sabato 31 luglio 2010

La città futura. Il sogno dell'umanità che si autogoverna

Un mito della letteratura utopistica rielaborato da Gramsci nei "Quaderni"

Tonino Bucci
Marx - la questione è nota - fu sempre avaro di indicazioni su quella che sarebbe stata la città futura. Sulla società postborghese omise sempre di fornire particolari. Non aveva torto. Dilungarsi in racconti fantasiosi sul sol dell'avvenire, lanciare a briglie sciolte l'immaginazione per descrivere comunità umane di un ipotetico futuro, appariva a Marx una fuga in avanti che avrebbe distolto energie dalla «lotta del presente», oltre che un esercizio inutile. Ma soprattutto non si addiceva alla mentalità dello scienziato perdersi in voli della fantasia non suffragabili da robuste argomentazioni. Quel che più preoccupava Marx era di non perdere mai, neppure per un istante, il nesso tra le astrazioni della teoria e i dati di fatto. La differenza tra la letteratura politica utopistica e il «materialismo storico» stava tutta qui, nel poter prendere le distanze da una tradizione di autori che si erano persi nella descrizione di luoghi e società inesistenti, dal lontano Platone della Repubblica al Thomas Moore di Utopia fino al Campanella della Città del sole (solo per citare i più noti).
In pochi casi Marx contravvenne alla regola che si era dato. Poco propenso a fare previsioni sulla forma della città futura, a predire quale tipo di Stato avrebbe guidato la transizione verso una comunità emancipata di esseri umani, preferì invece esporsi in campo economico. Nel Capitale - nel Terzo libro, per la precisione - si spinse a ipotizzare per il futuro che alcune leggi economiche oggettive sarebbero continuato a valere anche nella società post-borghese.«Pluslavoro in generale, inteso come lavoro eccedente la misura dei bisogni dati, deve sempre continuare a sussistere». Continuerà a esserci «plusvalore» e «plusprodotto»: quel che oggi finisce a ingrossare le casseforti dei capitalisti, un domani, invece, servirà «alla accumulazione, ossia all'allargamento del processo di riproduzione». La parte di valore aggiunta ex novo dal lavoro di tutti, non si trasformerà più in profitto - non sarà più oggetto di appropriazione privata - ma servirà a fini collettivi, all'allargamento dello sviluppo economico complessivo della società.
Ma quale Stato o quali istituzioni al suo posto dovrebbe organizzare l'assetto di questa nuova società? A chi spetta il compito di stabilire diritti e doveri in questa libera associazione di produttori? Quale meccanismo presiede all'instaurarsi tra gli individui di un'autogestione perfetta? Eppure Marx non lascia dubbi sul fatto che in questa comunità di individui "socializzati" sarebbe rimasta la necessità di controlli sulla produzione. Eliminato il profitto bisognerà pure che qualcuno determini cosa occorra produrre, quali siano i bisogni collettivi, come debba essere distribuito il lavoro sociale. «La determinazione del valore - scrive Marx - continua a dominare, nel senso che la regolazione del tempo di lavoro e la distribuzione del lavoro sociale fra i diversi gruppi di produzione, e infine la contabilità a ciò relativa, diventano più importanti che mai». Appunto. L'attività di gestione, coordinamento e pianificazione (vecchio termine caduto in disuso) diventerà ancor più importante che nell'attuale società capitalistica, poiché nella nuova comunità postborghese tutto avverrà su scala sociale. Marx lascia solo intuire che nella futura «associazione di produttori» non ci sarà uno Stato simile a quello che conosciamo - o perlomeno che «il potere pubblico perderà il carattere politico». Ma si intuisce anche che a questo stadio di estinzione dello Stato - sostituito da qualcos'altro - si arriverà soltanto dopo una transizione guidata da uno Stato a forte concentrazione di potere politico (per evitare ricadute nel passato, nel regime capitalistico). Quali sarebbero allora le condizioni però le condizioni che consentirebbero a uno Stato del genere di aprirsi alla "libertà" di una semplice associazione di produttori? Marx non lo avrebbe mai specificato (Se ne occupa diffusamente Nicolao Merker nella sua recente biografia dedicata al filosofo di Treviri), per un verso ritenendo che le misure politiche prese da un ipotetico Stato postrivoluzionario sarebbero dipese dalle circostanze specifiche, per un altro, rinviando all'estinzione dello Stato a cose fatte.
La questione della città futura ricorre invece spessissimo nel lessico gramsciano. Il tema attraversa, non a caso, il volume appena pubblicato dall'associazione Punto Rosso Seminario su Gramsci (pp. 188, euro 12), frutto di due giornate di studio organizzate assieme alla rivista Essere comunisti a Roma il 6 e 7 febbraio (con relazioni di Giuseppe Prestipino, Mimmo Porcaro, Raul Mordenti, Luigi Vinci, Pasquale Voza, Alberto Burgio). E' solo una chiave di lettura, una tra le tante, ma l'impressione è che sullo sfondo della città futura risalti meglio la contemporaneità di Gramsci quando nei suoi scritti, in primis nei Quaderni, affronta le questioni del potere, della rivoluzione e della costruzione di una società post-borghese in Occidente. Per bene intendersi, la modernità di Gramsci non sta laddove viene comunemente indicata, nell'immagine che se ne ha come di un autore che avrebbe corretto il materialismo rozzo presente in Marx (lotta di classe compresa) con un'attenzione rivolta esclusivamente ai processi culturali ed ideologici. Il segno della sua contamporaneità, invece, lo ritroviamo nell'idea gramsciana che l'egemonia (il potere) è ovunque. «Nella società borghese - scrive ad esempio Burgio - tutte le funzioni sociali (compresa la relazione politica; compresi i rapporti di produzione e lo stesso processo di produzione immediato - si consideri il caso paradigmatico del fordismo) sono di per sé capaci - e hanno al tempo stesso il compito stringente - di generare direzione intellettuale e morale (prestigio, fiducia, ecc.) nell'interesse del dominante». Detto altrimenti: il potere è per Gramsci una relazione discorsiva diffusa capillarmente. «Nella società moderna ("di massa") la comunicazione (il flusso simbolico affidato alla suggestione delle immagini e degli strumenti retorici nella relazione cognitiva, nello scambio linguistico, nella creazione artistica, ecc.) svolge funzioni strategiche in tutti gli snodi della relazione sociale (cioè tanto nella sfera della produzione, quanto in quella della riproduzione)». Questo scenario contemporaneo non solo fa balzare in primo piano la figura dell'intellettuale (teorizzato da Gramsci in forma radicalmente nuova rispetto all'intellettuale tradizionale, come sottolinea Mordenti), ma costituisce - come ha ben visto la Scuola di Francoforte - un aspetto totalitario della società borghese. Ovunque le relazioni sociali - anche nella fabbrica, nel regno della massima materialità - non sono mai "nuda vita", "mera attività", agire senza riflessione. Ovunque c'è invece scambio discorsivo, agire comunicativo, relazione egemonica tra governanti e governati.«Senonché - parole ancora di Burgio - dimensione totalitaria non comporta chiusura stagna della relazione e blocco delle dinamiche di trasformazione». Paradossalmente l'ubiquità, «la sovraesposizione del potere del dominante sull'intero territorio sociale» rappresenta anche un motivo di vulnerabilità.
Sull'altro versante ciò significa che la classe in lotta contro il potere possa cominciare a costruire la sua egemonia nella società prima ancora d'averlo conquistato e a prefigurare, dunque, fin dal presente la città futura. Nello specifico si può ricostruire il discorso gramsciano incentrandolo sull'opposizione tra la democrazia nella forma degenerata e autoritaria, il bonapartismo che Gramsci conosce fin troppo bene, è l'ideale della società che si autogoverna.
A differenza del bonapartismo in cui è accentuato il dominio coercitivo (unito al consenso sia pure in forma di manipolazione), nella società civile autogovernata - o che si autoregola, direbbe Gramsci - prevarrebbe, invece, l'egemonia. «Per la prima volta - scrive Prestipino - l'egemonia diviene l'elemento "vitale", il "cuore" pulsante, mentre la coercizione diviene soltanto una "corazza", ossia un elemento accessorio e sempre meno necessario, se la "rottura" si rivelerà definitiva e se, anche sul terreno economico, i beni comuni saranno beni pubblici, non statalizzati-nazionalizzati, ma disciplinati dalla società civile nei mezzi e nei fini». Ma che ruolo ha nella società autoregolata del futuro il partito che per Gramsci deve prefigurare fin dal presente, in embrione, la struttura delle istituzioni del domani? Quale sarà il rapporto tra il partito e gli organismi che presiedono all'autoregolazione dei produttori associati? E' evidente che esso non potrà trasformare tutti i subalterni in militanti, né che riassuma in sé l'intera comunità. Gramsci ci dice qualcosa al proposito. Il partito deve proporsi
come «partito di governo», come «partito che vuole fondare lo Stato» e deve «diventar Stato», fin da oggi, fin dal momento in cui comncia a lottare contro il potere per conquistare l'egemonia. Scrive anche che «i partiti possono essere considerati come scuole della vita statale» e che il partito politico, «a differenza che nel diritto costituzionale tradizionale né regna, né governa giuridicamente: ha "il potere di fatto", esercita la funzione egemonica e quindi equilibratrice di interessi diversi, nella "società civile", che però è talmente intrecciata di fatto con la società politica che tutti i cittadini sentono che esso invece regna e governa». L'arcano dello Stato, se si vuole il suo destino di estinzione nella città futura, è tutto lì: nel lento, molecolare trasformarsi dei governati in governanti di sé medesimi.

