domenica 28 novembre 2010

Dubai, oltre il sogno

Dubai, oltre il sogno. Reportage video di Christian Elia ed Elisabetta Norzi

http://it.peacereporter.net/videogallery/video/12308

Dossier Armi

Armiamoci e pagate
http://it.peacereporter.net/articolo/25506/Armiamoci+e+pagate

Il dossier di PeaceReporter sulle spese militari italiane
Meno libri, più armi

Ai tagli alla scuola pubblica non corrispondono riduzioni della spesa militare. Anzi: MAKE SCHOOL NOT WAR - clicca sulla foto per leggere il dossier La legge di stabilità in approvazione continua...
Un riarmo da un miliardo di euro

Il governo Berlusconi ha i giorni contati, ma prima di lasciare il potere ha voluto fare un ultimo regalino a Finmeccanica. Con il silenzio-assenso delle opposizioni: Nei giorni scorsi, nonostante le difficoltà finanziarie in cui versano le casse dello Stato, le commissioni Difesa continua...
4 Novembre, poco da festeggiare

Il governo promuove la cultura militarista nelle scuole e tra i giovani, manda sempre più ragazzi in guerra, a morire e uccidere in Afghanistan, e ora vuole anche bombardare quel paese, spende miliardi di euro per comprare bombe e aerei da guerra: Introduzione di programmi militari nella scuola pubblica, istituzione di 'mini-naje' per ''rafforzare la conoscenza e la continua...
Usa, le giovani reclute

Sulle 'kids page' dei siti di Cia, Fbi e Nsa si spiega ai bambini come diventare agenti segreti. E non è solo un gioco: Hai meno di 18 anni e vuoi diventare un agente segreto, un esperto di codici criptati o uno 007 federale? Basta accedere continua...
Make School, Not War

Gli studenti dei collettivi di Milano protestano contro L’Unuci per il programma di educazione militare nelle scuole della Lombardia: “Ribellati per la vita, diserta la scuola della guerra”. Questo è uno degli slogan gridati da una tren continua...
‘L’impostazione militare non è un male'

In un’intervista a PeaceReporter il tenente Paolo Montali racconta come si svolge il programma 'Allenati per la vita' all’interno dell’anno scolastico: Il tenente Paolo Montali, responsabile provinciale del programma ‘Allenati per la vita’, è un ufficial continua...
Esercito, scuola di vita

‘La scuola non è neutrale’, secondo il direttore scolastico della Lombardia non dobbiamo ‘fare dei nostri alunni delle specie di invertebrati': Il dott. Giuseppe Colosio è il direttore scolastico per la Lombardia. Insieme al generale De Milato ha firmato il continua...
Libro e moschetto, italiano perfetto

In Lombardia un protocollo tra il ministero della Difesa e quello dell’Istruzione riporta nelle scuole quello che era uscito dalle caserme: la leva: Disciplina, spirito di corpo, sana competizione: valori sportivi e militari. Sembra un filmino dell’Istituto Luce, direttamente dal ventennio, invece è il programma ‘Allenati per la vita’, realtà dal 2007, materia di studio nella scuola superiore lombarda.Sono tre anni che il Pirellone e il Comando militare regionale siglano un protocollo d’intesa con l’Ufficio scolastico regionale che “ continua...
Cecilia Strada, Emergency: 'Una proposta stupefacente'

'Per lavorare in gruppo ci sono mille modi diversi che non hanno bisogno né di poligoni di tiro, né di esercizi ginnico militari': Cecilia Strada, presidente di Emergency si trova in queste ore in Afghanistan. Appena letta la notizia del percorso di 'f continua...
Cultura di guerra

Al via la mini-naja prevista dalla 'legge Balilla' voluta dal ministro La Russa: ''Siamo soddisfatti degli esiti, che hanno visto i ragazzi impegnarsi oltre i loro limiti personali per non cedere, cemen continua...
Finmeccanica vende sei velivoli alla Difesa. Costano 220 milioni

L'intesa si inserisce nell'ambito di un accordo più ampio per la fornitura complessiva di 15 M-346 "Master" e relativo supporto.: Scritto per noi daStefano Ferrario Finmeccanica, attraverso la sua società Alenia Aermacchi, basata a Venegono In continua...
La scuola della guerra

La riforma scolastica del ministro Gelmini e gli affari con Finmeccanica: Scritto per noi daStefano Ferrario Il Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, On. Mariastella continua...
Forze Armate, un regalo da 23,5 miliardi

'Il caro armato' di Francesco Vignarca e Massimo Paolicelli fa i conti in tasca alla Difesa: Le Forze Armate italiane hanno di che festeggiare, nel giorno della festa nazionale a loro dedicata. Le spese militari pe continua...
I soldi per armi e guerra: un pessimo investimento

Opporsi agli investimenti bellici non è solo una questione etica, significa smascherare un mercato viziato: Scritto per noi daChiara Avesani Firenze Fiera, Incontro Nazionale di Emergency. Il dibattito di PeaceReporter sul cru continua...
Scuola e aziende belliche

L’ingresso di AgustaWestland nelle scuole medie inferiori del territorio: Scritto per noi daStefano Ferrario È un altro anello importante della catena della produzione militare: il rappor continua...
Gli armamenti, l'Eldorado anche durante la crisi

Finmeccanica è in controtendenza rispetto alla recessione italiana: guadanga, cresce e gli azionisti si spartiscono i dividendi: Scritto per noi da Stefano Ferraio Il bilancio 2008 di Finmeccanica, approvato il 29 aprile, presenta cifre da capogiro. continua...
Fulmine di guerra

Il caccia F-35 di cui si doterà l'Italia è funzionale all'attuale scenario di guerra permanente: Scritto per noi daStefano Ferrario Il nuovo 'caccia da attacco combinato' (Joint Strike Fighter) F-35 'Fulmine', di cui continua...
La grande crisi? Non per le armi

L'industria armiera italiana, largamente controllata dalla finanziaria semi-pubblica Finmeccanica, vive e vive molto bene, nonostante la crisi: Scritto per noi da Paolo Busoni Il tremendo terremoto in Abruzzo -col suo carico di morte e devastazione- avviene in un continua...
Per la guerra i soldi non mancano

I nuovi caccia F-35 costeranno 13 miliardi: Mercoledì scorso, due giorni dopo il terremoto in Abruzzo, le Commissioni Difesa di Senato e Camera hanno espresso continua...
Una forsennata corsa al riarmo

Intervita al senatore Silvana Pisa, membro della Commissione Difesa del Senato: Ventitrè miliardi e rotti per le spese militari. Un aumento dell'11,1 percento rispetto alla precedente Finanziaria. continua...
Finanziaria in divisa

Ventun miliardi alla Difesa, Natale ricco per le aziende belliche: Le minacce del Ventunesimo secolo, evocate con forza sempre maggiore, dopo l'11 settembre, ad ogni vertice annuale dell continua...
Armi, riconvertire conviene

A Brescia esperti a convegno su come 'Disarmare il Territorio': Scritto per noi da Ludovica Jona Territori disarmanti. “Caro operaio, scrivere a te che con 80 mila comp continua...
Promesse da marinaio

Il governo aumenta le risorse e la flotta navale italiana diventa più grande e più moderna: Si sapeva. Che l'esecutivo Prodi avrebbe deluso parte del suo elettorato e dei suoi parlamentari, rinunciando a dirot continua...

Dossier Finmeccanica

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Le priorità di Finmeccanica

: Finmeccanica, attraverso la sua controllata Alenia Aeronautica ha fornito ulteriori due velivoli militari da trasporto continua...
Un riarmo da un miliardo di euro

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Finmeccanica: sistemi a infrarossi per esercito Usa

DRS Tecnologies, gruppo Finmeccanica, si è aggiudicata lo scorso 14 settembre un contratto da 1,9 miliardi di dollari dall'Esercito degli Stati Uniti: Scritto per noi daStefano Ferrario DRS Tecnologies, gruppo Finmeccanica, si è aggiudicata lo scorso 14 settembr continua...
Finmeccanica vende sei velivoli alla Difesa. Costano 220 milioni

L'intesa si inserisce nell'ambito di un accordo più ampio per la fornitura complessiva di 15 M-346 "Master" e relativo supporto.: Scritto per noi daStefano Ferrario Finmeccanica, attraverso la sua società Alenia Aermacchi, basata a Venegono In continua...
I conti di Finmeccanica

Utile netto in crescita e produzione prevalente bellica : Scritto per noi daStefano Ferrario Il consiglio di amministrazione di Finmeccanica ha approvato i risultati per il 2009 continua...
La scuola della guerra

La riforma scolastica del ministro Gelmini e gli affari con Finmeccanica: Scritto per noi daStefano Ferrario Il Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, On. Mariastella continua...
Finmeccanica e i portatori di interessi

Presentato un 'insostenibile' rapporto di sostenibilità: scritto per noi daGianpaolo Concari Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice (d. continua...
Finmeccanica rimoderna gli Apache britannici

Il contratto è con il Ministero della Difesa inglese, di entità pari a 439 milioni di sterline : Scritto per noi daStefano Ferrario Il 6 ottobre AgustaWestland, l’azienda trainante del gruppo Finmeccanica che ha continua...
I conti in tasca a Finmeccanica

Tra armamenti e azioni, investire in armi conviene: Scritto per noi daStefano Ferrario Guardiamo alle ultime operazioni economico-finanziarie "made in Italy", che si celano continua...

mercoledì 24 novembre 2010

Portuguese unions stage strike

Workers protest against the debt-laden government's austerity measures expected to cause wage cuts and job losses.
Last Modified: 24 Nov 2010 09:55 GMT

Portugal's two biggest unions held their first joint general strike since 1988, in a bid to weaken the debt-laden government's austerity measures expected to cause wage cuts and job losses.

