venerdì 23 gennaio 2009

Obama e le verità indicibili

Di Giulietto Chiesa, da www.megachip.info, 21 gennaio 2009

Chi l’ha detto mi trova concorde: i presidenti si giudicano per quello che fanno, non per quello che promettono. In realtà varrebbe non solo per i presidenti, ma per tutti. Sicuramente vale dunque anche per Barack Hussein Obama, il quale sappiamo già che passerà alla storia per la assoluta peculiarità che ha accompagnato la sua elezione, a prescindere da quello che farà o non farà, e anche dal fatto se lo farà bene o male.

Passerà alla storia come la più fantastica operazione di marketing presidenziale che mai sia stata anche soltanto immaginata.

Quando ero giovanissimo ricordo di avere letto un libro, in cui si spiegava che un presidente americano, già allora, era un fenomeno di mercato, in tutti i sensi. L’autore era un americano, Joe McGinnis. Il titolo, “Come si vende un presidente”, era da intendersi nel senso “buono”, appunto, di come un presidente sia equiparabile a una grossa saponetta, non nel senso, cattivo, di un presidente che vende se stesso al migliore offerente.

Nel caso di Obama, trascorsi alcuni decenni, abbiamo però superato ogni precedente asticella. Gli altri, i predecessori, venivano ‘“venduti” tutti con gli stessi sistemi. Questo nostro si trova in una situazione inedita per un presidente americano: di un paese in preda a una crisi profonda. Tanto profonda che, al momento, nessuno è ancora in grado di guardare in fondo alla voragine.

Per la qual cosa eleggere un presidente, nel 2008, non poteva più significare soltanto vendere una saponetta. Le menti che questa volta hanno costruito la “merce” avevano di fronte a sé il compito di “rivendere l’America” tutta intera. E non era neppure questione di ricostruire il suo maquillage, di farle un lifting radicale. Era questione di rilanciare il “sogno americano” in tutta la sua hollywoodiana magnificenza. E di farlo nel momento peggiore, quello in cui tutte le “mission accomplished” si rivelavano niente affatto “accomplished”.

Ho letto in questi mesi di attesa dell’entrata in carica, decine di commenti, variegati ma accomunati da un mantra: ecco, vedete, l’America in crisi riesce a scuotersi, si rialza, si rilancia, dimostra che non c’è alcun declino, che si tratta solo di una parentesi infausta, provocata dal disastro del suo predecessore.

Ecco, dovessi dire, questo è l’unico segno che dimostra la vera grandezza dell’Impero: la sua capacità di gestire la propria immagine. Geniale la campagna elettorale che ha messo in lizza una donna (sarebbe stata la prima in assoluto nella storia americana) e un nero (altro primato assoluto, roba da Guinness). Prima ancora di finire la campagna gli ideatori di questa operazione avevano già ottenuto il 50% del successo, fornendo una nuova versione dell’America ad uso e consumo del mondo intero. Una classica situazione che proprio gli americani hanno icasticamente definito come “win-win”. Cioè una situazione in cui non puoi perdere, puoi solo vincere, alla grande o alla Guinness.

Poi, cammin facendo, il senso comune degli americani (chi ha detto che i popoli non esistono e sono soltanto astrazioni? Io sto con Elias Canetti, che credeva nell’anima della massa) ha capito che non si poteva rilanciare l’idea di un nuovo Impero se non con un cambio d’immagine totale. E ha fatto vincere il nero.

Fine del razzismo? Macché. Certo questa cosa c’è nella vittoria di Obama, ma io credo che l’America ha scelto colui che meglio di ogni altro le avrebbe dato la possibilità di dimostrare il suo dinamismo, di rilanciare la sua supremazia mondiale, cioè il suo - direbbero i francesi - 'train de vie'.

Come continuare a fare shopping? A non pagare le tasse? A poter dettare al resto del mondo le proprie scelte come se fossero quelle di tutti? No, non intendo filosofare. So bene che questi non sono gli obiettivi dell’americano medio. È chiaro che queste sono le idee dell’élite di quella società, di quella che ha il potere da sempre. Ma la sua forza è sempre consistita - come ha spiegato magistralmente Michael Moore - nel tenere la carota del sogno americano così vicina al naso del vero americano medio da fargliene sentire l’odore. E cioè dal convincerlo che poteva mangiarsela, con un po’ di fortuna, anche domani.