Liberazione 24/07/2010. pag 8

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Wiki Labour

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Caccia al greggio nel Mediterraneo. Bp punta in Libia, Shell in Sicilia

L'ombra di Lockerbie sui permessi libici. Trivellazioni nel giro di alcune settimane a 500 Km dall'Italia

Simonetta Cossu
La Bp inizierà tra qualche settimana attività di perforazione al largo della Libia. Lo scrive il Financial Times rinfocolando la polemica sul ruolo della compagnia petrolifera e dello stesso governo di Londra nel rilascio del prigioniero libico condannato per la strage di Lockerbie. La notizia arriva infatti a pochi giorni dalla audizione della Commissione Affari Esteri del Senato Usa, il 29 luglio, dei vertici di Bp sull'affare Lockerbie. Bp è accusata di aver esercitato lobby sul governo britannico per ottenere la liberazione di Megrahi in cambio del contratto di esplorazione di idrocarburi in Libia. In una lettera ai parlamentari Usa il ministro degli Esteri inglese William Hague ha ribadito che «non c'è evidenza» di un coinvolgimento del governo britannico nell'affare Lockerbie. Per quanto riguarda l'azione di lobby esercitata da Bp per il rilascio in cambio della concessione. Hague ha spiegato che si tratta «di una normale e legittima pratica da parte di una società britannica».
Ora una indiretta conferma arriva dal quotidiano britannico che mette in grave imbarazzo tutti i protagonisti di questa vicenda.Stando alle notizie riportate da Ft la perforazione avrà luogo nel Golfo di Sirte di cui Bp ha acquisito i diritti nel 2007. Il punto dove si scaverà si trova a 1,700 metri di profondità, il che significa ad una profondità superiore di 200 metri rispetto al pozzo Macondo nel Golfo del Messico esploso il 20 aprile scorso provocando la morte di 11 operai della piattaforma e scatenando il più grave disastro ambientale della storia Usa.
La notizia è confermata dallo stesso management della Bp che ha reso noto che le perforazioni inzieranno tra qualche settimana.
Inoltre il luogo scelto da Bp per perforare si trova all'interno di quella area che viene chiamata la "Linea della morte", area che nel 1980 il colonnello Gheddafi disegnò sulle mappe nautiche per rivendicare la sovranità libica su quel tratto di mare. E' la stessa area dove nel 1986 avvenne il confronto navale tra le corvette da guerra di Reagan e quelle libiche. Nessun governo ha avanzato richiesta sull'area in questione.
Quello che appare incontrovertibile è l'accelerazione di Bp. Sotto inchiesta negli Usa, bloccata dalla decisione di Barack Obama di imporre la moratoria sulle trivellazioni, British Petroleum è alla ricerca di nuove aree per alimentare la sua esistenza: il Mediterraneo appare essere la nuova area di conquista. E Bp non è sola. Diamond Offshore compagnia Usa di trivellazioni sposterà la sua piattaforma dal Golfo del Messico in Egitto, l'australiana APX inizierà la prossima settimana a perforare davanti alle coste della Tunisia mentre La Shell ha già pronti i piani per sondare l'area al largo della Sicilia. E proprio l'Itala viene citata dal Ft. Secondo il quotidiano britannico il governo italiano ha già concesso 21 nuovi permessi di esplorazione. I nuovi limiti imposti dopo il disastro del Golfo del Messico non hanno valore retroattivo ma riguarderanno solo i futuri permessi. Come dire si potrà trivellare e agire come avveniva prima del disastro Usa e non avranno applicazione sui permessi già concessi.
E non è un caso che i governi di Italia, Grecia e Malta, gli Stati interessati dal futuro sfruttamento si siano ben guardati dal commentare i piani libici. A rendere la cosa ancora più palese le scorse settimane la proposta del commissario europeo all'Energia, Gunther Oettinger, di imporre una moratoria sulle perforazioni nell'area mediterranea è stata bocciata proprio dai paesi interessati.
Quello che si prepara è un disastro annunciato. Il Mediterraneo già paga un prezzo molto alto al greggio: un quarto del petrolio in circolazione passa attraverso quella zona e secondo le stime tra le 150 mila-600mila tonnellate finiscono in mare producendo effetti già pesanti sul pesce e sulla catena alimentare. Ma tranquilli la Bp ha già fatto sapere che in caso di incidente al largo della Libia ha già predisposto «piani dettagliati per intervenire». Chi ha qualche dubbio chieda in Louisiana.

Liberazione 25/07/2010, pag 7

Israele, arrestata e rilasciata Morgantini

Protestava insieme a 200 pacifisti contro il Muro in Cisgiordania. Ferite due attiviste

Erano più di duecento a manifestare contro il muro israeliano e tenendo fede agli ordini ricevuti l'esercito di Tel Aviv è intervenuto duramente contro il gruppo di pacifisti. Pacifisti da tutto il mondo, tra i quali anche numerosi israeliani, si erano dati appuntameno a Bel'air, nei territori palestinesi per contestare la barriera di cemento armato che Israele sta costruendo in Cisgirdania. Tra le persone fermate anche Luisa Morgantini dell'Associazione per la pace, già vice presidente del Parlamento europeo. Poco dopo è l'attivista, raggiunta telefonicamente in Cisgiordania, a raccontare i fatti: «Sono stata fermata in tutto per un'ora. Poi sono stata rilasciata e ora la manifestazione si è conclusa». A quel che ha potuto vedere i dimostranti erano ancora nella fase iniziale di organizzazione quando i soldati che presidiano la barriera hanno provveduto a sgomberarli, ricorrendo anche a gas lacrimogeni. «Sono stata presa in pieno da uno dei candelotti», ha raccontato l'ex deputata europea. Come in numerose occasioni analoghe in passato la Morgantini è impegnata in questi giorni in una visita nei Territori palestinesi e in Israele allo scopo di far toccare con mano ai membri del suo gruppo "la resistenza pacifica alla occupazione". Il tutto nell'obiettivo di «tenere aperta la strada per una pace giusta, per la libertà e la autodeterminazione de popolo palestinese e per la coesistenza fra i due popoli». Nei prossimi giorni il suo gruppo sarà anche a Haifa, Tel Aviv, Jaffa e Hebron. Una tappa a Gaza è invece risultata impossibile da realizzare perché - ha spiegato - «non abbiamo ottenuto i permessi».
La Morgantini è stata fermata insieme a due attivisti per la pace, un palestinese e un cittadino britannico. Stando ad ulteriori informazioni tra i pacifisti ci sarebbero stati anche dei feriti, due donne, che sono stati trasportati all'ospedale di Betlemme. Feriti lievi, nulla di grave ma è l'ennisimo attacco da parte di forze militari israeliane contro dei pacifisti. Intanto si preparano a partire dal Libano due navi di aiuti per Gaza. Israele ha già avvertito il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon che Israele si riserva i diritto di impedire l'accesso alla Striscia alle navi che «intendono violare il blocco»,