Unions stopped trains and buses, grounded planes and paralysed major ports on Wednesday.

The strike, in which for the first time in more than 20 years, private and public sector workers have come together, also hit media and halted services from healthcare to banking.

Jose Socrates, the prime minister whose government is struggling to quash speculation that Portugal will be the next European country to need a bailout after Ireland and Greece, has pledged to stay the
course on public-sector wage cuts and tax hikes to cut the budget deficit.

Portugal's main opposition party said on Tuesday it would not block the government's 2011 budget, paving the way for its adoption on Friday.

It aims to reduce the deficit from 7.3 per cent of GDP to 4.6 per cent next year in a bid to quell growing international unease over the state of its finances.

Unpopular measures

The austerity measures are widely unpopular with the Portuguese.

"We are protesting against the cuts because they mean we wont be able to meet our basic needs, pensioners wont have enough money for medicine," Leonore Pedro, a striker, told Al Jazeera.

"It's the workers who are paying for the crisis, not the bankers nor the shareholders of big companies," Leandro Martins, a pensioner, said.

Portugal has suffered from years of low growth and waning competitiveness which economists
say undermines its ability to ride out the debt crisis.

Even though the economy is growing this year, economists now fear it will slide back into recession next year.

Unemployment, is already at its highest since the 1980s at 10.9 per cent, could rise further.

The Portuguese strike follows similar stoppages in other troubled euro economies such as Greece and France, as governments are forced into unpopular cost-cutting programmes.

http://english.aljazeera.net/news/europe/2010/11/2010112482117323260.html

Liberthalia

http://liberthalia.wordpress.com/

La Nato vara una exit strategy. Via da Kabul nel 2014. Forse

Al summit di Lisbona è stato ridefinito il ruolo dell'Alleanza che mette al centro la difesa antimissile

Matteo Alviti
Mentre fuori dalla solita "zona rossa" si muovevano le proteste degli avversari della Nato, e a Londra migliaia di persone manifestavano contro la guerra in Afghanistan e le nuove strategie dell'Alleanza atlantica, a Lisbona si consumavano gli ultimi atti di un copione scritto fin troppo bene in quasi un anno di lavoro da una commissione guidata dall'ex segretaria di stato Usa Madeleine Albright.
Da ieri la Nato ha un nuovo volto. Che per la verità assomiglia molto a quello che aveva fino all'altro ieri. Al vertice di Lisbona in quarantott'ore i ventotto paesi membri hanno votato un nuovo concetto strategico, una riorganizzazione della struttura dell'alleanza, hanno rimesso sui binari il rapporto con la Russia e definito l'orizzonte per l'uscita dall'Afghanistan. Più o meno.
Ieri nella capitale portoghese è stato soprattutto il giorno dell'Afghanistan. Presenti il segretario generale Onu Ban ki-moon, il presidente Karzai e le delegazioni dei 48 paesi impegnati nella missione Isaf a guida Nato, l'Alleanza si è impegnata a completare un percorso di uscita delle truppe combattenti dal paese in tre anni, dal luglio del 2011 al 2014. Come chiedeva Karzai. E come vuole poter dire Obama ai suoi elettori statunitensi. Ma la realtà è un po' più complicata. Lo fanno già intendere le parole del segretario Nato Rasmussen, il quale ieri ha detto che i taliban devono scordarsi un "ritiro" dell'Isaf: la Nato starà «tutto il tempo necessario». E soprattutto lo hanno specificato alcuni delegati Usa, secondo cui Washington non ha ancora deciso un termine definitivo per il ritiro della missione combattente. Ad aver preso sul serio il passaggio del comando militare entro il 2014 sono stati forse solo i taliban, che ieri, tramite un portavoce hanno commentato: «Dopo nove anni di occupazione gli invasori stanno affrontando lo stesso destino di chi li ha preceduti. Le nuove truppe, le nuove strategie, i nuovi generali e la nuova propaganda non sono stati d'aiuto».
Quale che sia la data dell'effettivo ritiro, ieri Obama ha ringraziato i premier canadese Harper e italiano Berlusconi per l'impegno in Afghanistan. Poco prima, a margine dell'incontro, il ministro degli esteri Frattini aveva reso noto che l'Italia manderà altri 200 addestratori in Afghanistan, che si andranno ad aggiungere ai 3688 militari italiani già presenti.
Tornando al documento votato venerdì sera, il nuovo concetto strategico aggiorna all'attualità dei conflitti odierni l'impegno della Nato sullo scacchiere internazionale post undici settembre. L'Alleanza, ora sta scritto anche nero su bianco, dovrà poter difendere i suoi membri fuori dai propri confini, rispondendo ad attacchi portati in maniera asimmetrica. E per farlo, è la seconda importante novità di venerdì sera, potrà servirsi anche del nuovo scudo missilistico dislocato tra Polonia, Repubblica Ceca e Turchia, su cui è stato raggiunto un delicato accordo e sul quale si tenterà, col tempo, di far convergere definitivamente anche la Russia di Medvedev. La questione dello scudo ha fatto emergere un dissidio interno tra due protagonisti dell'Alleanza, Germania e Francia, divisi sul futuro della deterrenza nucleare. Alla fine nel testo non si è fatto riferimento esplicito né all'uscita progressiva auspicata da Berlino, né all'importanza del nucleare che tanto sta a cuore a Parigi - e in misura minore a Londra. Una situazione interlocutoria.
E a proposito dei rapporti Nato-Russia. La bozza di documento che girava ieri, e che probabilmente sarà stata approvata, rimane interlocutoria sulla collaborazione allo scudo missilistico: si dovrà «proseguire la cooperazione». Il che equivale a una presa di distanza del Cremlino, che comunque garantisce la partecipazione dei suoi tecnici allo sviluppo del piano. Russia e Nato si sono intanto impegnati a evitare l'uso della forza gli uni contro gli altri. E hanno ribadito che si continuerà sulla strada della denuclearizzazione, messa in discussione oggi proprio dai Repubblicani statunitensi, pronti a bloccare la ratifica del nuovo accordo per la riduzione delle testate nucleari Start firmato ad aprile.

Liberazione 21/11/2010, pag 8

Al via il muro al confine Israele-Egitto

Israele ha avviato i lavori di costruzione di una barriera lungo il confine con l'Egitto, per bloccare l'ingresso nel Paese ai migrati irregolari e a eventuali terroristi. Stando a quanto riferisce la Bbc, la barriera coprirà 250 chilometri di confine e sarà dotata di una recinzione elettrica e di sistemi di sorveglianza. Il progetto, del costo di 372 milioni di dollari, verrà completato nell'arco di un anno. Centinaia di migranti, tra cui molti richiedenti asilo, entrano ogni settimana in Israele dal vicino Egitto. In 2009, è stato registrato l'arrivo di 4.341 migranti.
Il progetto di costruzione della barriera è stato approvato dal governo israeliano lo scorso marzo. Il premier Benjamin Netanyahu ha definito il flusso di migranti irregolari che entrano nel Paese come una grande minaccia al «carattere ebraico e democratico dello Stato di Israele».
Tra le ragioni di questo nuovo flusso l'accordo Italia-Libia del 2009 che ha ridotto le rotte verso l'Europa spingendo i migranti africano verso altri paesi.

Liberazione 23/11/2010, pag 7

Irlanda, con gli aiuti arriva la crisi politica

Il governo di Dublino accetta il piano Ue-Fmi, ma ora rischia elezioni anticipate