Il problema viene adesso, quando Obama sarà costretto ad allontanare di qualche centimetro la carota. E il vero punto interrogativo si sposterà alla fine di quest’altra domanda: lo farà dicendo la verità, almeno “qualche” verità, oppure dovrà farlo con brutalità, senza dire come stanno le cose?

Ma su questo punto, se il lettore permette, tornerò tra poco. Adesso vorrei parlare di noi, sudditi dell’Impero che sarà guidato da Obama. Siamo estasiati da questo sfavillio di novità, di energia. Ho una cara amica che non fa che ripetermi una cosa che non posso trascurare: mi invita a riflettere che le cose che Obama dice non può avergliele scritte nessuno, perché sono troppo intelligenti. E che certi vocaboli, certe idee, o le hai in testa, oppure non ti vengono fuori neanche se avessi i migliori dieci speech writers del mondo.

E poi io ho visto con i miei occhi emergere un altro “mutante” in un altro paese in crisi epocale, assai vicina, per profondità a quella dell’America di oggi. Nessuno avrebbe mai immaginato che potesse scaturire, quel “mutante”, da quelle condizioni. Eppure comparve e produsse, o forse semplicemente interpretò ciò che stava per accadere. Era Gorbaciov, che usciva dalle viscere dell’apparato più chiuso e refrattario alla novità, portando una ventata di cambiamenti che non ha ancora smesso di scuotere il pianeta. Sappiamo che andò male, ma questo è un altro discorso.

Il fatto è che avvenne. E se avvenne allora, perché non potrebbe avvenire di nuovo?

Quindi mantengo una riserva positiva: per lui. Un credito di fiducia: non si sa mai.

Quello di cui diffido di più sono i suoi esaltatori nostrani. Quelli che tutto andava bene anche con Bush Junior, e che adesso si sono iscritti in fretta nella squadra di Obama. Quelli che, quando osavi dire che c’era qualche cosa di insano in quella mano nascosta del mercato che menava fendenti da cui schizzava sangue e dolore per miliardi di diseredati, ti bollavano come ingrato, quando non come nemico dell’Occidente.

“Quelli che”, avrebbe detto Enzo Jannacci, perché sarebbero stati bene nel suo elenco di allora, anni ’70. Che erano pronti a vendere l’Europa per comprarsi l’America, visto che tutta la novità veniva di là, visto che noi eravamo vecchi e loro erano Silicon Valley, visto che noi avevamo la pensione e loro invece mettevano in campo i fondi pensione, che a dispetto della somiglianza terminologica, con le pensioni poco o nulla avevano in comune, tant’è vero che chi ci aveva creduto la pensione non la vedrà più.

Che bello sognare la carota altrui! Ecco, di questi non mi fido.

E allora torno al nero Obama e alla voragine su cui è affacciato. So che da come guarderà là dentro dipenderà non solo il nostro benessere ma perfino la nostra vita, sicuramente quella dei nostri figli. So che se sbaglia lui, e quelle trenta persone che gli stanno intorno, saranno guai per tutti.

So che, per non sbagliare, dovrà dire agli americani - a quelli che l’american way of life, quello che ha conquistato il mondo, se lo sono goduto - che è finito.

Che l’America è arrivata al capolinea, come tutti noi ricchi, si fa per dire, ma ricchi rispetto agli altri, che ricchi non sono mai stati. Che una “ripresa economica”, se ci sarà, sarà di breve durata e poi si andrà di sotto di nuovo, come accade a quelli che non sanno nuotare e che ogni tanto riescono comunque a riemergere per prendere una boccata d’aria. Perché tutto il modello di crescita esponenziale nel quale siamo vissuti per un secolo e mezzo non è più perseguibile, non è nemmeno più realizzabile, perché le risorse non ci sono più. Dovrebbe dire ai suoi concittadini che la festa è finita, anzi che non era nemmeno una festa ma un simulacro di festa. Era immagine, come è l’immagine quella che lo ha portato al potere per salvare quell’altra immagine che l’ha preceduta. E noi dovremmo pensare, ora, che da un miraggio, che ci ha tratto in inganno, possa emergere una realtà che ci consoli da quell’inganno nel quale abbiamo creduto, costasse - agli altri- quello che doveva costare?