Liberazione 24/07/2010, pag 7

Così Vendola realizza il sogno americano di Veltroni

La conseguenza politica dell'asse tra i due è il consolidamento in Italia della logica secca del bipolarismo bipartitico

Giorgio Mele
Cacciari ha affermato che l'autocandidatura di Nichi Vendola è il segno della fine del Pd perché sarebbe, secondo il filosofo della laguna, contro i principi e la funzione di quel partito. A me sembra che le cose non stiano proprio così.
La candidatura di Vendola per come è emersa e per come si va sviluppando (e anche per come viene contrastata) non è affatto in contraddizione con l'esistenza del partito democratico, non solo non lo nega, come pensa Cacciari, ma anzi lo completa, lo definisce meglio, ne allarga i confini. In un certo senso lo rifonda. Quando Vendola afferma di essere l'Obama Bianco si connette direttamente non tanto all'attuale presidente, ma alla forma che il partito democratico americano ha, cioè a quell'agglomerato, molto destrutturato, anche se partecipato, che si raccoglie o si disfa in occasione degli appuntamenti elettorali.
Le fabbriche di Nichi sembrano le benemerite congregazioni che si raccolgono attorno al reverendo Jackson o di qualche altro esponente liberal di quel partito che magari fa il governatore in un lontano stato dell'Unione. La stessa Sel celebrerà un congresso su un documento molto generico teso più a consolidare la candidatura di Vendola che a definire un progetto politico per la sinistra. E' il completamento del sogno americano che ha sempre coltivato uno come Veltroni, che infatti dal convegno della sua fondazione ha benedetto la candidatura di Vendola, l'ha lanciata definitivamente nella battaglia politica che infuria all'interno del Pd, rendendola compatibile con il carattere specifico di quel partito. E mi pare che Vendola abbia gradito sottolineando le significative consonanze riscontrate con l'ex sindaco di Roma. E non impressionino le polemiche e gli attacchi di Fioroni e di Merlo, sono nella fisiologia del partito democratico.
Dopo il convegno di Bertinoro, che fa seguito alle prese di posizione della sinistra del Pd e di altri personaggi di quel partito a favore di Vendola, l'impressione è che si sia riformato una sorta di correntone con molti dei protagonisti del vecchio correntone sorto all'interno dei Ds e con l'apporto esterno appunto di Vendola. Le stesse primarie che si dovrebbero tenere nel 2012, se tutto non precipita prima, non si presentano affatto come la ripetizione di quelle che si tennero tra Prodi e Bertinotti. Sono decisamente meno scontate dal punto di vista del risultato, più simili a quelle americane probabilmente con più candidati.
La conseguenza politica immediata di questo processo è in primo luogo un consolidamento della struttura del nostro sistema politico attorno alla logica secca del bipolarismo bipartitico. L'asse Vendola-Veltroni ripropone una sorta di Ulivo allargato, inteso come partito unico del centrosinistra da contrapporre al blocco del centrodestra. E questo contrasta con la necessità, da più parti riconosciuta, di superare il blocco del bipolarismo secco che ha portato alla crisi della democrazia italiana. Bisogna però anche dire che questa situazione deriva anche dalla incapacità della sinistra italiana di unirsi e di costruire un vero soggetto politico, e perciò costretta a legare il proprio destino più che ad un progetto politico alla organizzazione flessibile attorno alle scadenze elettorali, magari condite da un pizzico di messianismo che non guasta mai.

Liberazione 27/07/2010, pag 6

Quando l'Italia bombardava le fabbriche serbe

La campagna di solidarietà coi lavoratori della Zastava partita subito dopo l'aggressione Nato del 1999

Gilberto Vlaic*
Riccardo Pilato**
Perché parliamo di solidarietà internazionale con la Serbia in un momento in cui in Italia si parla di Serbia in tutt'altro senso e con la strisciante idea che proprio da lì venga una concorrenza accanita contro i lavoratori italiani di Mirafiori? Perchè c'è molta disinformazione, per non dire cattiva volontà in tutto questo parlare senza avere cognizioni di causa sulle vicende. La solidarietà internazionale con la Serbia, e specialmente con la città di Kragujevac e con i lavoratori della Zastava è partita subito a ridosso dei bombardamenti Nato del 1999, che hanno portato distruzione, perdita di lavoro, danneggiamenti di ogni genere colpendo settori trainanti dell'industria con l'obiettivo non tanto occulto di mettere in ginocchio un Paese per farlo allineare alle politiche liberiste dell'Occidente. Non dimentichiamo che il complesso metallurgico Zastava di Kragujevac con i suoi 36.000 dipendenti fu pesantemente bombardato con la motivazione che lì si producevano armi. In realtà la Zastava produceva una vasta gamma di prodotti, dagli aghi per insulina alle auto, ai camion, ai fucili da caccia; ciò che fu colpito e distrutto furono i reparti auto, camion, la fucina, la centrale termica, il centro di calcolo. La campagna di solidarietà è partita da alcuni settori del sindacato italiano della Cgil e del sindacalismo di base, che non digerivano la scelta del governo italiano di partecipare ai bombardamenti in palese contrasto con la Costituzione, e non accettavano la subordinazione dei vertici sindacali alle posizioni del governo. Un dato sembra importante per connotare da subito questa azione di solidarietà, che si rivolgeva inizialmente in affidi a distanza per i figli dei lavoratori Zastava rimasti senza lavoro a causa dei bombardamenti: è stato un atto politico e non una semplice beneficienza, e questo lo dimostra bene il caso della fabbrica bresciana Alfa Acciai dove circa 150 operai sostengono da oltre 10 anni, collettivamente, gli affidi di 26 ragazzi e ragazze di Kragujevac. Questa iniziativa di solidarietà è nata come risposta a una richiesta di aiuto che il sindacato serbo Samostalni ha lanciato nell'aprile del '99 ai lavoratori europei e alle loro organizzazioni nel tentativo di contrastare questa aggressione. Da subito in molte città italiane, Roma, Torino, Milano, Brescia, Bologna, Bari, Napoli, Bolzano, Lecco, Trieste, e altre ancora, sono nate associazioni fondate da gruppi di lavoratori e da persone che volevano prendere una pubblica posizione contro i bombardamenti, al fine di mettere in atto azioni di solidarietà nei confronti dei lavoratori serbi. Si sviluppò in quel periodo una forte consapevolezza che era necessario dar corpo a forme di solidarietà materiale al popolo e ai lavoratori bombardati. Ci fu una primissima fase emergenziale, durante la quale il sostegno era caratterizzato dalla spedizione di numerosi camion di aiuti, soprattutto vestiario, prodotti per l'igiene personale, materiale scolastico, medicinali. Poi si attivò una campagna di affidi a distanza dei figli dei lavoratori Zastava, attività che dura tutt'ora perché la situazione del paese rimane di estrema povertà, disoccupazione e bassi salari per chi riesce a lavorare. Il sindacato Samostalni creò da subito una apposita struttura, l'Uffico adozioni-Ufficio rapporti internazionali, con il compito di seguire le relazioni con le varie associazioni italiane e di fornire e aggiornare le liste dei ragazzi e ragazze di famiglie in maggiore difficoltà. Attualmente gli affidi sono circa 1500. La particolarità di questa campagna sta nel fatto che la consegna del denaro avviene in apposite assemblee pubbliche direttamente ai genitori, con la firma di ricevuta, e senza alcuna trattenuta sui fondi che i sottoscrittori versano, nel senso che le spese di viaggio per andare a consegnare il denaro sono a carico di chi vi partecipa. Nel 2004, da parte di alcune associazioni, si è deciso di affiancare agli affidi anche una serie di interventi mirati di carattere sociale rivolti a fasce deboli della città di Kragujevac e appositamente richiesti dal sindacato Samostalni e da varie associazioni locali. Questi interventi sono realizzati nel campo della scuola, della disabilità fisica e mentale, della sanità pubblica e hanno potuto contare anche sull'intervento finanziario di alcune istituzioni pubbliche e di altre associazioni di volontariato italiane. Una fonte preziosa di finanziamento di questi progetti è stato il 5 per mille sottoscritto per le nostre associazioni.
*Non Bombe ma Solo Caramelle
Onlus Trieste
**Associazione Zastava Brescia

Liberazione 25/07/2010, pag 4

Gino Strada: 'Oggi riapriamo Lashkargah'

29/07/2010

Gino Strada racconta le tappe che hanno portato alla riapertura della struttura, dopo una lunga trattativa che ha visto come protagonista la politica afgana, le pressioni militari, la caparbietà di Emergency.
A Lashkargah Gino Strada sta aspettando di incontrarsi con il Consiglio degli anziani. Perché loro sono fra quelli che hanno esercitato le maggiori pressioni per arrivare alla riapertura dell'ospedale di Emergency. Settanta posti letto che, per più di cento giorni, sono rimasti vuoti in una zona in cui la chirurgia di guerra è necessaria, fondamentale. Gino Strada racconta così le tappe che hanno portato alla riapertura della struttura, dopo una lunga trattativa che ha visto come protagonista la politica afgana, le pressioni militari, la caparbietà di Emergency.