Matteo Alviti
Se qualcuno si fosse chiesto nei giorni scorsi perché il governo irlandese era tanto riluttante ad accettare gli aiuti economici offerti dall'Europa, ecco la risposta. A un giorno dal sospirato "sì" a un piano di sostegno da - almeno - 80 miliardi di euro concordato con Ue, Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale, ieri è arrivata puntuale quanto prevista la richiesta di elezioni anticipate.
A domandare di tornare alle urne non sono solo le opposizioni, il Fine Gael e il Labour, ma anche i Verdi nella coalizione di governo e due parlamentari indipendenti decisivi per la maggioranza di centrodestra, Jackie Healy-Rae e Michael Lowry. Quest'ultimi hanno già annunciato che il prossimo 7 dicembre non voteranno la finanziaria per il 2011, che contiene tagli e aumenti di tasse per 6 miliardi di euro, la prima tranche di un piano complessivo di risparmio da 15 miliardi in quattro anni - 10 miliardi di tagli e 5 di aumento delle tasse.
Se il governo dovesse cadere, il periodo minimo necessario per organizzare le elezioni sarebbe di tre settimane. Ed «è essenziale avere un nuovo governo eletto il prima possibile», ha ribadito ieri il leader del Labour Gilmore. Fosse per i Verdi, alleati del partito del premier Fianna Fáil, le elezioni si dovrebbero tenere a gennaio, non prima di aver approvato la finanziaria 2011 e il piano di salvataggio finanziato dal fondo europeo. «Gli irlandesi hanno bisogno di certezze politiche che gli facciano superare i prossimi due mesi», hanno detto i Verdi, «per questo crediamo sia ora di fissare una data per le prossime elezioni nella seconda metà di gennaio».
Anticipando le critiche che pioveranno sul partito ecologista da parte degli irlandesi, da sempre fieramente insofferenti alle "imposizioni" di Bruxelles, ieri il leader del Green party, John Gormley, ha detto di essere «molto dispiaciuto per il fatto che il paese sia ora nelle mani del Fmi»: «Ma crediamo che sia tempo di stare al governo per l'interesse nazionale».
Gli irlandesi - tra lo sfiduciato e l'infuriato dopo due anni di dura austerità dovuta all'esplosione della bolla edilizia e bancaria - aspettano con una certa angoscia gli annunci del governo previsti per mercoledì. Domani il premier conservatore Cowen renderà noti infatti da una parte i piani di taglio ai salari minimi, alla spesa sociale e al numero dei dipendenti pubblici, e dall'altra i particolari del piano di aumento delle tasse, che dovrebbero riguardare una nuova imposta sulla proprietà e un aumento di quelle sui redditi più alti.
I sindacati hanno avvertito il governo che le misure di austerità potrebbero scatenare un'ondata di proteste in tutto il paese. Si teme che il vento greco possa soffiare fino all'Irlanda. E per il prossimo 27 novembre i sindacati hanno organizzato una grande manifestazione di protesta a Dublino.
Intanto, mentre si precisano i contorni del piano di salvataggio chiesto formalmente domenica da Cowen e subito approvato, gli effetti del "sì" di Dublino non si sono fatti attendere sui mercati, dove l'euro è salito oltre 1,37 sul dollaro. Si salverebbe, almeno per ora, la flat-tax sulle imprese al 12,5%, che ha fatto la fortuna dell'Irlanda e che altri paesi considerano invece concorrenza sleale: nessuno ci ha chiesto di cancellarla, ha detto Cowen.

Liberazione 23/11/2010, pag 7

Traffico di rifiuti: arrestati vertici Riso Scotti Energia

Il reato ascritto è di inquinamento ambientale. L'accusa è gravissima: traffico illecito, truffa e falso

Giovanni Giovannetti
Dal nuovo stabilimento della Riso Scotti al Bivio Vela vanno e vengono gli autoarticolati. Passano davanti alla ruota del mulino e alle bandiere dell'Europa dell'Italia e della Romania. Portano il risone da lavorare (200.000 tonnellate l'anno, il 18% della produzione nazionale; in Italia, il 95% del risone è coltivato nelle provincie di Novara, Vercelli e Pavia): pulitura, sbramatura, sbiancatura per 15 tonnellate di materia prima ogni ora.
All'alba di martedì 17 novembre, insieme al primo camion, alla Riso Scotti Energia sono arrivati gli agenti del Corpo Forestale. Sequestrato l'impianto di co-incenerimento; arresti domiciliari per il presidente Giorgio Radice e per il consigliere delegato e responsabile dell'inceneritore Giorgio Francescone, accusati di traffico illecito di rifiuti, truffa e falso. Truffa perché la Riso Scotti Energia, oltre a percepire sovvenzioni per la produzione di energia pulita, avrebbe venduto a termovalorizzatori e aziende agricole la lolla miscelata a quei rifiuti nocivi che non avrebbero dovuto nemmeno passare di lì; un business calcolabile in 30 milioni di euro. Falso per via della contraffazione dei certificati di analisi.
Oltre alle biomasse vegetali come la lolla, il cippato di legno vergine e altri rifiuti speciali non pericolosi e trattati, per quel camino sarebbero invece passati anche rifiuti di varia natura, quali legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione di acque reflue urbane ed industriali, ed altri materiali misti. L'elenco delle schifezze comprende anche le «terre nere dalla pulitura delle strade», roba tossica. Interrogato nel giugno scorso, un dipendente di Scotti Energia avrebbe «visto due volte il camion di Asm scaricare nella lolla del riso i rifiuti provenienti dallo spazzamento stradale».
Tra il 2005 e il 2009 la Riso Scotti Energia ha ottenuto dal Gse (Gestione dei Servizi Elettrici) sovvenzioni statali per 21 milioni di euro, destinati all'energia proveniente da fonti rinnovabili, per un totale di 60 milioni, dal 2002 a oggi. Un terzo di questi soldi sarebbero stati incassati senza che il gruppo agroalimentare pavese ne avesse diritto, perché le fonti non erano "rinnovabili". Infatti nell'inceneritore finiva una miscela composta solo per il 10 per cento da lolla: il resto erano plastiche (70 per cento) e legnami (20 per cento). Insomma, se l'accusa fosse confermata saremmo di fronte a una truffa ai danni dello Stato e dei contribuenti. Peggio: cadmio, cromo, mercurio, piombo, nichel e altri metalli pesanti nocivi ce li ritroveremo nelle falde acquifere, nel ciclo alimentare, nell'aria e nei polmoni. Controlli? Dal 2007 il rilevatore interno registra l'assoluta assenza di sostanze nocive, con valori prossimi allo zero: «Un risultato semplicemente impossibile per impianti di questo tipo», osserva il capo della Forestale lombarda Ugo Mereu.
Oltre ai due dirigenti, sono agli arresti domiciliari l'ex direttore tecnico dell'inceneritore Massimo Magnani, il direttore del laboratorio Analytica di Genzone Marco Baldi (incaricato delle analisi sui rifiuti), il tecnico del laboratorio Silvia Canevari, l'impiegata Cinzia Bevilacqua, e Alessandro Mancini amministratore della Mancini Vasco Ecology di Montopoli in Valdarno (Pisa), uno dei fornitori dei rifiuti irregolari.
L'indagine "Dirty Energy" della Procura pavese è tuttora in corso. Le bocche sono cucite. Qualche altra informazione la si può ricavare scorrendo i quotidiani toscani. Ad esempio, il "Corriere di Maremma" collega l'operazione "Dirty Energy" all'indagine toscana "Golden Rubbish", che a sua volta «ha preso spunto da uno stralcio della Procura della Repubblica di Napoli - scrive il giornale - in merito al traffico di rifiuti prodotti dalla bonifica dell'area dell'ex Italsider di Bagnoli, che ha individuato in Toscana la loro ultima destinazione». Secondo i Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (Noe) di Grosseto, l'organizzazione ruotava attorno alla Agrideco di Scarlino, società che «oltre ad avvalersi di una rete di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, impianti di trattamento, siti di ripristino ambientale e discariche, regolava, gestiva e smaltiva nel suo impianto il flusso di rifiuti».
Il 26 giugno 2008 all'Agrideco un'esplosione uccide Doru Martin, un operaio rumeno dì 47 anni. Nella fabbrica c'erano grandi quantitativi di bombolette spray a gas propano liquido, altamente infiammabile, prodotti da un'importante multinazionale del settore cosmetici, arrivati dalla Lombardia senza alcuna analisi preventiva, a cui erano stati attribuiti i codici - manifestamente falsi - dei rifiuti non pericolosi.
L'indagine del Noe porta ben presto in diverse parti d'Italia, soprattutto al nord: vengono denunciate 61 persone, con l'accusa di associazione per delinquere, omicidio colposo, lesioni personali colpose, incendio, traffico illecito di rifiuti, gestione non autorizzata di rifiuti, falsificazione dei registri e notificazioni e falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (tra gli indagati anche l'imprenditore mantovano Steno Marcegaglia, padre del presidente di Confindustria Emma e presidente dell'omonimo gruppo).
Disastro ambientale? Presto sapremo. Ma è lecito domandare quale danno hanno potuto arrecare i metalli pesanti usciti dal camino della Scotti Energia e dispersi nell'aria: in due anni, figurano bruciate circa 40mila tonnellate di rifiuti pericolosi. Dove li potremmo ritrovare? Nei campi? Nel ciclo alimentare? Nei polmoni? L'Agenzia regionale per l'ambiente (Arpa) nega il pericolo; Legambiente minimizza; il sindaco Cattaneo rinnova «la sua stima per la Riso Scotti...». Ma se tutto era a norma, per quale motivo il giudice Erminio Rizzi - la cui prudenza è leggendaria - dopo un'indagine durata anni, ha firmato sette ordinanze d'arresto e ha sequestrato l'impianto? E l'Asl? Ecomafie? Perché dell'inceneritore si occuperà anche il Dda? Sulla centralina di controllo dei fumi corrono strane voci: era funzionante? Un bruciatore progettato per la lolla e destinato alla produzione di energia da biomassa non è compatibile con rifiuti che richiedono temperature molto elevate (secondo una recente verifica tecnica, l'impianto differisce «in maniera sostanziale»). Quando si bruciano metalli a bassa temperatura si possono sprigionare diossine, estremamente tossiche e cancerogene. I fumi venivano filtrati? Oltre al traffico illecito, è lecito temere danni per la salute dei cittadini? Attendiamo risposte dall'Arpa, dall'Asl, da Legambiente, dal sindaco Cattaneo e dalla locale Procura.
E Dario Scotti? Al momento il «dottor Scotti» preferisce il silenzio, dichiarandosi pronto a costituirsi parte civile «se sarà necessario, per difendere la sua azienda», precisando che Scotti Energia e Riso Scotti sono disgiunte. E chi intascava i fondi pubblici? (un business nel business, come se il riso fosse un sottoprodotto della lolla, e non il contrario). E i proventi della vendita dei veleni? Quelli usati come lettiere per maiali e pollai da alcuni grandi allevamenti zootecnici del Piemonte, della Lombardia e del Veneto. Evabbè...