Io so che Obama non potrà dire la verità, e non la dirà. Nemmeno se avesse visto fino in fondo alla voragine. Dovrebbe dirci, crudamente, una cosa che molti non potrebbero neppure capire, non dico condividere: che una crescita indefinita in un sistema finito di risorse non è materialmente possibile. E noi, insieme agli americani, ci troviamo, guarda caso, proprio all’interno di un sistema finito di risorse, dopo avere prodotto una crescita talmente infinita da rompere perfino quel sistema. Stiamo vivendo con gli spiccioli di natura che non abbiamo ancora mangiato e bevuto e ancora pensiamo che possano durare all’infinito. In questo guidati da quella “scienza sciocca” che è l’economia, la quale non ha saputo distinguere il denaro (che abbiamo inventato noi e che non ha limiti) dalla materia, che non abbiamo inventato noi e che è inesorabilmente limitata.

Il disastro viene da qui. E Obama, anche se fosse un “mutante”, non ha i freni per fermarlo.

giovedì 22 gennaio 2009

Cambiamento climatico: Non fatevi ingannare dall’inverno artico europeo

Di Julio Godoy

BERLINO, 19 gennaio 2009 (IPS) - “Dov’è il riscaldamento globale, adesso che ne abbiamo bisogno?”, ha chiesto un comico in un programma della TV pubblica tedesca ARD. E in tutta Europa la gente si chiede lo stesso: se il globo si riscalda, perché in Europa si gela?

Ma la vera domanda è se gli ultimi inverni non siano stati troppo caldi. E in effetti è proprio così, affermano i ricercatori.

“C’è un problema di informazione”, spiega all’IPS Mojib Latif, scienziato del clima dell’Istituto Leibniz per le scienze marine all’Università di Kiel, 300 chilometri a ovest di Berlino. “Dato che negli ultimi 20 anni gli inverni sono stati più caldi della media precedente, molti oggi pensano che questo inverno sia particolarmente freddo. Ma non è così”.

“È vero, adesso fa molto freddo”, ha detto all’IPS Fortunat Joos, professore di fisica dell’ambiente e del clima all’Università di Berna, Svizzera. “Ma le temperature attuali sono solo una fluttuazione rispetto alla tendenza degli ultimi 20 anni. In generale, la terra sta diventando più calda”, ha spiegato.

“Negli ultimi 20 anni, solo sei inverni sono stati più freddi rispetto a questa media. Gli altri 14 inverni sono stati tutti più caldi. E l’inverno 2006/2007 è stato il più caldo mai registrato dal 1864. Per questo oggi molte persone pensano che questo inverno sia particolarmente freddo. È solo un problema di informazione”.

La ricerca scientifica ha stabilito che la terra continuerà a scaldarsi, se non ci sarà una riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra. E il mondo scientifico concorda sul fatto che responsabile del riscaldamento globale sia l’aumento antropogenico - cioè provocato dall’uomo - di gas serra come il biossido di carbonio e il metano.

Un recente modello dell’evoluzione climatica in Europa realizzato dal German Climate Computing Centre (DKRZ, dall’acronimo tedesco) di Amburgo, 300 chilometri a ovest di Berlino, ha calcolato che le temperature medie in Europa meridionale e centrale potrebbero salire ben oltre i tre gradi Celsius entro la fine del secolo.

Il modello prevede un aumento delle temperature fino a cinque gradi nei paesi scandinavi.

Il modello climatico del DKRZ è stato realizzato a dicembre con il nuovo “supercomputer” del centro, che supera di circa 60 volte la capacità di altri modelli informatici sull’evoluzione del clima, e utilizzando un nuovo archivio di dati all’avanguardia.

“Con un picco di performance di oltre 140 Teraflop (140 trilioni di operazioni in virgola mobile al secondo), il nuovo computer del centro è tra i più grandi supercomputer impiegati per scopi scientifici”, ha spiegato all’IPS Joachim Biercamp, specialista di software del DKRZ.

Secondo Biercamp, il nuovo supercomputer “permette proiezioni future sul clima più dettagliate, perché nei modelli possono essere inseriti processi e interazioni più complessi. Anche la risoluzione spaziale dei modelli climatici è migliore. Perciò anche i fenomeni regionali possono essere compresi in modo più accurato rispetto ai vecchi sistemi di modellizzazione”.