Partiamo dalla notizia.
La novità è che oggi, giovedì, riapre l'ospedale di Lashkargah.
Abbiamo avuto un incontro con il governatore della provincia e credo che tutti abbiano ormai compreso la montatura che ha portato alla chiusura dell'ospedale. Così si può chiudere un libro e aprirne uno diverso. Noi abbiamo fatto presente quali sono le nostre condizioni: il libero accesso per tutti i feriti alla struttura e che l'ospedale deve essere rispettato da tutti. Così come deve essere per sua natura: un luogo neutrale dove non si esercita violenza. Abbiamo ribadito che non esiste l'idea che il nostro ospedale sia sotto il controllo di forze militari e che l'ingresso non debba essere filtrato da nessuno. Su queste cose il governatore ha detto che si trova d'accordo. Quindi possiamo ricominciare.

Quali sono le tappe che sono seguite fra Emergency e le autorità dalla liberazione dei tre operatori sequestrati e poi rilasciati?
La trattativa è andata avanti nel senso che il governatore aveva posto una serie di condizioni, per noi inaccettabili: che la sicurezza fosse garantita da militari afgani, e avere l'ospedale circondato sarebbe stato non solo un filtro, ma ci avrebbe trasformati in un bersaglio perché le persone armate è normale che pensino di avere dei nemici ed è normale che rappresentino esse stesse un bersaglio. Queste condizioni le ha ritirate: quando ha parlato con i nostri rappresentanti dicendo che non metteva condizioni abbiamo detto: va bene allora possiamo riprendere a lavorare.

Ma cosa è accaduto negli ultimi giorni? Eravamo rimasti al comunicato di Emergency in cui si parlava di una contrapposizione netta fra il potere centrale, favorevole alla riapertura, e quello locale che poneva, appunto, degli ostacoli, delle condizioni.
C'era conflittualità. D'altra parte la cosa non deve sorprendere. Quando un Paese è sotto occupazione militare ci sono gli occupanti e gli occupati. Gli afgani sono gli occupati. Quindi non sorprende che nemmeno il presidente dell'Afghanistan abbia il potere di controllare il governatore di questa provincia. In un colloquio che abbiamo avuto nelle scorse ore con il consigliere della Sicurezza nazionale a Kabul ci è stato detto molto chiaramente: il governo afgano non ha potere e non controlla molte regioni del Paese, dove non conta e non decide niente. Lì decidono i militari della Coalizione.

Cosa è successo, allora, perché cambiasse idea e togliesse le condizioni che aveva posto nei giorni scorsi?
Sono aumentate molto le pressioni da molte parti. La gente si ritrova senza un ospedale chirurgico in una regione dell'Afghanistan in cui c'è molto bisogno di chirurgia di guerra. Quindi la società afgana, il Consiglio degli anziani, i loro rappresentanti di villaggio, hanno iniziato a premere per creare le occasioni perché l'ospedale potesse riaprire. Domani abbiamo una riunione proprio con il Consiglio degli anziani e avremo una riconferma di ciò.

Ricordiamo un intervento a Bruxelles, in cui veniva menzionata l'Onu e anche la disponibilità di alcuni europarlamentari. Quando parli di pressioni ti riferisci a questi soggetti?
La forza determinante è stata la società civile afgana, con la sua struttura, le sue rappresentanze, il Consiglio degli anziani, il rappresentante del villaggio. Come è successo nel 2007, insomma. Con delegazioni e delegazioni che venivano, allora, a Kabul dall'Helmand a chiedere e far pressione. La stessa cosa è successa qui. In queste settimane abbiamo continuato a ricevere lettere e petizioni firmate dai leader di questa zona, molto belle, con la firma che era l'impronta digitale del pollice o dell'indice e con una foto appiccicata, perché chi firmava fosse riconoscibile. Abbiamo ricevuto molti messaggi che andavano in questa direzione e io credo che questa sia stata la cosa determinante. Poi sono convinto che anche l'Onu abbia fatto i propri passi, per esempio con gli inglesi. Ieri abbiamo incontrato l'ambasciatore di Londra che ci diceva che non avevano nulla in contrario alla riapertura. Di tutte le cose dette, poi, bisognerà tenere conto fino a un certo punto; quello che conta è la quotidianità dei rapporti.

Ricordiamo tutti come fu ordita la trappola contro Emergency. Come vi state attrezzando perché non possa più accadere la stessa dinamica?
Ci stiamo ragionando, non abbiamo la bacchetta magica, ci sono piccole cose da aggiustare: un ospedale, qui come in Italia, è uno dei luoghi più vulnerabili, perché si dà per scontato che venga rispettato. Quindi in genere i controlli sono modesti, se pensiamo ai controlli sulla sicurezza per esempio che si fanno in aeroporto. Non vogliamo trasformare un ospedale in una fortezza. Si tratta di avere un po' più di accortezza e controllare meglio alcune questioni, per esempio l'accesso.

Una riapertura dell'ospedale in perfetto stile Emergency. Possiamo dire che avete vinto?
Mah.. vinto... non la prendo come una battaglia di Emergency contro chicchessia. Siamo contenti perché la gente di qua entro la fine della settimana riuscirà ad avere l'unico ospedale degno di avere questo nome. Ci saranno meno morti e meno feriti abbandonati. Questa è la vittoria vera.

Angelo Miotto

http://it.peacereporter.net/articolo/23238/Gino+Strada:+'Oggi+riapriamo+Lashkargah'

Malaysia hit show picks 'Imam Muda'

Muhammad Asyraf, left, beat nine other contestants to become the show's first 'Young Imam' [Reuters]
A hit Malaysian television show which has gained international attention has announced a winner in its talent search for an imam, or Muslim religious leader.

Muhammad Asyraf Mohamad Ridzuan, 26, a religious scholar, was named the winner of the Imam Muda (Young Imam) programme on Friday, after he beat Hizbur Rahman Omar Zuhdi, a 27-year-old religious teacher, in the finale.

He won funding for a trip to Mecca to perform the hajj pilgrimage, a scholarship to al-Madinah University in Saudi Arabia, and a job at a Malaysian mosque.

Eight other contestants were eliminated during the 10-week series which began in May and grew hugely popular in the predominantly Muslim Southeast Asian country.

The show – the first of its kind - follows the reality-TV formula similar to "American Idol" in the US and "The X Factor" in Britain, and has apparently ignited new enthusiasm for Islam among Malaysia's Muslim youth.

"I feel good. Thanks to my parents, my wife and my fellow villagers who have been supporting me," Asyraf told studio audience at the end of the show aired live over Islamic lifestyle channel Astro Oasis.

Religious youth

Speaking to reporters later Asyraf said: "Our target is not just personal victory but the victory of a society and the victory of Islam itself. It has brought the youth closer to religion," he said, adding that his immediate plan was to set up a "Young Imam club".

Stephanie Scawen reports on the show that has won international attention

The 10 finalists, all men chosen from 1,000 contestants, were given a variety of challenges including preparing an HIV-positive corpse for burial and counselling marriage partners.