Liberazione 23/11/2010, pag 6

Elicotteri e caccia, spese militari a go-go

Il governo dà i numeri (che non tornano) e parla di "buon investimento"

Beatrice Macchia
Davvero c'è qualcosa che non quadra. Nel mettere a confronto i dati e la realtà delle spese militari (e dei maggiori progetti di produzione di armamenti) con le dichiarazioni che vengono fatte al riguardo sulla scena italiana sembra quasi di trovarsi di fronte a due pianeti diversi. Politici, militari e imprenditori in questi mesi e in diverse occasioni si sono trovati tutti a piangere miseria, dicendo che non ci sono più risorse, che si deve tagliare l'operatività e la fase di esercitazione delle forze armate (si veda a riguardo il recente articolo di Repubblica spacciato come «inchiesta di attualità»), senza poi spiegare perché solo in questo comparto non si parla mai di ristrutturazione ed efficienza. Come invece sbandierato orgogliosamente, e spesso incoscientemente, per tutti i settori di spesa pubblica.
E' vero (come abbiamo già spiegato) che in molti paesi tra i più sviluppati la crisi economica sta facendo pensare ai governi di ridurre i fondi di pertinenza militare. Ma questi tagli in previsione, che solo con ritardo arrivano in un comparto privilegiato e finora considerato intoccabile, non possono certo preoccupare chi continua a lucrare sul commercio di armi; soprattutto non sembra toccare i decisori politici italiani, che continuano a credere alla "favola" che vede nell'acquisto di grossi sistemi d'arma una garanzia di buon impatto economico e di grande capacità difensiva. Lasciando per un momento da parte questo secondo aspetto (bisognerebbe però capire, alla fine, che i cittadini italiani sono più minacciati da alluvioni, precarietà, mancanza di servizi, sgretolamento sociale e del tessuto economico piuttosto che da nemici da combattere a colpi di bombe...), è soprattutto il primo, quello di natura economica e di spesa, a dover stimolare attenzione in chi ha a cuore il destino dei soldi pubblici.
Le notizie di questi giorni, con rivelazioni di stampa al momento per nulla smentite, danno conto di un importante e dispendioso programma che l'aeronautica militare ha messo in campo per il rinnovo della flotta di elicotteri. Con che compiti? Ricerca, salvataggio ma anche e soprattutto combattimento. Si tratterebbe dell'acquisto di 22 nuovi velivoli: 10 AW139 più piccoli e leggeri e 12 AW101, lo stesso modello sul quale avrebbe dovuto volare Obama. I primi avrebbero il compito di sostituire velivoli ormai vecchi dedicati a soccorso ed evecuazione aero-medica con un costo tutto sommato limitato di 200 milioni complessivi. Ovviamente sono le restanti 12 macchine, che si vogliono comprare nella versione da combattimento, salvataggio e soccorso, ad avere un impatto monetario più forte: un miliardo di euro è la stima dell'assegno da staccare per avere queste poderose macchine militari dalla rilevante potenza di fuoco. Ed inoltre, con buona pace di piccole aziende in crisi e disoccupati, a garantire un sostegno finanziario a tutta l'operazione (che vedrà le prime consegne a partire dal 2012) interverrà pure il ministero dello Sviluppo Economico.
Ma la madre di tutte le scelte sbagliate in tema di acquisto di sistemi d'arma è come al solito il progetto per il cacciabombardiere F35, che pare abbia preso lo slancio finale verso l'acquisto. Nel visitare l'impianto di Cameri (una struttura costruita dallo Stato in una proprietà dello Stato a vantaggio di un assemblaggio militare di una impresa privata.... cose che ad una cooperativa di informazione indipendente come Altreconomia non succedono mai!), il sottosegretario alla Difesa Crosetto ha snocciolato con soddisfazione alcuni numeri. Che non tornano, come detto.
Per realizzare l'impianto industriale in cui lavoreranno circa 1.800 addetti il ministero della Difesa ha appena siglato un contratto - per la sola realizzazione delle infrastrutture - del valore di 230 milioni, ma la realizzazione complessiva necessita di circa 800 milioni. Ben 200 in più di quanto stimato e riferito pure al Parlamento nel passaggio dalla fase di progettazione a quella di sviluppo-costruzione. Una crescita di oltre il 30%, e non siamo ancora al consuntivo. Secondo Crosetto il volume d'affari che ruoterà attorno a questo impianto di Cameri «potrà raggiungere i 20 miliardi di euro». Resta da capire se questi conteggi siano stati fatti al buio con una calcolatrice solare.
Si deve infatti partire dalla considerazione che nello stabilimento di Cameri era prevista fin dall'inizio la sola costruzione di ali o parti di esse, per un ritorno di circa il 21% del costo per aereo. Nelle dichiarazioni recenti il sottosegretario Crosetto afferma invece che «il 75% della somma di acquisto verrà spesa in Italia» dunque con una triplicazione rispetto al piano originale (anche se per un investimento pubblico di tale impatto e natura non ci sembra comunque un bel risultato). Anche prendendo per buona questa percentuale, non confermata, va comunque ricordato come nello stabilimento italiano non passeranno tutti gli aerei previsti dal programma (circa 2.500) ma quelli «tricolori» ed eventualmente alcune lavorazioni delle vendite ai partner europei. Vendite che stanno vertiginosamente crollando per il ritiro o il ridimensionamento di partecipazione dal progetto di diversi paesi (Danimarca, Olanda, la stessa Gran Bretagna) e le cui previsioni di produzione e consegna stanno creando apprensione pure al di là dell'oceano.
Secondo un recente rapporto dello United States Government Accountability Office, nella proiezione aggiornata realizzata per febbraio 2010 si prevedeva di iniziare la consegna dei velivoli ordinati dai partner internazionali solo a partire dal 2014. Complessivamente (entro il 2017) solo 202 aerei sono già programmati in consegna: ma poi bisognerà vedere cosa succederà nei fatti visti i numerosi problemi tecnici e i ritardi nelle fasi finali di test che sono emersi di recente. Quindi, anche se per tutti questi F35 la porzione di lavoro italiano fosse davvero del 75%, cosa davvero difficile solamente ad ipotizzarsi, si arriverebbe al massimo a 15 miliardi di euro di volume complessivo di affari. Già un bel quarto in meno delle sempre ottimistiche stime previsionali della vigilia.
Senza dimenticare che, invece, sul lato delle spese la tendenza è quella di ridimensionare gli esborsi d'acquisto e lasciare da parte i campanelli d'allarme su tempi e costi del programma nel suo complesso. Allarmi che recentemente sono addirittura giunti da consulenti dell'industria militare. Loren B. Thompson, consigliere per conto di Lochkeed Martin, ha riferito che il Pentagono ritiene necessari nuovi test, proprio a seguito delle rotture su alcune parti del velivolo. Altri tempi lunghi sono all'orizzonte per quanto riguarda lo sviluppo del software delle componenti radaristiche. Con che impatti? Almeno 5 miliardi di dollari in più di quanto stimato in precedenza: con l'ulteriore crescita di costi stimata in primavera (2,8 miliardi di dollari) ciò porta il totale del programma per la fase del solo sviluppo a 50 miliardi di dollari. Le ultime stime disponibili sul progetto complessivo (alla consegna), che sono state responsabili anche della sostituzione del generale che lo comandava, ammontano per le forze armate Usa a 382 miliardi di dollari per circa 2.450 aerei. Traslando la cifra anche sui caccia comprati dagli alleati, Italia in testa (è plausibile che costeranno non meno di quelli acquistati dagli Stati Uniti, se non di più...), si arriva ad almeno 110 milioni di euro di costo; non certo i 100 di cui ha parlato Crosetto durante la sua visita a Cameri.
Totale per i 131 cacciabombardieri che dovremmo andare a comprare noi: 14,5 miliardi per il solo acquisto. Una bella somma, visti i tempi di vacche magre.