Il miglioramento dei calcoli computerizzati sul clima permette stime più precise delle precipitazioni, dell’aumento delle temperature, di inondazioni e siccità, e consente di prevedere i cambiamenti della fauna e della flora in una data regione.

Il nuovo studio del DKRZ, in collaborazione con esperti del clima provenienti da diversi centri di ricerca e università tedesche, ha diviso l’Europa in centinaia di migliaia di cubi di 18 chilometri di lato. Quasi tutti gli altri modelli dividono la terra in sezioni dieci volte più grandi. Il modello DKRZ ha poi diviso i prossimi 92 anni in periodi di 72 secondi. Per calcolare l’evoluzione climatica fino al 2100 ci sono voluti quattro mesi.

Il modello ha utilizzato quattro scenari possibili, con diverse ipotesi di successo (o fallimento) delle politiche per il cambiamento climatico nella riduzione effettiva delle emissioni di gas serra. Secondo la prospettiva più ottimistica, la comunità mondiale riuscirà a ridurre drasticamente le emissioni nell’immediato futuro, mentre la visione più pessimistica ipotizza un costante aumento delle emissioni.

Per una prospettiva intermedia ci si è basati sulle possibili conseguenze in linea con le conclusioni della conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Poznan, Polonia, il mese scorso. Secondo questo scenario, nel 2100 le temperature medie saliranno di 3,6 gradi in Europa meridionale, 3,1 in Germania, e di oltre cinque gradi nei paesi scandinavi.

Uwe Boehm del Potsdam Institute of Climate Impact Research che ha partecipato alla modellizzazione del DKRZ, ha spiegato all’IPS che i cambiamenti climatici previsti hanno diverse caratteristiche regionali.

“In Germania, non abbiamo potuto stabilire un trend crescente di piogge alluvionali”, ha osservato. “Piuttosto il contrario; le piogge estive si ridurrebbero di un terzo, ma verrebbero compensate dalle precipitazioni di altre stagioni. E il numero annuale di giorni caldi estivi, con temperature superiori ai 25 gradi Celsius, potrebbe raddoppiare, fino a 47”.

La vegetazione dell’Europa centrale, come le foreste di conifere, non potrebbe sopravvivere in simili circostanze, e nella regione si trasferirebbero nuove specie animali e vegetali.

In Europa meridionale, il cambiamento climatico avrebbe come conseguenza periodi di siccità più lunghi, con una riduzione delle piogge fino al 60 per cento. “Ciò significa un grave stato di siccità”, ha avvertito Boehm.(FINE/2009)

La paga dei padroni

Nove milioni e 426mila euro. È quanto la banca Unicredit ha dato come compenso per il 2007 all’amministratore delegato Alessandro Profumo. Non sorprende che il cinquantunenne banchiere genovese sia stato il manager italiano più pagato dell’anno. In poco tempo ha fatto del vecchio Credito Italiano una delle più forti e innovative banche d’Europa e si è conquistato sul campo una eccellente reputazione professionale. Profumo ha guadagnato oltre 25mila euro al giorno.

Secondo l’Ires, il centro studi della Cgil, nel 2007 i lavoratori dipendenti italiani hanno percepito in media 24.890 euro lordi. Dunque il numero uno dell’Unicredit ha incassato ogni giorno quanto un lavoratore medio in un anno. Un normale operaio o impiegato, per mettere insieme quanto Profumo in dodici mesi, dovrebbe lavorare 365 anni. In altri termini, una dinastia di lavoratori medi impiegherebbe almeno dieci generazioni a pareggiare il conto.

Nel 2007 i profitti del gruppo Unicredit sono cresciuti del 9 per cento, il dividendo distribuito agli azionisti dell’8 per cento, mentre il valore di mercato delle azioni è sceso del 17 per cento. La retribuzione di Profumo è invece aumentata del 39 per cento. Per la Borsa di Milano il 2007 è stato negativo. L’indice Mibtel, che misura il valore di mercato delle azioni quotate, ha perso il 7,8 per cento.