They faced written and practical tests on religion each week, and were isolated in a mosque dormitory - banned from using phones, the internet and television.

In the finale, the two finalists were tested on reciting the Quran, presenting a sermon, singing religious hymns and answering questions from the programme's sole judge, a former grand imam of Malaysia's national mosque.

The show became a major hit, attracting worldwide interest, while the creators of the programme were thrilled by its success in achieving their goal of making Islam more appealing to young people.

"When we talk about imams, the first impression is always someone who is old-fashioned or just does his work in the mosque," Adam Riyadz, a 21-year-old journalism student, told AFP on the sidelines of the show.

"But with this show, it is easier for me to relate to what the young imams are trying to tell us," said Adam, who travelled for two hours from another state to watch the finale with five fellow students.

Imams play a broad role in Malaysia – where some 60 per cent of the 28 million population are Muslim – including leading prayers at mosques and offering counselling.

http://english.aljazeera.net/news/asia-pacific/2010/07/2010731503766963.html

Beirut talks call for Lebanon unity

Bashar al-Assad, the Syrian president, and Saudi Arabia's King Abdullah have held talks with Lebanese leaders in Beirut in an effort to quell rising tensions in the country.

Friday's visit marks al-Assad's first trip to Lebanon since Syrian troops were forced to withdraw from the country after the killing of Rafiq al-Hariri, the former Lebanese prime minister, in 2005.

Rumours about forthcoming indictments from the UN tribunal investigating al-Hariri's death have seen tensions rise in Lebanon, prompting fears of a return to sectarian violence in the country.

Michel Suleiman, Lebanon's president, and al-Hariri's son, Saad, the country's prime minister, greeted the king and al-Assad at Beirut's airport before heading to the Baabda presidential palace for discussions.

"The leaders stressed the importance of stability ... the commitment [of the Lebanese] not to resort to violence and the need to place the country's interests above all sectarian interests," said a communique issued by the Lebanese presidency following the talks.

The statement also stressed the need to "resort to legal institutions and Lebanon's unity government to resolve any differences".

Asked about the outcome of the meeting as he left the presidential palace, al-Assad gave a thumbs up and said: "The discussions were excellent."

Rula Amin, Al Jazeera's correspondent in the Lebanese capital, said the joint visit was hugely symbolic.

"These two leaders coming together to Beirut shows the urgency, it shows that they realise the dangers that are lying ahead for Lebanon," she said.

Hezbollah anger

Reports are circulating in Beirut that the UN tribunal is about to indict members of Hezbollah, an armed Shia political movement with close ties to Syria, prompting an angry response from Hassan Nasrallah, the group's leader.

Nasrallah's reaction has raised fears of renewed unrest in Lebanon, where Hezbollah and al-Hariri supporters fought in the streets of Beirut in May 2008, bringing the country to the brink of civil war.

Saad's mainly Sunni Future Movement has close links to Saudi Arabia and backs the UN tribunal's investigation into his father's death.

Speaking to Al Jazeera from Beirut, Kamal Wazne, a political analyst, said: "Anything short of the cancellation of the indictment is going to be a lot of trouble for Lebanon.

"I don't think there will be a civil war in Lebanon, those days are over, civil war will not be allowed in Lebanon.

"But I think there will be measurement taking, I think, by the resistance and by Hezbollah and this is going to cause some havoc for Lebanon."

The visit of the Saudi and Syrian leaders, who arrived on a Saudi aircraft from Damascus, lasted for only a few hours.

It included a lunch attended by some 250 officials, among them members of the unity government which includes two Hezbollah ministers.

'Dangers ahead'

Al-Assad's presence in particular is highly significant because Syria is believed by many in Lebanon to have been behind al-Hariri's death.


Syria is believed by many in Lebanon to have been behind al-Hariri's death [AP]
His killing marked a dramatic souring of relations between the two countries, forcing Syria to end its occupation of Lebanon, despite its repeated denials of involvement.

Ties between Damascus and Beirut have improved in recent years, with the two capitals establishing diplomatic ties in 2008.

Al-Assad's visit to Beirut is seen as further evidence of a diplomatic thaw between the countries at a crucial time.

The Saudi monarch is expected to ask al-Assad to use his influence over Hezbollah to steer the group away from a new confrontation with al-Hariri's supporters.

Hezbollah has responded positively to the visit.

"The Arab leaders' visit to Lebanon is an opportunity to show Arab unity in the face of this plot which aims to destabilise Lebanon and sow sedition," Hassan Fadlallah, a Hezbollah member of parliament, said.

Regional tensions

Rami Khoury, editor-at-large for Lebanon's Daily Star newspaper, said that the country's internal politics were linked to wider regional tensions.

"We have very old and very strong links between all the major players in Lebanon and huge regional and international actors," he said.

"It's a very complex situation. That's why all the main struggles in the region are evident here in Lebanon."

Shadi Hamid, the deputy director of the Brookings Doha Centre, said that the next fortnight in Lebanon will be "crucial".

"There is a risk of escalation, of sectarian violence, and all players involved realise that risk and are taking pre-emptive action to defuse things before they get out of hand in the next weeks and months," Hamid said.

http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2010/07/201073064353113444.html

giovedì 29 luglio 2010

Arab League demands US guarantees

Abbas, left, met Moussa, right, and more than a dozen Arab League foreign ministers in Cairo [AFP]
The Arab League has declined to endorse an immediate resumption of direct Israeli-Palestinian negotiations, saying it needs further guarantees from the United States before approving talks.

The Arab League said at a meeting in Cairo on Thursday that it agreed in principle to the direct talks, but only subject to certain "measures and conditions".

"There is agreement, but [it is] agreement over the principles of what will be discussed and the manner of the direct negotiations," Sheikh Hamad bin Jassim al-Thani, the Qatari foreign minister, said.


Amr Moussa, the Arab League secretary-general, said that direct negotiations must be preceded by "written guarantees" from the United States, particularly on the subject of Israeli settlements.

"We are not against negotiations," Moussa said. "But... we cannot accept talks with no preconditions."

'Written assurances'

Mahmoud Abbas, the Palestinian president, travelled to the Egyptian capital on Thursday to discuss the issue with the Arab foreign ministers.

Abbas wants a guarantee that the Israeli government will completely halt settlement construction in occupied east Jerusalem and the West Bank.

Israel is currently nearing the end of a 10-month moratorium on new settlement construction in the West Bank, which is set to expire in September.

Binyamin Netanyahu, the Israeli prime minister, warned on Wednesday that his government will collapse if he extends the freeze.

Settlement construction in east Jerusalem continues unabated.

"When I receive written assurances [about] accepting the 1967 borders and halting settlement [building], I will go immediately to the direct talks," Abbas said before the Arab League meeting.

Letter to Obama

Moussa said on Thursday that Barack Obama, the US president, sent a letter to Abbas including "some guarantees".

He did not reveal the contents of the letter, however, and said the Arab League had further questions for Obama, which were included in a letter sent to the US embassy in Cairo.

Direct talks have been suspended since Israel's three-week war in Gaza began in December 2008.