Liberazione 19/11/2010, pag 12

Irlanda come la Grecia Ue, Bce e Fmi al salvataggio

Da oggi missione a Dublino. Ecofin straordinario a metà dicembre

Matteo Alviti
Berlino
Al secondo giorno di attacco combinato da parte dell'Unione europea e delle grandi istituzioni finanziarie, la testarda solidità irlandese nel rifiutare gli aiuti internazionali ha iniziato a scricchiolare. E così ieri, nel giorno del meeting dei ministri dell'economia e delle finanze dei 27 a Bruxelles, Dublino ha detto sì alla formazione di una missione congiunta con l'Ue, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale che individui i passi più urgenti da compiere per frenare lo sgretolamento del sistema bancario irlandese. Oggi stesso un team composto da membri della Commissione europea, del Fmi e della Bce partità dunque per Dublino per esaminare le carte. E stabilire le misure che si renderebbero necessarie qualora il governo del premier Brian Cowen decidesse di chiedere aiuto, è stato chiarito dopo la riunione dell'Ecofin. Proprio Cowen ha tenuto di nuovo a specificare che questa missione si limiterà a stabilire di quale aiuto possa aver bisogno il suo paese, smentendo ancora con forza le voci secondo cui Dublino stia già discutendo un intervento diretto.
Ieri il ministro delle finanze irlandese Brian Lenihan ha detto di aver raccolto tra i ventisei vis-à-vis commenti positivi al suo piano di tagli strategici al budget nazionale. Lenihan, che pubblicherà un documento più dettagliato la prossima settimana, intende risparmiare 15 miliardi di euro. «Quel che può essere utile in questo momento, più che un trasferimento di denaro, potrebbe essere la dimostrazione di dove si possano reperire altri soldi qualora si materializzassero nuove difficoltà», ha detto il ministro. Fino a metà dell'anno prossimo l'Irlanda non dovrebbe infatti avere necessità di reperire nuovi capitali sui mercati internazionali. E questo lascia un po' d'aria al governo.
Ma di che cifre si sta parlando? I 15 miliardi di Lenihan sono sufficienti? Secondo fonti Irlandesi, il paese potrebbe aver bisogno di 50 miliardi di euro, che secondo gli esperti dell'Ue potrebbero facilmente salire a 70 e oltre - la Grecia avrà pure insegnato qualcosa. Ieri i mercati sembravano non aver dato troppo credito all'orgoglioso rifiuto irlandese della mano tesa da Bruxelles, e i costi dei bond irlandesi sono saliti ancora. Il problema, ed è la questione che ha spinto altri paesi a correre in aiuto ancor prima che si gridasse ‘al fuoco', è che oltre ai titoli di stato di Dublino salgono anche i tassi delle altre economie precarie - Potogallo in primis, e poi potrebbero seguire Spagna, Grecia e la solita Italia.
Ma il governo del premier Cowen, che conta su una debole maggioranza, pensa di aver troppo da perdere accettando gli aiuti di Bruxelles. Cosa tema di più è emerso di nuovo ieri dalle parole di Lenihan, che ha ancora una volta smentito le voci secondo cui l'Irlanda dovrebbe alzare la sua tassa per le imprese, attualmente al 12,5%: «La percentuale della nostra tassa sulle aziende è salva», ha detto il ministro delle finanze nonostante sia proprio quell'elemento, considerato concorrenza sleale, a turbare i rapporti con la vicina Gran Bretagna, per esempio.
Proprio i britannici, le cui banche sono esposte in Irlanda per 150 miliardi di dollari, ieri all'ecofin si sono di nuovo detti disposti ad intervenire. Il problema, ha fatto notare il presidente ecofin di turno, il ministro delle finanze belga Didier Reynders, è che si sta cercando una risposta a una domanda che nessuno ha fatto.
Intanto il mancato accordo tra stati membri sul bilancio Ue 2011 e lo spettro di esercizio provvisorio per l'Ue saranno argomento di una riunione straordinaria dell'Ecofin che si terrà nella mattinata del 16 dicembre prima del vertice dei capi di Stato e di Governo a Bruxelles.

Liberazione 18/11/2010, pag 9

«Senza scuola pubblica condannati alla decadenza»

L'intervento di Carlo Ginzburg, in occasione del Premio Balzan

Ieri Carlo Ginzburg, uno degli storici più autorevoli in Italia e nel mondo e figlio di Natalia e Leone Ginzburg, è stato insignito del Premio Balzan 2010 per la storia d'Europa (1400-1700), intitolato ad Eugenio Balzan, giornalista ed imprenditore italiano costretto durante il fascismo ad emigrare in Svizzera dove morì nel 1953. Dopo la sua morte la figlia Angela Lina diede vita ad una fondazione dedicata a suo padre la quale conferisce ogni anno quattro premi nelle categorie "lettere, scienze morali e arti" e "scienze fisiche, matematiche, naturali e medicina", e ogni quattro anni assegna il premio "per l'umanità, la pace, la fratellanza fra i popoli". Pubblichiamo qui il discorso di Ginzburg pronunciato ieri al Quirinale per la consegna del premio.

Carlo Ginzburg
Signor Presidente della Repubblica, Membri della Fondazione Balzan, Signore e Signori, sono profondamente onorato dal premio prestigioso che mi è stato conferito. In questo momento provo il bisogno di ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato con il loro affetto, le loro critiche, il loro insegnamento. Alle persone della mia famiglia e ai miei amici rivolgo un pensiero riconoscente: a quelli che ci sono e a quelli che non ci sono più. Qui, in quest'occasione pubblica, voglio ricordare coloro da cui ho imparato - non tutti, perché l'elenco sarebbe troppo lungo; ma qualcuno sì.
Insegnare è stato il mio mestiere, o meglio un aspetto del mio mestiere, accanto al lavoro di ricerca. Mi è capitato spesso di dire che insegnare mi piace ma imparare mi piace ancora di più. Considero l'imparare una delle grandi gioie della vita. Ho avuto la fortuna di imparare da persone diversissime, piene di qualità straordinarie; se mi volto indietro, la loro generosità e la loro diversità umana e intellettuale mi riempiono di commozione. E penso al meraviglioso disegno in cui Goya ha raffigurato un vecchione con la barba bianca che avanza faticosamente appoggiandosi a due bastoni, sovrastato da due parole: Aun aprendo, imparo ancora, sto ancora imparando. Goya pensava a se stesso, e io guardando quel vecchio mi riconosco in lui. Non si finisce mai di imparare. Ho imparato fuori dalla scuola, in maniera imprevedibile e in circostanze imprevedibili; e ho imparato dentro la scuola, dalle elementari in su, fino a ieri, quando ho lasciato formalmente l'insegnamento: perché, come si sa, gli insegnanti imparano dagli studenti, e viceversa. Quello che dico è banale, perché tutti imparano (l'homo sapiens non è l'animale che sa, è l'animale che sa imparare). Ma non è banale ricordare tutto questo oggi, in un'occasione così solenne, quando in tanti paesi, a cominciare da quello di cui sono cittadino, la scuola è diventata un'istituzione fragile e minacciata - dalla miopia della classe politica, in primo luogo, ma anche dall'attenzione assolutamente inadeguata dell'opinione pubblica. Ho detto miopia: ma mi rendo conto di aver usato un termine improprio. Certo, tagliare gli investimenti destinati all'istruzione, in un mondo in cui l'istruzione è (e sempre più sarà) il bene più prezioso per lo sviluppo di una società, è un gesto miope, che va contro gli interessi del paese: un gesto, diciamolo senza infingimenti, che lo condanna fin d'ora a una sicura decadenza. E tuttavia quest'argomentazione è insufficiente e va respinta, perché di fatto scende sul terreno che vuole combattere, accettando l'idea, così spesso data per scontata, che l'istruzione e la trasmissione del sapere siano beni soggetti alla legge di mercato, al meccanismo della domanda e dell'offerta. Allora mi correggo: non si tratta di miopia, o comunque non solo di miopia. Che cosa ispira l'attacco (perché di attacco si tratta) all'istruzione pubblica: malizia o matta bestialitate? si chiederanno i lettori di Dante. Forse entrambe, chissà.
La mia generazione ha fatto in tempo ad essere coinvolta nella straordinaria tecnologia che ha trasformato la trasmissione e l'apprendimento del sapere: Internet. Qualcuno ha detto che Internet è uno strumento di democrazia. Presa alla lettera, quest'affermazione è falsa. Bisogna aggiungere: è uno strumento di democrazia potenziale. Il motto di Internet è riassumibile nelle parole, paradossali e politicamente scorrette, pronunciate da Gesù: «a chi ha sarà dato» (Matteo, XIII, 12). Per navigare in Internet, per distinguere le perle dalla spazzatura, bisogna avere già avuto accesso alla cultura - un accesso che di norma (parlo per esperienza personale) è associato al privilegio sociale. Internet, che potenzialmente potrebbe essere uno strumento in grado di attenuare le disparità culturali, nell'immediato le esaspera. La scuola ha bisogno di Internet, certo; ma Internet, per essere usato secondo le sue potenzialità (diciamo realisticamente: secondo un milionesimo delle sue capacità) ha bisogno di una scuola pubblica che insegni davvero.
Ho avuto la fortuna nel corso della mia vita di frequentare scuole e università, in Italia e fuori d'Italia, incontrando studiosi straordinari che erano anche tutti, nessuno escluso, insegnanti straordinari. Se non li avessi incontrati sarei oggi un'altra persona, una persona che non riesco nemmeno a immaginare. Ne nomino alcuni: Delio Cantimori, Arsenio Frugoni, Augusto Campana, Arnaldo Momigliano, Gianfranco Contini, Carlo Dionisotti, Ernst Gombrich, Lawrence Stone. E poi, fuori dalle aule universitarie, Felice Balbo, Sebastiano Timpanaro, Cesare Garboli. Ho citato solo nomi di persone morte. Ai vivi, alle persone che mi sono vicine e carissime, va ancora una volta la mia gratitudine.