Dall’ Introduzione del libro La paga dei padroni, di Gianni Dragoni e Giorgio Meletti (giornalisti economici de Il Sole 24 Ore e Corriere della Sera) , edito da Chiare Lettere, 2008

sabato 17 gennaio 2009

A translation of the leaflet dropped in Rafah

At midday today I saw from my window clouds of leaflets being dropped over Rafah. Local kids chased the leaflets being carried through my neighbourhood on the breeze and brought me one copy. Below is a translation of the leaflet dropped today:


Leaflet dropped on 11th January 2009

Citizens of Rafah
Due to Hamas using your houses to smuggle and store ammunition, the Israeli Defence Force will attack terrorists, tunnels and buildings which have smuggling tunnels beneath them in the area between Sea Street and the Egyptian border.

For all citizens in these neighbourhoods: Al Shaoot camp, Yibna camp, Block O, Al Brazil camp, Al Shara area, Qishta area, Hi Salam neighbourhood.

Those who have not yet evacuated their houses, all houses beyond Sea Street must be evacuated immediately from the time you receive this leaflet until an unspecified time. For your safety follow this announcement.
The leadership of the Israeli Defence Force
Residents reported mass leaflet drops in Rafah neighbourhoods by Israeli 'planes yesterday announcing an imminent escalation of their attacks. Below is a translation of the leaflet dropped yesterday:


Leaflet dropped on 10th January 2009

To the citizens of the Gaza Strip

The Israeli Defence Force distributed leaflets in Rafah a few days ago, warning citizens of an imminent operation and telling them to evacuate their houses immediately for their own safety.

Following the Israeli Defence Force directions and instructions has prevented hurting citizens who are not part of the fighting.

During the upcoming period, the Israeli Defence Forces will escalate their direct operations against the tunnels, the weapons and ammunition stores and the terrorists in all parts of the Gaza Strip.

For your safety and your family's safety, you are asked not to be near the terrorists and the stores of weapons and the places of fighting and other places used by them.

The Israeli Defence Force asks to continue in this way by following the instructions which are communicated to you by all means.

The leadership of the Israeli Defence Force

http://sunshine208.blogspot.com/2009/01/translation-of-leaflet-dropped-in-rafah.html

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Vittorio Arrigoni

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mercoledì 14 gennaio 2009

Guerra su YouTube

IDF: il portavoce dell'esercito israeliano su Youtube
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PALutube: il conflitto visto dal portale video di Hamas
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Vignetta