The Arab League meeting comes the day after Hosni Mubarak, the Egyptian president, and Saudi Arabia's King Abdullah met in Sharm al-Shaikh to discuss the Arab-Israeli "peace process".

http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2010/07/2010729131010374952.html

Russia Oggi

http://russiaoggi.it/

Srebrenica: un libro

Titolo Cartolina dalla fossa. Diario di Srebrenica
Autore Suljagic Emir
Prezzo
Sconto 10% € 18,00
(Prezzo di copertina € 20,00 Risparmio € 2,00)
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 272 p., ill., brossura
Traduttore Parmeggiani A.
Editore Beit (collana Memoria)

http://www.ibs.it/code/9788895324135/suljagic-emir/cartolina-dalla-fossa-diario.html

Territorio? Una parola vuota. Ormai solo periferie anonime

Un emendamento alla manovra finanziaria dà via libera alla cementificazione senza bisogno di permessi

Battista Sangineto
Il nostro paese possiede un bene ineguagliabile che è rappresentato dall'enorme patrimonio culturale sedimentatosi per più di trenta secoli nel tessuto armonico delle nostre città antiche, dei nostri musei, delle chiese, delle grotte preistoriche, dei palazzi dei nostri centri storici incastonati nel paesaggio italiano.
Un paesaggio gentilmente umanizzato, una campagna ben coltivata rappresentano l'immagine, lo specchio, della ragione e come tale presuppongono, in coloro che vi lavorano, ne modificano e ne godono i frutti, un'intima partecipazione alla ragione universale, al diritto di goderne, di gioirne e di apprezzarne la bellezza. La devastazione di sempre più vaste porzioni del paesaggio italiano è la dimostrazione che il riconoscimento e la produzione della bellezza sono attività che presuppongono la comprensione profonda di quanto circonda gli uomini. Gli italiani e, soprattutto, i loro governanti, con ogni evidenza, non s'ispirano più a questi antichi principi e modelli. Il paesaggio italiano, in specie quello del Mezzogiorno, inizia ad essere, ormai, un paesaggio senza memoria, privo di identità. Il paesaggio - che costituisce il tessuto connettivo, il supporto vivente dei beni edificati nel corso della nostra plurimillenaria storia e, quindi, elemento identitario indispensabile - è, purtroppo, irrimediabilmente perduto in larghissime aree del territorio nazionale.
Gli italiani appaiono, ormai, privi, nel complesso, di quell'elemento fondante della coscienza collettiva di un popolo che è rappresentato dalla memoria, quella memoria che permette di riconoscersi e di riconoscere. Assenza che fa delle regioni del nostro paese, regioni sempre più popolate da individui smemorati che, soprattutto nel Mezzogiorno, non abitano quasi più nei loro centri storici, che non restaurano le loro antiche case, ma preferiscono costruirne di nuove e che, quindi, non sono più educati alla continua, quotidiana frequentazione con la bellezza delle forme, con l'eleganza dell'architettura, con l'armonia degli spazi che si sono depositati, sul paesaggio, nel corso dei secoli. Il paesaggio, tutelato dall'art. 9 della Costituzione, è un bene pubblico che non può essere svenduto facendo inghiottire dal cemento dei privati il mare, le colline, i boschi, le montagne, i centri storici; non può essere privatizzato trasformando le nostre campagne e le nostre coste in una periferia anonima e spaesante di una inesistente città.
Incurante di tutto questo, il Senato ha approvato una manovra finanziaria che contiene un emendamento, proposto dal presidente della Commissione Azzollini (Pdl), l'art. 49 del ddl 2228, che prevede di declassare la d.i.a. (dichiarazione di inizio attività) in s.c.i.a ("segnalazione certificata di inizio attività"). Di fatto è un'autocertificazione a cura dell'impresa o di un tecnico di sua fiducia, che elude ogni successivo controllo riguardante le autorizzazioni paesaggistiche. In questo modo non solo si annulla il sistema vigente permettendo di edificare senza alcuna autorizzazione, lasciando alle pubbliche amministrazioni solo l'opzione di tentare un blocco dei lavori, purché entro 30 giorni o «in presenza di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico, l'ambiente, la salute», ma si dà, per sovrapprezzo, la stura ad ogni possibile abuso che non può essere controllato, prevenuto o represso dagli Enti preposti, come le Soprintendenze, che versano in condizioni di perenne difficoltà a causa di mancanza di personale e di mezzi.
Il governo di centrodestra non ha alcun rispetto dei beni culturali -come dimostra anche quell'emendamento, per fortuna bloccato, che voleva introdurre un condono per i reperti archeologici illegalmente posseduti -, ma è la classe dirigente politica e culturale in generale che, duole dirlo, non tiene nel dovuto conto l'eredità del passato se il ministro Nicolais dell'ultimo governo Prodi voleva introdurre, tel quel, il silenzio-assenso, per fortuna bocciato dall'opposizione di qualche intellettuale come Settis, sui beni paesaggistici nel 2006.
Lo spazio e, quindi, il paesaggio sono la sola dimensione capace di permanere, perché i luoghi, per millenni, sono cambiati più lentamente degli uomini che li hanno abitati. La stabilità dei luoghi, in altre parole, garantisce alle società un senso di perpetuità in grado di conservare l'identità. Con la scomparsa sempre più tumultuosa del paesaggio si scardina un fondamentale nesso psicologico di identità che ha fatto, e farà, ammalare gli italiani di quel disturbo che Ernesto De Martino chiamava "angoscia territoriale" che altro non è che il disagio, la vertigine, l'angoscia, appunto, di chi è sottratto ai propri punti di riferimento indigeni o, peggio, di intimo rifiuto estetico di questi ultimi. Il riconoscimento della bellezza è, per la psicoanalisi, la comprensione profonda della varietà e interdipendenza di ciò che ci circonda: affetti, legami parentali, oggetti, case, luoghi e, quindi, anche il paesaggio. L'incapacità di distinguerla è, dunque, una condizione patologica della psiche, quella individuale e quella collettiva e gli italiani, grazie a questo governo e a questa classe dirigente, diventeranno un popolo di individui smemorati che si aggirerà per le orrende periferie di un nulla.
docente di metodologia della ricerca archeologica all'Università della Calabria

Liberazione 21/07/2010, pag 8

La nuova legge sul prezzo dei libri non piace ai piccoli editori

Promozioni tutto l'anno
Favorite le grandi catene

La legge sul libro, che stabilisce nuove regole sui prezzi, è passata. Alle librerie, grandi o piccole che siano, sarà permesso di fare sconti fino a un massimo del quindici per cento sul prezzo di copertina. Ma questa misura, che dovrebbe tutelare le piccole librerie dalla concorrenza "sleale" della grande distribuzione, in realtà è annullata dall'altro punto della manovra che, a sua volta, concede agli editori un'arma potentissima: quella di poter fare promozioni per tutto l'anno, a eccezione del mese di dicembre, senza limiti di sconto. I grandi gruppi sono favoriti, mentre per i più piccoli rischia di essere uno sfacelo, non potendo permettersi grandi campagne promozionali. A parte la Gran Bretagna dove gli ipermercati hanno strangolato le catene librarie, in Europa si va da tutt'altra parte: in Spagna c'è il prezzo fisso, in Germania non si fanno sconti e in Francia la legge tutela piccole librerie e case editrici. «A detta degli autorevoli rappresentanti della cultura italiana che l'hanno elaborata - dicono dalla casa editrice Nottetempo - questa legge è il miglior compromesso che si poteva strappare al maggior gruppo editoriale italiano, Mondadori, e dunque al suo proprietario, presidente del consiglio. Ancora una volta i suoi interessi dettano legge».