Liberazione 20/11/2010, pag 8

Afghanistan, la Nato cerca la via d'uscita

Vertice "strategico" a Lisbona. Impossibile stabilire la data del ritiro da Kabul

Matteo Alviti
Si concluderà oggi il vertice Nato di Lisbona aperto ieri. Due giorni per ufficializzare la riforma del concetto strategico dell'Alleanza, a cui si lavora da mesi, e «rivitalizzare», sono le parole del presidente Usa Barack Obama, la Nato per il ventunesimo secolo. Due giorni per ridefinire un patto sottoscritto da ventotto paesi, nato in un'epoca che non c'è più, per fronteggiare nemici che oggi, nella peggiore delle ipotesi, si sono trasformati in avversari, che siedono da invitati intorno allo stesso tavolo.
L'ultimo aggiornamento del concetto strategico Nato risale al 1999. Da allora sono passati undici anni. Ma soprattutto sono cadute due torri e gli Usa hanno iniziato due guerre, una delle quali, quella afghana, attualmente continua sotto il controllo della Nato. C'era urgenza di ridefinire il senso dell'alleanza. «La descriverei come difesa territoriale nel mondo moderno», ha tentato di spiegare il segretario Nato Anders Fogh Rasmussen. «La funzione fondamentale è sempre la difesa territoriale. Ma bisogna capire che nel concetto di sicurezza odierno potrebbe essere necessario andare oltre i nostri confini per proteggerci efficacemente. L'Afghanistan è uno di questi casi». In tempi di guerra asimmetrica "stato vs terrorismo internazionale" c'era bisogno, insomma, di ridefinire il concetto di attacco a uno stato membro e di difesa. Niente più di una formalizzazione, un po' tardiva, dello statu quo.
Oggi verrà affrontato uno dei nodi più intricati su cui la Nato, dopo i disastri degli anni passati, si gioca buona parte della sua "credibilità" internazionale: l'Afghanistan. Ieri Obama ha detto che in quel paese la Nato starebbe iniziando una nuova fase, «una transizione delle responsabilità che inizierà nel 2011 e si concluderà nel 2014, con le forze afghane che assumeranno il controllo della sicurezza». Il presidente Karzai, che parlerà oggi al summit - a cui prenderanno parte anche tutti i 48 paesi che partecipano alla missione Isaf - ha ribadito di volere la fine delle operazioni di combattimento entro il 2014. Con i loro 130mila militari, entro tre anni le forze Isaf della coalizione dovranno prendere il controllo del paese. Cosa che finora non sono ancora riusciti a fare.
Un Afghanistan di nuovo pienamente sovrano nel 2014? Non proprio. Quella del 2014 è una possibilità concreta, ma pur sempre una possibilità, secondo gli Usa, per cui il termine è realistico ma non definitivo. Per dirla con le parole del portavoce del Pentagono Geoff Morrell, è da intendere come «un'aspirazione», che non vuol dire automaticamente che tutte le forze della coalizione dovranno lasciare il paese entro quella data. Il premier britannico Cameron l'ha già detto: «Le nostre truppe combattenti saranno fuori dall'Afghanistan entro il 2015». Una possibilità realistica - sul modello del ritiro degli Usa dall'Iraq - secondo il segretario Rasmussen, che ha annunciato per oggi un importante dichiarazione.
Al vertice Nato partecipa anche il presidente russo Dmitri Medvdev. Un segno, più che formale, di una certa distensione dei rapporti: era dalla guerra russo-georgiana del 2008 che un presidente russo non prendeva parte a un vertice Nato. E questo nonostante sia ancora aperta la questione della difesa missilistica da disporre tra Polonia, Repubblica Ceca e Turchia - progetto pensato dall'amministrazione Bush e "riconvertito" da Obama, la cui effettiva realizzazione è ancora segnata dai dubbi di Mosca. Oggi durante l'incontro con Medvedev verrà affrontato di nuovo il tema di una difesa congiunta Nato-Russia da un nemico mai formalmente nominato, l'Iran. E le reciproche diffidenze saranno in parte mitigate: da una lato per la promessa del Cremlino di agevolare logisticamente i rifornimenti militari per l'Afghanistan allentando le restrizioni all'uso del proprio territorio. Dall'altra per le rassicurazioni di Obama sulla ratifica del nuovo trattato Start sulla riduzione degli arsenali nucleari, «la più alta priorità per la sicurezza nazionale». Non si arriverà probabilmente a un sistema comune, ma a un cooperazione. Rasmussen è ottimista: «Penso che assisteremo a un nuovo inizio delle relazioni Nato-Russia».
L'Alleanza atlantica deciderà infine anche sulle proposte in campo per un cambiamento della struttura di comando, per ridurre i processi burocratici e contenere le spese in un momento difficile persino per le spese militari. I piani prevedono una riduzione delle attuali quattordici agenzie a tre, e delle strutture di comando da tre a due, con un taglio del personale da 13 a novemila persone.

Liberazione 20/11/2010, pag 7

Sinistra europea, i tentativi unitari da Madrid a Berlino

Lo stato delle forze antagoniste in Spagna, Francia, Germania, Grecia e Portogallo

Rifondazione comunista ha sempre guardato con interesse alle modalità utilizzate dalle altre forze della sinistra europea alternativa e radicale, fautrici anche in Parlamento europeo di un gruppo autonomo, il Gue (Gauche Européenne Unitaire) fin dal lontano 1989, per limitare la frammentazione ed arrivare al massimo di unità. Con il fine di diventare sempre più una spina nel fianco dei grandi partiti socialdemocratici e in Italia degli ex Ds ora Pd e dunque anche una possibile alternativa alle forze più moderate. Lo stesso tentativo ora in atto da parte della Federazione della sinistra dopo anni e anni di divisioni e dolorose scissioni. I paesi ai quali dall'Italia si è sempre guardato con attenzione sono soprattutto la Spagna, la Francia e la Germania ma anche la Grecia e il Portogallo. La genesi con la quale la sinistra iberica ha realizzato e sviluppato il progetto di Izquierda Unida ricorda più o meno quella in corso nella Federazione, con tutte le differenze del caso. Nato nel 1986, vi parteciparono le forze che si erano battute contro l'ingresso della Spagna nella Nato. A dare impulso all'idea furono soprattutto i comunisti del Pce, reduci da una dura sconfitta elettorale (dall'11% del 1979 al 4% dell'82). Il trend fu immediatamente positivo. Al suo esordio Iu prese il 5% e nell'89 il 9 fino ad arrivare al 13,5% alle europee del '94 per poi tornare a crollare di nuovo al 4 alla fine degli anni '90 e all'inizio del primo decennio del XXI° secolo, scontando il protagonismo dei socialisti e di Zapatero. Recentemente un congresso di Iu e poi del Pce hanno posto le basi per una "rifondazione" dell'organizzazione che si emancipi dalla subalternità ai socialisti, forti anche della vittoria della sinistra interna nell'ultimo congresso delle Comisiones Obreras (CCOO). Molto più recente il processo unitario francese. Il Front de Gauche è nato in occasione delle scorse elezioni europee del giugno 2009, dove ha ottenuto un incoraggiante 6% che ha consentito la conquista di 5 parlamentari. A farne parte sono i comunisti, il Partito della sinistra e la Sinistra unitaria, oltre ad altre forze, collettivi o associazioni locali, i quali però non hanno una forma strutturata e si reggono su un patto politico e una convergenza politico programmatica. Ben diverso il processo unitario che in Germania ha portato alla nascita della Die Linke, giovane formazione politica nata dalla fusione della Pds (Partito della sinistra), forza politica tedesca orientale che già all'indomani della caduta del Muro di Berlino conobbe consensi superiori al 20%, con la Wasg (movimento Lavoro e Giustizia Sociale, nata da una scissione a sinistra della Spd), il cui principale rappresentante è l'ex ministro Oskar Lafontaine. Questa unità ha consentito alla nuova organizzazione di diventare un partito di tutta la Germania, che già nel 2005, due anni prima della nascita del partito stesso, arrivava alle politiche all'8,7% in un crescendo che porterà la Die Linke a viaggiare attualmente intorno al 12%. Certamente la sua storia è particolare, essendo nata anche come conseguenza dell'unità tedesca e della scomparsa della Ddr ma certamente colpisce, e dovrebbe essere un esempio, il fatto che pur essendoci stati elementi di dissenso e discussioni anche aspre, non si sono mai verificate scissioni o divisioni. In Grecia lo scenario è molto diverso. I comunisti del Kke erano e restano la principale forza a sinistra del Pasok. Nelle ultime amministrative hanno raggiunto il ragguardevole risultato dell'11% circa contro la leggera flessione del Synaspismòs, scesa dal 4,6 al 4,5%, formazione nata nel 1991 da una scissione del Kke, con il quale questa forza più moderata non è mai riuscita a tessere rapporti unitari. In Portogallo lo scenario della forze a sinistra del Partito socialista si distingue per l'esistenza di due realtà, diverse per cultura politica, ma altrettanto interessanti sia in termini di consensi che di capacità di mobilitazione. Uno, quello della Coalizione democratica unita, vede al centro i comunisti insieme a verdi ed indipendenti, i quali, malgrado gli alti e bassi, hanno mantenuto una forza elettorale che oscilla sempre tra l'8 e il 10% dei consensi: nel 2009 hanno conseguito il 7,88% alla elezioni per il rinnovo del parlamento nazionale e il 10,64 per le europee. Si tratta comunque di un'alleanza elettorale. Altrettanto forte il Bloc d'Esquerra, nato nel 1999 dalla fusione della Unione democratica popolare, del Partito socialista rivoluzionario e di Politica XXI.
Anche il Be, formazione politica della sinistra radicale e di alternativa, aveva confermato lo scorso anno alle politiche lo stesso successo delle europee, con quasi il 10% dei consensi e 16 seggi (contro il 6,4% e 8 seggi del 2005).
V.B.