martedì 13 gennaio 2009

Hossam el-Hamalawy

Blog di Hossam el-Hamalawy
giornalista egiziano
http://arabist.net/arabawy/

Prigioniero di Facebook

di Andrea Bajani

Da settimane incontro soltanto persone che mi dicono disperate che vogliono uscire da Facebook ma non riescono a farlo. Lo dicono con gli occhi sbarrati e l'espressione di chi chiede aiuto da dietro le inferriate di una galera. Mi sembrano detenuti che dall'alto urlano a chi passa lì sotto, infilano le braccia oltre le sbarre a rimestare nell'aria. Hanno tutta la disperazione di chi sa che il secondino se n'è andato lanciando la chiave nel fiume. È strano pensare che quelle stesse persone fino a un mese fa mi dicevano che senza Facebook non ci potevano stare, che grazie a Facebook si sentivano meglio.
Soprattutto, mi ripetevano che dovevo provarla anch'io, quest'esperienza, perché essere dentro o essere fuori, era come prendere parte alla vita oppure essere morto. Essere «in» oppure essere «out». C'è stato un momento, che perdura, in cui era impossibile sfuggire a conversazioni che non avessero a che fare con Facebook. Qualunque fosse l'origine della discussione, qualunque fosse il fiume di parole che veniva giù dalle bocche delle persone, il mare in cui andava a finire era sempre quello di Facebook.
C'erano amici che quando mi incontravano per strada mi chiedevano «Ci sei su Facebook?». Che era come dire «È inutile perdere tempo qui sul marciapiede, con le macchine che passano, i clacson che non ci fanno parlare, il telefonino, la fretta». «Ci sei su Facebook?», e poi mi piantavano in asso. Li vedevo andar via di schiena, il cellulare tra l'orecchio e la spalla, in mano l'agenda e davanti gli altri che si aprivano come il Mar Rosso davanti a Mosè. Se parlavano di qualcuno, ne parlavano per dire che l'avevano incontrato su Facebook.
Un vecchio amico, un professore di liceo dimenticato, un ex vicino di ombrellone. Persino in questi giorni, quando si parla della vittoria epocale di Obama, si dice che è stata epocale anche perché c'era Facebook.
Così sono entrato «in» pure io. L'ho fatto un po' per sfinimento e un po' per riuscire a parlare con quegli amici che per strada mi piantavano in asso dandomi poi appuntamento su Facebook.
In strada erano sempre di corsa, su Facebook stavano a parlare per ore. Perché «in» è tutto molto più tranquillo. Il mio ingresso l'ho fatto una sera di un paio di mesi fa, seguendo con attenzione le procedure. Ci sono entrato con la leggera apprensione che mi imperla le tempie ogni volta che mi avvicino a un oggetto con funzionamento appena più complesso della televisione. Di Facebook sapevo quasi tutto quel che c'era da sapere. Sapevo che si trattava di aprirsi una pagina personale, di scegliere una foto, di inserire qualche informazione su di me, la mia data di nascita, il mestiere, le mie passioni. Lo sapevo perché un'amica mi aveva fatto vedere la sua pagina. Quando l'avevo vista avevo capito che si trattava di aprirsi una specie di loculo, una tomba con la foto che guarda in faccia i passanti, che appunto passano e se hanno voglia lasciano dei bigliettini, cambiano l'acqua dei fiori. Appena ha saputo che ero entrato anche io, la mia amica era contenta e orgogliosa. Era contenta di esserne stata un po' responsabile. Così non dovevamo più vederci per prendere un caffè in corsa, con i telefonini che suonano, le macchine, la fretta. I due mesi che ho trascorso su Facebook sono stati piuttosto movimentati. All'inizio mi arrivavano molte «richieste di amicizia» e io le ignoravo perché non sapevo chi fossero queste persone. Poi la mia amica mi ha detto che la regola di Facebook era di accettare le «richieste di amicizia», e che dunque la mia condotta era una condotta antisociale. Così da quel momento in poi ogni volta che mi è arrivata una richiesta io ho accettato. In due mesi sono diventato per così dire amico di quattrocento persone di cui non sapevo nulla, e di cui ora conosco la foto che hanno messo sul loculo e poco più. Mi sono trovato a conversare a notte fonda con uomini e donne che mi trattavano come se fossi il loro migliore amico, o mi maltrattavano come il peggior nemico. Mi sono visto tacciare di snobismo per non aver risposto, insultare per aver tardato ad accettare una così detta amicizia.
Ogni volta che ho fatto accesso alla mia pagina, qualche sconosciuto di cui avevo accettato la così detta amicizia si è affacciato da una finestrella dicendomi «Eccoti qui», come se fosse stato tutta la notte appostato dentro il mio androne aspettando di vedermi rientrare. Ho saputo di adulteri di persone più o meno famose scoperte grazie a Facebook, visto che su Facebook tutti vedono tutto quello in cui ciascuno è affaccendato. Sono stato contattato da compagni delle elementari, delle medie e delle superiori. Alcuni di loro hanno voluto a tutti i costi mandarmi delle fotografie per farmi vedere come eravamo. Se penso a tutti gli anni che ci ho messo, per riuscire a dimenticare come eravamo. Poi sono stato contattato da prime, seconde e terze fidanzate, che mi hanno detto «Ti ricordi?». Poi da amici di amici di amici persi a ragione e rimasti (a ragione) relegati in un passato lontano. Ho ricevuto inviti a unirmi a gruppi di ogni tipo, dall'«Obama party» al movimento «Antibimbominkia ». Di quest'ultimo movimento, che impiega il proprio tempo nel manifestare dissenso nei confronti dei seguaci dei Tokio Hotel, ho cominciato a ricevere ogni tipo di segnalazione: «No al bimbominkia su Facebook», «Il bimbominkia si è evoluto in orribile Sfigadulto », «Contro i Bimbominkia per un mondo migliore». Poi: sono stato contattato per ogni tipo di sottoscrizione, per comprare cd, libri, per partecipare a inaugurazioni di negozi, pedalate sociali, per provare prodotti cosmetici, unirmi a merende ambientaliste, ripensare alla rivoluzione maoista.
Ecco, dopo due mesi così ho chiesto disperato ai miei amici di uscirne. E loro disperati, con gli occhi sbarrati, mi hanno detto che non sanno come fare, che ci hanno provato ma non capiscono come si fa, quale procedura si debba seguire. Ne parliamo su Facebook, ciascuno dietro la propria inferriata, le braccia oltre le sbarre a rimestare nell'aria. E così, da qui, da dietro la mia grata mi è venuto in mente Michel Foucault, quando parla del Panopticon di Bentham. «Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile; si ferma davanti a ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre. Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede . Questa sorveglianza si basa su un sistema di registrazione permanente». All'inizio della «serrata» viene stabilito il ruolo di tutti gli abitanti presenti nella città, uno per uno; vi si riporta «il nome, l'età, il sesso, senza eccezione di condizione». È un sistema, dice Foucault, che ha un effetto sicuro: «indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere perché l'essenziale è che egli sappia di essere osservato». Ne parlo anche con i miei così detti amici, di questo passo di Foucault. Gli dico che è dentro un libro che si intitola Sorvegliare e punire. Più che dirglielo, glielo urlo dalla finestra.

