venerdì 19 dicembre 2008

TORNANO LE TIGRI ASIATICHE MA QUESTA VOLTA CAVALCANO L’ASSE DELL’ANTICRISI

di Carlo Benedetti

L’Asia torna alla grande sulla scena mondiale avviando una delle trasformazioni strutturali più significative del sistema internazionale moderno dell’era della rivoluzione industriale. Si muovono all’attacco tre paesi: Giappone con i suoi 127.435.000 abitanti; la Cina che ne conta 1.330.503.000 e la Corea del Sud che tocca i 44.044.790. E tre, di conseguenza, i leader in pista per contrastare la globalizzazione occidentale: il Primo ministro di Tokyo Taro Aso; il leader di Pechino Wen Jintao, primo ministro; i coreani Lee Myung-bak, capo di stato e il Capo di governo Han Seung-soo. Si annuncia - come ritengono molti esperti dell’economia asiatica - un processo geopolitico di trasformazione tecnica e scientifica che potrebbe produrre una frattura radicale nell’ordine mondiale rimettendo in questione gli equilibri internazionali contemporanei. E tutto questo anche in riferimento al fatto che l’Asia orientale, che include le regioni più popolate del mondo – i due terzi dell’umanità -, rappresenta un vasto insieme demografico, estremamente diversificato dal punto di vista economico, culturale e politico.

Si è, in pratica, ad un momento di svolta (a Mosca lo sottolinea il quotidiano economico “Kommersant” ) perché la dinamica di sviluppo e modernizzazione regionale ha fatto emergere in Asia orientale e meridionale, nell’arco di pochi decenni, economie industriali spesso altamente avanzate e tecnologicamente intensive, trasformando zone e paesi considerati marginali in attori chiave dell’economia mondiale, sul piano commerciale e finanziario.

Ed ecco che ora la crisi finanziaria ed economica globale spinge le tre potenze dell'Estremo Oriente[1] - Giappone, Cina e Corea del Sud - a organizzare il loro primo vertice trilaterale, autonomo e non agganciato, come in passato, alle riunioni dell'Asean, l'Associazione delle nazioni dell'Asia del sud-est. Si è quindi alla presenza di un radicale cambiamento di strategia. Perché a Fukuoka, nel Giappone meridionale del sud, il primo ministro nipponico, Taro Aso[2], il premier cinese, Wen Jintao, e il presidente sudcoreano, Lee Myung-bak, si incontrano nel pieno delle forti turbolenze internazionali - amplificate dalla recente bocciatura al Senato statunitense del piano di salvataggio del settore automobilistico - nel tentativo di trovare una risposta coordinata. Tutti e tre, quindi, impegnati nel voltare pagina convinti del fatto che nei grandi processi di crisi e di svolta a contare dovrebbero essere le “culture” economiche e non le ideologie.

Ed ecco, di conseguenza, che sono in molti a ritenere che si è alla soglia di un futuro asse privilegiato Tokyo-Pechino-Seul che, pur se denso di implicazioni, può essere sempre un’arma vincente nell’arena della concorrenza mondiale. E questo risulta anche dal comunicato emesso al termine del summit, dove Giappone, Cina e Corea del Sud concordano sul fatto di aver "avviato una nuova era nella partnership tripartita che produrrà pace e sviluppo sostenibile nella regione". Per questo svilupperanno ancora di più la cooperazione negli anni a venire.

I tre leader ritengono, infatti, che le rispettive economie siano dinamiche, resistenti e strettamente correlate tra loro. "Noi - si legge nella dichiarazione - rimarchiamo le responsabilità per la creazione di un futuro pacifico, prosperoso e sostenibile sia per la regione dell'Estremo Oriente, sia per la comunità internazionale". E in questo contesto Tokyo, Pechino e Seul si avventurano sul terreno della sfida globale nei confronti dei mercati finanziari ed economici. A tale proposito - si afferma nella dichiarazione - “siamo determinati a definire una solida cooperazione di carattere politico, economico, sociale e nei settori culturali sia all'interno dell'attività di governo sia al di fuori".