Liberazione 20/11/2010, pag 2

Italia e Turchia magazzini nucleari

Al vertice di Lisbona i capi di stato Nato, stanno discutendo un piano segreto per stoccare tutte le bombe nucleari americane in Europa, in Turchia e in Italia. La notizia è stata lanciata da Avaaz, un'organizzazione no profit. Germania, Olanda e Belgio e altri Paesi hanno chiesto lo smantellamento degli armamenti nucleari Usa mentre Roma è disponibile ad ospitare altri ordigni nella base di Aviano. Nell'Ue ci sono ancora 200 atomiche americane. Secondo le stime degli esperti l'Italia ne ospita tra 70 e 90, alcune 10 volte più potenti di quella di Hiroshima.
Italia e Turchia sarebbero in procinto in queste ore a dare il loro via libera per ospitare sui loro territori tutte le bombe nucleari targate Usa sparse per l'Europa.
Il segretario generale della Nato Rasmussen era stato chiaro: «Finchè vi sarano armi nucleari, la Nato rimarrà un'alleanza nuclearizzata». E' evidente quindi che nonostante le belle parole pronunciate dal presidente Obama a Praga nell'aprile del 2009, dove dichiarava che Washington era pronta a fare passi concreti per un mondo denuclarizzato, per ora la strategia non cambia: le bombe atomiche restano in Europa pronte ad eventuali utilizzi.
Il caso vuole poi che Germania, Belgio, Lussemburgo, Norvegia e Olanda hanno fatto intendere che intendevano discutere a Lisbona proprio della questione delle bombe nucleari presenti sul loro territorio e che erano pronte a chiedere lo smantellamente dei depositi che attualmente ospitano. Diversa la posizione italiana, che insieme alla Turchia, si sarebbero dette disposte ad ospitare gli arsenali nucleari.
A scatenare questa emergenza è stato un rapporto della US Air Force che ordina di "raggruppare le armi nucleari in meno località geografiche", rispetto alle cinque nazioni Europee in cui sono adesso collocate, ossia Germania, Belgio, Olanda, Italia e Turchia. Secondo la maggior parte degli esperti, "le località più probabili per tale ridislocazione sono le basi sotto controllo Usa di Aviano, in Italia, e Incirlik, in Turchia". E, come hanno ben spiegato Tommaso Di Francesco e Manlio Dinucci in un articolo pubblicato il 28 ottobre scorso sul Manifesto: "Significativo è che alla riunione dei ministri degli esteri della Nato nell'aprile 2010, la questione delle armi nucleari Usa in Europa sia stata sollevata solo da Germania, Belgio e Olanda, mentre Italia e Turchia sono rimaste in silenzio. Ciò lascia presupporre che il governo italiano abbia già dato segretamente il suo consenso al piano di rimuovere le armi nucleari Usa da Germania, Belgio e Olanda per raggrupparle ad Aviano, dove verrebbero trasferite anche quelle di Ghedi-Torre".
Ad Aviano è già presente il 31st Fighter Wing, "composto di due squadriglie di cacciabombardieri F-16 - 510th Fighter Squadron e 555th Fighter Squadron". Lo scopo? "Fornire potenza di combattimento da un capo all'altro del globo per conseguire gli obiettivi degli Usa e della Nato". E a rivelare che si tratta di un arma anche nucleare arriva l'emblema: accanto all'aquila imperiale, campeggia il simbolo dell'atomo con tre fulmini che colpiscono la terra.
Ma quante armi nucleari Usa non-strategiche, ossia con gittata inferiore ai 5500 km, dunque rischiamo di andare a spartirci con la Turchia? Non è dato saperlo con precisione. Il rapporto "U.S. non-strategic nuclear weapons in Europe: a fundamental Nato debate" parla comunque di 150-200 armi nucleari presenti in tutta Europa. Ma altre stime ufficiose ne quantificano almeno il doppio. "Sono bombe B-61 in diverse versioni, la cui potenza va da 45 a 170 kiloton (13 volte maggiore della bomba di Hiroshima) - spiegano Dinucci e Di Francesco - Tra queste, probabilmente, la B61-11 che può penetrare nel terreno così da creare, con l'esplosione nucleare, un'onda d'urto capace di distruggere obiettivi sotterranei. Tutte queste bombe sono tenute in speciali hangar insieme ai cacciabombardieri F-15, F-16 e Tornado, pronti per l'attacco nucleare".
Contro il pericolo di vedere l'Italia trasformata in un grande magazzino nucleare è stata lanciata una petizione urgente da inviare al governo italiano ideata da Avaaz.org.
Sim. Co.

Liberazione 20/11/2010, pag 1 e 7

Mafia e affari, il saccheggio del Lazio

Fabio Alberti
La reazione scomposta della Lega alle affermazioni di Saviano sulla penetrazione delle mafia in Lombardia segnala nuovamente che le regioni ad occupazione mafiosa non sono più solo quelle di origine. La Lombardia apre l'elenco, ma il Lazio non sta meglio.
Secondo le relazioni della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nel Lazio sono stabilmente insediate una settantina di cosche, in questa regione si commette il 15% dei reati per usura a livello nazionale e il 7% dei reati per estorsione, collocandola al 2° e al 4° posto tra le regioni italiane. Sempre il Lazio, è al secondo posto per i reati contro l'ambiente, come testimonia il rapporto sulle ecomafie di Legambiente, mentre la troviamo al 4° posto per quantità di aziende sequestrate alla criminalità.
Una proiezione sulle stime del rapporto 2010 di SOSImpresa sul giro di affari di Mafia Spa fa ipotizzare un fatturato, nel Lazio, tra i 12 e i 15 miliardi annui, con un utile netto di oltre 7 miliardi di euro. Numeri che parlano chiaro. Ma che non dicono tutto.
"Il territorio di Fondi si delinea come luogo strategico per l'integrazione tra diverse organizzazioni di tipo mafioso. Integrazione che evidentemente presuppone una tessitura di alleanze ed accordi che contemperino e lascino spazio al dispiegarsi di vari e distinti interessi." L'ex Prefetto di Latina, Frattasi, scriveva così nella relazione con cui chiese nel 2008 lo scioglimento del comune di Fondi. Un provvedimento che non arrivò mai, bloccato dal Governo Berlusconi. Nel basso Lazio, confinante con la provincia di Caserta, la camorra è di casa da sempre, cosa nostra e le ‘ndrine calabresi si sono stabilmente insediate da tempo accedendo, tra l'altro, al controllo del Mercato Ortofrutticolo più grande di Europa. In questa zona è accertato, per ammissione dell'interessato, l'ex assessore ai lavori pubblici di Fondi, che la ‘ndrangheta è intervenuta ad orientare le elezioni, come è probabilmente avvenuta anche nelle recenti regionali. Ma questo può solo essere ipotizzato, sulla scorta dell'enorme numero di preferenze raccolte da alcuni candidati del centro destra. E se Fondi è la più nota, molti comuni delle province di Latina e Frosinone sono spesso ascesi agli onori delle cronache giudiziarie.
Ma una mole impressionante di dati testimonia che la stessa "integrazione tra diverse organizzazioni" e la stessa "tessitura di alleanze ed accordi" costituisce il modello con cui le organizzazioni criminali di provenienza esterna - il cui insediamento comincia con l'arrivo di confinati e latitanti, ma anche con il trasferimento volontario di intere famiglie - si sono integrate alla criminalità locale, dalla banda della Magliana ai Casamonica per fare dei nomi, ed alla imprenditoria locale, in un coacervo di relazioni e con un modus operandi specifico.
E' quella che Libera ha definito la "Quinta mafia", cresciuta in tutta la regione nella sottovalutazione, nel silenzio o, peggio, nella tolleranza delle istituzioni e della politica.
Il Comitato tecnico scientifico per la sicurezza della Regione parla di "una sorta di organismo che svolge non solo il ruolo di camera di composizione dei conflitti, ma di vero e proprio regolatore degli interessi, degli affari e delle presenze, garantendo l'immutabilità della condizione di Roma città aperta a tutte le mafie". Ed è quindi all'integrazione con l'economia legale, negli appalti e nei grandi interventi edilizi, che , complice anche la crisi finanziaria di molte imprese, è giunta ormai la lunga marcia della criminalità, iniziata con l'usura, finalizzata alla acquisizione delle imprese, continuata con la droga e le armi, passata al riciclaggio e all'imprenditorialità.
Il Lazio è quindi terra di investimenti e di collusione. Non vi è settore economico in cui non sia documentata la presenza di capitali mafiosi. Dal turismo, alla ristorazione, dai centri commerciali, alle grandi opere, dai rifiuti, alla sanità. Complice una gestione degli appalti pubblici denunciata più volte dalla Fillea-Cgl.
A Civitavecchia, ad esempio, è inquietante la diffusa presenza di personaggi riconducibili a mafia, camorra e ‘ndrangheta, documentata dalla associazione Caponnetto, in imprese interessate, accanto ad imprese legali, ai numerosi grandi progetti territoriali, promossi o assentiti dal comune. Nella capitale la presenza di imprese riconducibili alle mafie è testimoniata dalle inchieste sulla metro C, a Rieti nei lavori di una superstrada.
Ma mentre la magistratura e la società civile laziale denunciano da tempo questo stato di cose, ciò che manca del tutto sono le istituzioni e la politica. Solo qualche giorno fa in consiglio regionale Francesco Storace ha nuovamente negato, persino, che a Fondi ci sia la mafia.
Di questo si discuterà il prossimo 4 dicembre nel convegno sulla mafia nel Lazio promosso dalla Federazione della Sinistra. Comitati, associazioni, sindacati e politici si confronteranno sulle proposte per aggiornare in senso antimafia la legislazione regionale, con la convinzione che non sia più possibile attardarsi sulle denunce e sugli allarmi, ma occorre passare all'azione.