Liberazione 21/07/2010, pag 8

Nucleare, una forsennata campagna di bugie

Maria Campese
La recente impennata nella richiesta di energia avvenuta venerdì 16 luglio è stata l'occasione per Il Sole 24 Ore per sponsorizzare nuovamente il nucleare. In un articolo pubblicato nell'edizione di sabato 17 luglio, a firma di Federico Rendina, il giornale confindustriale ha fatto il punto su quello che il Prc e la Federazione della sinistra considerano una vera e propria follia, sia sul piano economico che su quello dei rischi: il ritorno al nucleare nel nostro paese. E così si approfitta della calura estiva, forse sperando anche di trovare le menti un po' più appannate del solito, e dell'aumento nell'uso dei condizionatori, dovuto proprio alla ricerca di un po' di fresco da parte dei cittadini, per porre l'accento sulla presunta necessità di utilizzare questa fonte di energia. Il migliore alfiere per quest'argomento viene individuato in Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico di cui si riprendono, nell'articolo, alcune preoccupanti dichiarazioni. L'esponente del governo in un'intervista radiofonica ha infatti spiegato con chiarezza che il miglior posto per ospitare i reattori sono i siti delle vecchie centrali, quelle chiuse dopo il referendum del 1987. E così è presto fatto, i luoghi sono noti: Trino Vercellese, Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta) e anche Montalto di Castro (Viterbo), con la centrale non utilizzata proprio grazie alla vittoriosa consultazione referendaria di 23 anni addietro. Luoghi considerati idonei anche perché per lo più situati nei pressi della costa.
Le bugie su cui si fonda la campagna mediatica in atto da tempo e che ora occupano telegiornali e trasmissioni che c'entrano poco o nulla con nucleare ed energia, non tarderanno ad arrivare a martellare i cittadini che abitano nei luoghi prescelti. E' facile immaginare su cosa si intensificherà il bombardamento mediatico in una situazione di crisi: su presunti risparmi in termini di dipendenza energetica e su altrettanto presunti vantaggi in termini occupazionali.
La lobby che si connette al mondo pro nucleare è forte, potente e dispone di mezzi enormi. E' un mondo trasversale quello che ruota attorno l'atomo e gli affari che ne derivano. Lo si vede anche dal balletto di voci sulle nomine della costituenda Agenzia per la sicurezza nucleare (sicurezza nucleare, un ossimoro) e che seguono un appello di personalità a favore del nucleare (alcune delle quali oggi in corsa proprio per queste nomine).
Noi disponiamo di pochi mezzi, ma fra questi c'è la volontà, che è sempre rivoluzionaria.
Alle popolazioni che vivono in quei luoghi "prescelti" dal governo, all'Italia intera, noi dobbiamo dirla questa verità. Con forza e determinazione.
Il nucleare è pericoloso, costoso, comporta giganteschi problemi di sicurezza, danni per l'ambiente e per la salute. Le centrali sono giganteschi ordigni piazzati sul territorio. E' ora di opporre a questi poteri, una campagna per spiegare tutto ciò.
Il 7 giugno scorso, in Cassazione è stata depositata una proposta di legge di iniziativa popolare per dire "no" al nucleare e sostenere le energie rinnovabili, energie pulite da cui potranno scaturire anche nuove possibilità occupazionali, e che possono essere un asse portante per costruire un'alternativa di società. L'approvazione di questa legge - riprendendo le parole della relazione illustrativa che accompagna la proposta - consentirebbe a questo paese di conquistare una reale autonomia energetica perché, da un lato, promuovendo usi razionali dell'energia, ne ridurrebbe il fabbisogno e, dall'altro, perché produrrebbe l'energia necessaria con le uniche fonti di cui l'Italia resterà sempre veramente ricca: il sole, il vento, le biomasse, la forza dell'acqua fluente e il calore che scorre sotto terra.
A partire dalla raccolta di firme su questa proposta e a partire dai luoghi giudicati dal governo come idonei per la realizzazione delle nuove centrali, è importante portare avanti subito una grande mobilitazione di massa per impedire lo scempio e per provare a disegnare nel paese un nuovo modello energetico e di società.

Liberazione 22/07/2010, pag 1 e 3

RaiNews24

Inchieste:

http://inchieste.blog.rainews24.it/

Incontri:

http://www.rainews24.rai.it/ran24/rubriche/incontri/

Life as an abandoned worker in the UAE

By Dan Nolan
on July 28th, 2010

You can see their story here. Still no news as to when they might be given permission to leave or their 10 months of unpaid wages.

I've read a lot about the labour camps where the construction workers building Dubai’s dazzling skyline call home but until now, I'd never visited one.

It's virtually impossible to get permission to film inside these camps as they provide images you'll never see on any Dubai tourism brochure.

The only reason we could film the Jose Camp is because the company owner has fled the country leaving 38 workers in a hopeless situation.

You can see their story here:

Still no news as to when they might be given permission to leave or their 10 months of unpaid wages.

The defacto spokesperson for the group is 28-year-old Mohammed Ahktar, a quietly spoken labourer from the Punjab region of Pakistan.

He showed me around the camp which has had no electricity for two months meaning no air conditioning during a brutal desert summer where temperatures can hit 50 degrees Celsius.

When he told me they sleep "upstairs", I thought there was another level to the camp that I hadn't noticed at first.

But as we climbed a rickety ladder (made from 2 sections of a shipping crate nailed together) and stepped up onto the roof, it became clear what the "upstairs room" entailed.

More than a dozen mattresses were laid out on the corrugated iron roof competing for a spot of fresh air with satellite dishes that don't work anymore due to the power being cut off.

They say it's cool enough at night to at least get some sleep, I can only imagine how they survive the days bunkered down in their 3mx3m rooms housing seven people each.

It's a tough way to earn a $220 per month but there were few complaints while they were actually getting paid!

The UAE labour ministry says camps like this are exceptions NOT the norm and they've assisted more than 1,000 other abandoned workers to get some of their unpaid wages and a ticket home.

But the wheels of justice turn slowly - the guys from Jose camp registered their status in a UAE court in March and are yet to hear a thing.

In the meantime they survive on charity provided by a few caring individuals.

One of them is Saher Shaikh, a wealthy British-Pakistani mother of two, who somehow juggles raising children with caring for hundreds of workers.

She's not one to hunt praise for what she does (though she most certainly deserves it) but anyone wanting to support her work can do so via the AdoptaCamp Facebook page.

/////////////

Gulf downturn strands labourers

Gulf investors may have seen their investments shrink, but hundreds of foreign labourers in the United Arab Emirates are suffering a far worse fate as a result of the Dubai-centered economic bust.

Abandoned by companies that pulled up stakes in the downturn, hundreds have been left with no pay, confiscated passports and barely enough food to survive.

One camp in the emirate of Sharjah has had no electricity for two months, and the 38 men from Pakistan and Bangladesh who live there haven’t received their $220-per-month wage for 10 months.

Cramped conditions

According to Al Jazeera's Dan Nolan, the men live together in cramped rooms and take their mattresses onto the roof at night to escape the oppressive summer heat, which can reach 50 degrees Celsius.

The workers say their Indian employer has fled the country, and though they have registered their abandoned status with a court, they have only received new passports in return.

The UAE's labour ministry says the problem is an isolated one.

"The total number affected is a few hundred workers out of 1.9 million workers in the construction industry," Humaid bin Dimas, the ministry's general manager, told Al Jazeera. "There are about 50,000 companies in this sector. There is no such phenomenon."

Around 12 million foreign workers are estimated to live in the Gulf, where they are forbidden to form labour unions.

Some progress on workers' rights has been achieved, and the labour laws on the books in certain countries, including the UAE, does technically protect workers, Azfar Khan, a senior migration specialist at the International Labour Organisation, told Al Jazeera.

But such laws often are not enforced due to "policy incoherence", Khan said, especially in the UAE, where workers in different industries are covered by different sets of laws.

Still, the promise of higher wages seems likely to continue luring laborers to the Gulf. But the abandoned workers in the Sharjah camp say they want to return.

http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2010/07/201072885146573166.html

US court blocks Arizona migrant law

Activists will likely go ahead with protest marches on Thursday despite the court's injunction [AFP]

Key parts of a controversial new immigration law in the US state of Arizona have been blocked by the federal court.

The law will still take effect as scheduled on Thursday, but parts of the legislation have been suspended, including a provision that requires police officers to determine the immigration status of people they detain.

US district judge Susan Bolton also blocked a provision that requires immigrants to carry identification papers at all times.

"There is a substantial likelihood that officers will wrongfully arrest legal resident aliens under the new [law]," Bolton ruled on Wednesday.

"By enforcing this statute, Arizona would impose a 'distinct, unusual and extraordinary' burden on legal resident aliens."

Federal responsibility

The decision was a ruling on a lawsuit filed earlier this month by the US justice department. Bolton has said that the law was "awkward" in its wording, and that she doubted it could be properly enforced.

Her ruling held that only the federal government, not state governments, can set US immigration policy.

Jan Brewer, the Arizona governor, said that this was "a temporary bump in the road" and an appeal against the judge's decision would be filed.

"It's a temporary bump in the road, we will move forward, and I'm sure that after consultation with our counsel we will appeal"

Jan Brewer,
Arizona governor

"The bottom line is that we've known all along that it is the responsibility of the feds, and they haven't done their job, so we were going to help them do that."

"We will take a close look at every single element Judge (Susan) Bolton removed from the law, and we will soon file an expedited appeal at the United States Court of Appeals for the 9th Circuit," Brewer said.

The Mexican government praised the judge's decision and said it would carefully follow the process to suspend the law.

"It's a first step in the right direction," Patricia Espinosa, Mexico's foreign minister said.