Nel corso del vertice di Fukuoka i “Tre” hanno poi parlato di quel terreno minato relativo all’opera di denuclearizzazione della penisola coreana (con l'esame sulla questione della Corea del Nord), dell'ambiente, del disarmo e della non proliferazione. E poi della riforma dell'Onu. Una nota positiva - che ha smorzato i toni duri assunti dal dibattito - è però venuta con l'annuncio che la Corea del Sud potrà fare affidamento su un forte ampliamento degli accordi di swap valutario (si tratta di operazioni di riporti in divisa con le quali una banca centrale vende una valuta a un altro istituto di emissione per riacquistarlo a termine ad un prezzo determinato, secondo un definito rapporto di cooperazione) e cioè accordi siglati con Cina e Giappone per stabilizzare il proprio sistema finanziario. Quello di Seul con Pechino, ad esempio, sarà portato a circa trenta miliardi di dollari, includendo anche i quattro miliardi di dollari dell'intesa in corso; l'altro raggiunto con il Giappone, invece, consente alla Corea del Sud di aumentare i fondi disponibili da tre a venti miliardi di dollari. E così sommando i trenta miliardi di dollari messi a disposizione dalla Federal Reserve a fine ottobre, Seul potrà tentare di uscire dalle secche che hanno strozzato il suo sistema finanziario, facendo precipitare la sua moneta ufficiale - il won - ai minimi verso il dollaro, anche se le stime di crescita del 2009 sono state tagliate dalla banca centrale a un misero due per cento, il livello più basso degli ultimi undici anni.

Gli altri Paesi, comunque, non se la passano meglio: il Giappone, con il crollo dell'export, è ufficialmente in recessione, mentre la Cina sarà costretta a fronteggiare pesanti squilibri interni e ad abbandonare il prossimo anno il tasso di crescita a due cifre. Negli Stati Uniti, intanto, dopo il mancato accordo al Senato sul piano di salvataggio dell'industria automobilistica, l'amministrazione Bush ha fatto sapere che prenderà in considerazione l'ipotesi di attingere ai fondi del "Tarp" (Troubled Assets Relief Program), il pacchetto di aiuti da 700 miliardi di dollari approvato dal Congresso in autunno contro la crisi finanziaria.

"In condizioni economiche normali - ha detto la portavoce della Casa Bianca, Dana Perino - preferiremmo che fossero i mercati a determinare le sorti delle aziende private, ma, in considerazione dell'attuale stato dell'economia americana, se necessario considereremo altre opzioni".

Intanto gli osservatori diplomatici fanno riferimento ad un altro “vertice” che si è svolto a Pechino dove si sono riuniti i rappresentanti di Cina, Stati Uniti, Russia, Giappone, Corea del Sud e Corea del Nord. Nel corso della riunione si è compreso chiaramente che gli Stati Uniti dovranno riformulare la loro strategia per indurre Pyongyang a smantellare le centrali nucleari in avanzata fase di costruzione. E tutto questo va messo in relazione al fatto che i segnali di sfida lanciati da Pyongyang a Seul e a Tokyo poco prima dell’apertura degli incontri non hanno lasciato spazio a previsioni positive.

La distensione economica è ancora lontana. Ma l’Asia dei “tre” - con Giappone, Cina e Corea del Sud - si appresta ad avere un ruolo sempre più importante in un’epoca tormentata da conflitti ed incertezze di natura, appunto, geoeconomica[3]. E in tal senso l’obiettivo annunciato al vertice di Fukuoka consiste nel dare il via ad una mutazione fondamentale che influenzi e stravolga la struttura del sistema internazionale. Come si vede le tigri asiatiche[4] stanno lasciando, a poco a poco, i recinti del loro zoo[5].