Liberazione 19/11/2010, pag 1 e 3

Se la gente sapesse la verità

Comitato Immigrati in Italia*
Se la gente sapesse la verità, se si conoscessero davvero le nostre storie, se non voltassero tutti lo sguardo dall'altra parte…Se, se, se… non avremmo dovuto salire sulla torre di via Imbonati! Sì, perché questa storia di salire sulla torre è nata così: per far conoscere la situazione assurda in cui decine di migliaia di noi immigrati sono intrappolati e pretendere una soluzione, nel rispetto della nostra dignità. Siamo saliti sulla torre e ci siamo accampati sotto dopo che i fratelli di Brescia si erano arrampicati sulla gru.
Proviamo a cominciare dall'inizio. Se non hai un lavoro, non puoi avere un permesso di soggiorno ma se non hai un permesso di soggiorno non puoi avere un lavoro regolare. Sembra un'idiozia o uno scherzo cattivo. Invece, no: è la Legge! La stessa legge prevede che i datori di lavoro contattino delle persone (senza averle mai viste) in un altro continente per farle venire a lavorare in Italia. Una follia. Non esiste una maniera legale per entrare in Italia a costruire una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Per questo gli immigrati vengono considerati "clandestini". Anche questa parola è senza senso: mica siamo noi che vogliamo rimanere nascosti!
Comprensibilmente, quando l'altr'anno è stata annunciata una sanatoria, in moltissimi hanno pensato di poter ottenere un permesso di soggiorno. Chi ha potuto ha stipulato un contratto part-time da colf o badante e ha fatto domanda per "sanare" la propria posizione. Molte di queste domande però sono state rigettate perché, nel frattempo, la "circolare Manganelli" aveva cambiato le carte in tavola: i provvedimenti di espulsione, che la stessa legge prometteva di cancellare, diventavano motivi ostativi al rilascio del permesso. Qui sta la prima truffa: lo Stato e l'Inps incassano svariate centinaia di euro per ogni domanda sotto forma di tasse, bolli e contributi versati a fondo perduto e poi i permessi non vengono rilasciati. Parallelamente si sviluppa un "mercato nero" di contratti fasulli. A gestirlo sono soprattutto truffatori e profittatori italiani, con degli stranieri come intermediari. Molti immigrati, per disperazione e ingenuità, ci cascano: pagano migliaia di euro a questi farabutti in cambio della promessa di un contratto di lavoro posticcio e di una domanda di regolarizzazione. In molti casi, gli squali prendono i soldi e spariscono. Succede in tutta Italia. Tra chi ha visto la propria domanda respinta e chi è stato truffato, cinquantamila immigrati sono rimasti esclusi dalla sanatoria.
A partire dalla primavera scorsa in tutto il Paese associazioni di immigrati e di antirazzisti solidali si attivano. A Milano, nel giugno scorso, prendiamo l'iniziativa. Insieme a varie realtà e singoli che avevano dato vita al Primo Marzo 2010, organizziamo assemblee e incontri. (…) Ci si rende conto rapidamente che non c'è soluzione "burocratica", è necessaria una vera e propria mobilitazione. Così si indicono nuove assemblee per raccogliere tutti gli esclusi e i truffati. Ci troviamo sempre più numerosi, decidiamo di passare all'azione: manifestazioni e presìdi di fronte alla prefettura milanese. Il gruppo romano del Comitato si sta muovendo nella stessa direzione. Idem in altre città. A Roma ottengono un incontro col ministero degli Interni. Ma la risposta è sempre la stessa. I "tecnici" dicono che in mancanza di una decisione politica non è possibile fare nulla. Ma chi ha il potere di prendere tale decisione (il ministro, il governo, il parlamento) non muove un dito. I nostri fratelli del Comitato Immigrati di Roma si sentono, giustamente, presi in giro. Noi anche.
Arriviamo così al 30 ottobre. La grande manifestazione a Brescia e la decisione di Arun, Jimi, Rachid e Sajad di salire sulla gru. La lotta fa un salto di qualità grazie a questi nostri fratelli. (…) Dal presidio di Piazza San Faustino, sotto la gru, la richiesta è subito esplicita: «Che si faccia qualcosa anche nelle altre città, la lotta sarà difficilissima e lunga!». E' proprio per rispondere a questo appello che il Comitato Immigrati, a Milano, organizza un nuovo presidio, questa volta nel cuore di un quartiere dove vivono moltissimi immigrati, in Via Imbonati, dove c'era la Carlo Erba. (…)
Un gruppetto s'arrampica sulla torre. Con l'aiuto di chi è rimasto giù si preparano gli striscioni da calare giù dalla ciminiera. Alla base della torre si comincia a pensare come non lasciare da soli i fratelli "saliti di sopra": piano piano il presidio si trasforma in un accampamento. Ma piove! Piove sempre! Ci si attacca al telefonino per trovare altre tende, teli, sacchi a pelo qualcosa per ripararsi dal freddo e dall'acqua e altra gente che possa aiutare. (…)
Quando arrivano i gazebo prestati da associazioni solidali come Emergency e Arci, insieme a tavoli, sedie, altre tende da campeggio, lì sotto sembra esser nato un piccolo villaggio. Ci sono gli attivisti e le attiviste del Comitato Immigrati che coordinano un po' tutto e mettono la loro esperienza a disposizione della lotta e del neonato villaggio. Ma tutti si danno un gran daffare, anche i "nuovi arrivati". (…) Per portare avanti questa lotta ci sono mille cose da fare, tutte importanti. E intanto piove! Piove sempre! Sotto la pioggia, dopo un po', salta anche la tradizionale divisione di ruoli e mansioni tra uomini e donne. La lotta unisce e l'autorità di alcune compagne (ops! "sorelle") è indiscussa. Per gli stessi animatori del Comitato è un'esperienza inedita e, col trascorrere del tempo, impariamo a lavorare come una vera squadra: si suddividono i compiti e ci sosteniamo a vicenda come non avevamo mai fatto prima.
Però, piove! Piove sempre. (…) I sempre più numerosi segnali di solidarietà concreta danno la forza di proseguire. Non solo da parte delle associazioni o dei sindacati di base sensibili alle nostre istanze. Passano anche cittadini comuni, sempre più spesso: chi lascia qualche euro, chi sottoscrive la petizione di sostegno, chi porta un bel pezzo di parmigiano, chi un telo di plastica, chi un semplice scontrino per andare a ritirare una coperta termica, ordinata e pagata alla farmacia in fondo alla via. (…) C'è chi coordina lo smistamento degli approvvigionamenti, chi raccoglie le firme spiegando la petizione a ogni passante, chi cerca di moltiplicare i contatti con le associazioni e le organizzazioni di ogni tipo. (…)
Una volta tanto, i giornalisti fanno il loro mestiere e, dopo la conferenza stampa organizzata nel villaggetto, i giornali cominciano a riportare le parole di Saidou, Jorge, Edda e Najat. (…)
Giovedì sera si assiste ad Annozero. Col fiato in gola guardiamo i fratelli sulla gru, le immagini delle cariche sono impressionanti. L'intervento del prete ci fa arrabbiare, ma poi parla Umberto di "Diritti per Tutti": bravo! Giusto! Sei dei nostri! Quando l'inviato annuncia un'altra ospite e la inquadrano di spalle, la riconosciamo subito: è Edda, una dei nostri otto portavoce… ce l'aveva detto che andava a Brescia dai fratelli della gru…. per parlare alla tv.
Meglio di un gol ai mondiali! In poche parole spiega tutto il pasticcio e come lo si potrebbe sbrogliare. (…)
Arriva sabato, è passata una settimana. Per qualche ora… non piove! Giusto il tempo di tenere la "lezione straordinaria" di Università Migrante, il corso organizzato dall'omonima associazione, che per l'occasione ha trasferito qui, all'aperto, la sua classe. La materia è "vita da immigrato". I professori siamo noi. In cattedra ci sono Najat, Edda, Alì e Omar. (…)
La domenica, sotto la torre si svolge l'assemblea nazionale convocata qualche giorno prima in fretta e furia. Partecipano diverse città di Italia: Brescia, Milano, Parma, Trieste, Bologna, Vicenza, Padova, Massa Carrara, Bergamo, Genova. L'assemblea decide la prosecuzione della mobilitazione e lancia un appello affinché, dopo Brescia e Milano, in altre città si dia vita ad altre iniziative. Si fissano due appuntamenti: una giornata di lotta in tutte le città per sabato 20/11 e un'altra assemblea nazionale per il 28/11 a Firenze.
Queste decisioni assumono ancora più importanza dopo che i fratelli a Brescia sono, finalmente, scesi dalla gru. Abbiamo tirato un respiro di sollievo per loro ma sappiamo che la lotta deve proseguire in altri luoghi e in altre forme. Sappiamo che qui, sopra e sotto la torre, abbiamo ancora più responsabilità. Così ci prepariamo alla manifestazione cittadina di sabato prossimo, appuntamento alle 15, sotto la torre.
*Milano

Liberazione 18/11/2010, pag 1 e 7