She said Mexico was still concerned about the rights of its citizens in Arizona and was stepping up consular protections in the border state.

Arizona is believed to be home to up to half a million illegal immigrants, many of whom are from Mexico.

The Obama administration has pushed the US congress to pursue an immigration reform bill, but that legislation has stalled, largely because of Republican opposition.

"We would love for the congressional delegation from Arizona, and the senators there, to support comprehensive immigration reform," Jennifer Kottler, a policy director at Sojourners, a Christian advocacy group, said.

"That would address so many of the issues there."

Popular support

The law was passed in April by Arizona's Republican-controlled legislature, which called it a necessary step to stop illegal immigration.

Opinion polls have showed that nearly 60 per cent of the US population supports the law.

It has been criticised by human rights groups, the Catholic Church and the Mexican government, and by Barack Obama, the US president, who called it "misguided".

Thousands of activists have planned a demonstration against the law in Arizona on Thursday. That rally is still expected to take place, despite the court's verdict.

"Even if it issues a temporary injunction ... we're still going ahead with our protests, because 21 other states want to follow Arizona's footsteps with racist laws" of their own, Paulina Gonzalez, a spokeswoman for the group organising the protest, said.

One group, the National Day Laborer Organising Network, plans to fill nearly a dozen buses with activists in Los Angeles. The buses will drive from there to Phoenix, the capital of Arizona.

Organisers say none of the people on the buses will carry identification papers.

"Thursday will be our national civil disobedience day, when we'll stand up to a racist, discriminatory and hypocritical measure," Pablo Alvarado, the director of the network, said.

Another group plans to block access to federal government offices in Phoenix.

One-third of the roughly 6.6 million people living in Arizona are foreign-born, and more than five per cent of the population is estimated to be illegal immigrants.

http://english.aljazeera.net/news/americas/2010/07/2010728172113657349.html

Saudi king heads to Syria

King Abdullah, left, kicked off his four-nation tour on Wednesday with a visit to Egypt [AFP]

Saudi Arabia's King Abdullah is scheduled to arrive in Damascus, the Syrian capital, on the second-leg of his four-nation "Arab unity tour".

King Abdullah was in Egypt on Wednesday and held talks with its president Hosni Mubarak on the Arab-Israeli peace process.

He is scheduled to meet Bashar al-Assad, the Syrian president, on Thursday.

King Abdullah is to travel to Lebanon and Jordan after wrapping up his Syria visit. He is expected to travel with al-Assad to Beirut for joint talks with Saad al-Hariri, the Lebanese prime minister.

If al-Assad does visit Lebanon, it will be his visit since the 2005 assassination of Rafiq al-Hariri, Saad's father and the former prime minister of Lebanon.

The killing, blamed by many on Syria, led to relations between Beirut and Damascus hitting rockbottom.

Ties have been on the mend since 2008 when diplomatic relations were established for the first time between Lebanon and Syria.

Conflict fears

The Lebanon visit is aimed, in part, at reducing tensions over the Special Tribunal for Lebanon, the UN-backed body investigating the murder of al-Hariri.

Hassan Nasrallah, the leader of Hezbollah, last week alleged that the special tribunal was set to indict his group for al-Hariri's murder, triggering fears of a Shia-Sunni conflict being reignited in Lebanon.

There is also concern a new conflict might be looming between Hezbollah and Israel, which in recent months has accused the Lebanese group of stockpiling weapons in preparation for a new war.

The two foes fought a devastating war in 2006 that left much of Lebanon's infrastructure in ruins.

Shadi Hamid, the deputy director of the Brookings Doha Center, said: "I think the next two weeks will be crucial.

"There is a risk of escalation, of sectarian violence, and all players involved realise that risk and are taking pre-emptive action to defuse things before they get out of hand in the next weeks and months," Hamid told the AFP news agency.

http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2010/07/201072962514334582.html

mercoledì 28 luglio 2010

Donne per un altro mondo

Titolo Donne per un altro mondo. Storie di protagoniste femminili in Africa, Asia, mondo islamico, Balcani e Caucaso, America latina, Nazioni Unite
Prezzo € 22,00
Prezzi in altre valute
Dati 2008, 368 p., rilegato
Curatore Moiola P.; Lano A.
Editore Gabrielli Editori

http://www.ibs.it/code/9788860990570/-moiola-p/donne-per-un-altro.html

http://books.google.it/books?id=qHdDF9hhblQC&pg=PA86&lpg=PA86&dq=%22Silvana+Bottignole%22&source=bl&ots=_97VnVnVdP&sig=dyqiL_fA9oXkzl9O_Wwz4P9xfKo&hl=it&ei=GtxPTKLwJcufsQa5-pCxAQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBgQ6AEwAA#v=onepage&q=%22Silvana%20Bottignole%22&f=false

lunedì 26 luglio 2010

US to lift ban on Indonesia forces

Gates, left, announced lifting the ban on Kopassus after meeting Yudhoyono, right, on Thursday [AFP]

The US will resume ties with Indonesia's elite military forces more than 12 years after severing relations with the unit over alleged human rights violations, officials said.

The US state department said on Thursday that the Indonesian special forces unit Kopassus had improved its human rights record.

But it said US officials would continue to monitor the unit to ensure Indonesia keeps its commitment to improve conditions.

The pledge came after Robert Gates, the US defence secretary, announced the lifting of a 12-year ban on ties with Kopassus during a visit to Indonesia on Thursday.

He spoke after meeting Susilo Bambang Yudhoyono, the Indonesian president, in the capital, Jakarta.

"As a result of Indonesian military reform over the past decade ... and recent actions taken by the ministry of defence to address human rights issues, the United States will begin measured and gradual programs of security co-operation activities with the Indonesian Army Special Forces," Gates said at a news conference.

"This initial step will take place within the limit of US law and does not signal any lessening of the importance we place on human rights and accountability."

Ensuring reform

Kopassus was accused of major abuses through the 1990s in the provinces of Papua and Aceh and in East Timor, a former province that has since gained independence.

International rights groups have said members of Kopassus were linked to the disappearance of student activists in 1997 and 1998 and were never held accountable.
Rights groups say Kopassus members have been linked to missing activists [EPA]

The US cut ties with the military unit under a 1997 law that banned US training for foreign military units accused of human rights violations.

Two years later, Washington severed all ties with the Indonesian military after troops rampaged through East Timor when it voted to secede from Indonesia.

The US lifted that overall ban in 2005 but kept its restrictions against Kopassus.

But Indonesia's president pledged on Thursday that there would be no more rights abuses by the Indonesian military.

"I'll guard the Indonesian military reform and ensure that what happened 10 or 20 years ago will not happen again," Yudhoyono was quoted as saying by Purnomo Yusgiantoro, his defence minister, at the meeting with Gates.

Rights groups sceptical

However, rights groups have criticised the lifting of the ban, saying they are sceptical that the elite unit will be held accountable for past alleged abuses or will reform enough to prevent future abuse.

Usman Hamid, director of the human rights group, Kontras, in Jakarta, said the new US policy should have been implemented after the Indonesian government fulfilled its promise to bring to justice those responsible for rights violations.

"The US must ensure that first there are some policies taken by Indonesian authorities," he told Al Jazeera.

"One is to remove all human rights violators from Kopassus and the armed forces.

"It's hard to see the administration's decision as anything other than a victory for abusive militaries worldwide"

Sophie Richardson, Asia advocacy director, Human Rights Watch

"Secondly is to prosecute those responsible for the crimes and thirdly is to put soldiers from Kopassus and all the armed forces soldiers under civilian jurisdiction."

Meanwhile, US-based Human Rights Watch said the decision undermined the slight progress Indonesia's military has made.

Sophie Richardson, the group's Asia advocacy director, said in a statement that the US was disregarding the problems that will persist in implementing reforms and accountability.

"The Indonesian justice system rarely vigorously investigates or prosecutes anyone from the military, so forces like Kopassus will likely still be able to commit abuses with impunity and still meet the Obama administration's standards," she said.

"It's hard to see the administration's decision as anything other than a victory for abusive militaries worldwide."

http://english.aljazeera.net/news/asia-pacific/2010/07/201072362145848678.html