NOTE

[1] Nell’ultimo quarto di secolo, negli ultimi 25 anni, la quota dell’Asia orientale e meridionale nel Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale, a parità di potere d’acquisto, è quasi triplicata, passando dal 12% circa del PIL mondiale nel 1980 al 34% circa del PIL mondiale di oggi. Nello stesso arco di tempo, anche il PIL mondiale ha pressoché triplicato il suo valore (16.059 miliardi di dollari nel 1973, 33.725 miliardi nel 1998, 44.645 miliardi nel 2005). Supponendo che questa tendenza persista nel tempo (supponendo una crescita lineare) ed escludendo l’ipotesi di shock endogeni (crollo dello Stato cinese) o esogeni (una guerra generale, o una guerra regionale con effetti sufficientemente drammatici e catastrofici da rimettere in discussione queste dinamiche) dalle conseguenze sistemiche, l’Asia nel suo insieme potrebbe rappresentare il 40% del PIL mondiale nel 2020 e più del 50% del PIL mondiale nel 2050. Ed è sottinteso che anche la ricchezza globale sarà raddoppiata entro il 2050.

[2] Sulla scia del Giappone – precursore negli anni Sessanta e Settanta, unico paese non occidentale ad essersi appropriato della rivoluzione industriale già nel XIX secolo – i nuovi paesi industrializzati dell’Asia nord orientale (Corea del Sud e Taiwan) e i paesi emergenti del Sud Est asiatico (Singapore, Tailandia, Malesia, Indonesia, ecc.) sono riusciti ad uscire dal "terzo mondo" e, in meno di due generazioni, sono stati raggiunti o stanno per essere raggiunti, successivamente, dalla Cina e dall’India. La Cina e l’India – spazi continentali, immensi spazi demografici – conoscono a loro volta, rispettivamente dagli anni Ottanta e Novanta, una dinamica d’espansione e modernizzazione eccezionale per intensità e durata nel tempo.

[3] Tra gli effetti della mutazione asiatica sull’economia internazionale conviene citare la ristrutturazione della divisione internazionale del lavoro; la nuova distribuzione territoriale globale dei fattori di produzione, delle manifatture e dei servizi; la deflazione mondiale dei prezzi dei prodotti manifatturieri (su una gamma sempre più vasta di prodotti, che si estende dal tessile agli elettrodomestici ed alla telefonia); la riorganizzazione e la ristrutturazione del capitalismo mondiale – la cosiddetta "globalizzazione". Inoltre, l’ascesa dell’Asia comporta la deindustrializzazione parziale o totale, in Occidente, di settori produttivi come il tessile; un impatto non trascurabile e spesso deleterio sugli equilibri tra capitale e lavoro, a detrimento del lavoro, nei paesi occidentali avanzati; un’alterazione globale dei prezzi delle materie prime, in particolare degli idrocarburi e soprattutto del petrolio; asimmetrie finanziarie internazionali sempre più marcate (il deficit americano, il surplus cinese).

[4] Se si decompone il quadro generale dell’insieme asiatico in termini di specificità nazionali, l’analisi fa emergere lo scenario seguente: il PIL attuale dei tre paesi altamente industrializzati e tecnologicamente intensivi dell’Asia nord orientale - Giappone, Taiwan, Corea del Sud – costituisce il 9,3% del PIL mondiale; quello dei paesi capitalisti del Sud Est asiatico il 3,5%; quello dell’India il 6% e quello della Cina il 14%. Ora, nel 2020 l’economia cinese potrebbe rappresentare circa un quarto del PIL mondiale e l’economia indiana potrebbe rappresentarne circa il 9%, mentre la quota del Giappone dovrebbe mantenersi attorno al 6%.

[5] In conclusione, la mutazione asiatica attualmente in corso nell’ambito della globalizzazione induce uno spostamento del centro, un processo di decentramento e ricentramento grazie al quale la Cina e l’Asia nel suo insieme stanno diventando un cuore del mondo. Benché queste dinamiche non siano destinate a produrre la scomparsa dell’Occidente – né degli Stati Uniti né dell’Europa -, il processo di decentramento e ricentramento in atto costituisce un fenomeno storico di prima importanza e di eccezionale ampiezza.

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