresso Usa (58 euro per il nucleare e 44,6 euro per il gas), dalla Commissione Europea (63 a 55), dalla Camera dei Lord (69 a 60), dal Mit (64,6 a 50). La stima di Nea è di 60,5 euro per MWh per il nucleare e 73 euro per il gas senza calcolare il costo per la dismissione della centrale e la sua conservazione e per alcuni millenni di gestione delle scorie ad alta attività.
Intanto, il comitato Vota Sì per fermare il nucleare denuncia segnalazioni di problemi, ostacoli e presunte irregolarità sul voto all'estero e sulla mancanza di chiarezza da parte del Viminale. La Consulta tornerà a pronunciarsi martedì sul merito del quesito riformulato. E la politica si prepara al rush finale della campagna: Bersani risponde a Di Pietro, che aveva chiesto una piazza unitaria per il 10 giugno, auspicando una piazza plurale e trasversale.


Liberazione 03/06/2011, pag 2

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