mercoledì 7 gennaio 2009

«Gazatoday»

www.gazatoday.blogspot.com

DAL CUORE DELL'ASSEDIO
«Gazatoday», un blog per togliere il bavaglio imposto all'informazione
Per raccogliere notizie rischia la vita, ma grazie a internet Sameh Habib è diventato una fonte per i media internazionali
mi. gio.

GERUSALEMME
Sameh Habib ha sempre amato la comunicazione. È diventato giornalista per raccontare ciò che accade nella sua terra ma anche per stare al passo con le nuove tecnologie dell'informazione. «La nascita di internet la considero una delle grandi conquiste dell'umanità, della democrazia, della libertà di pensiero, spero che nessuno faccia in modo da mettere il bavaglio a questa meravigliosa forma di comunicazione». Sameh è uno dei blogger palestinesi più famosi, e da quando è cominciata l'offensiva militare israeliana il suo sito (www.gazatoday.blogspot.com) si sta rivelando una delle più preziose fonti di notizie dalla Striscia di Gaza sotto attacco. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.

Sameh, è stato faticoso mettersi in contatto con te.
Il mio cellulare è muto per gran parte del tempo, perché la rete di ripetitori del segnale di telefonia mobile è stata gravemente danneggiata. Ma io posso sopravvivere senza telefonino, mentre nelle aree dove si combatte la mancanza di copertura mette a rischio la vita di tanti civili palestinesi che non possono telefonare agli ospedali, ad amici e parenti per chiedere aiuto in caso di emergenza. Le linee telefoniche di terra peraltro non sono sempre utilizzabili. Anche se non sono tagliate, spesso non danno segnali di vita.

E tu come fai per tenere in vita il tuo blog senza telefono; peraltro non c'è energia elettrica nel 75% di Gaza?
L'assedio israeliano a Gaza non è nuovo. Se oggi ci stanno bombardando e uccidendo in massa, nei mesi scorsi le forze di occupazione ci hanno affamato e privato di tante cose con un embargo durissimo. Così nel corso del tempo mi sono organizzato, procurandomi un piccolo generatore autonomo di elettricità che mi permette di tenere acceso il computer e di illuminare la mia abitazione, sperando di riuscire a rifornirmi ancora del gasolio necessario per tenerlo acceso. Per il resto non posso far altro che pregare che mia linea telefonica rimanga in vita.

Il tuo blog è diventata una fonte importante di notizie.
Cerco di fare del mio meglio per diffondere all'esterno informazioni accurate. È il mio personale, per quanto piccolo, contributo alla salvezza del popolo palestinese finito sotto questo brutale attacco israeliano. Ho sempre creduto nell'importanza della diffusione di notizie precise e con fonti solide. Durante il giorno vado in giro per ospedali, associazioni, ambulatori e nei quartieri sotto attacco, a sera metto sul mio blog tutte le informazioni raccolte, sperando che possano arrivare in tutto il mondo. Solo diffondendo la cronaca di ciò che accade e le notizie delle stragi di civili possiamo sperare di fermare questo massacro.

Non temi per la tua stessa vita? Vivi a Tuffah, uno dei quartieri di Gaza city che sono al centro dell'offensiva di terra israeliana.
Credo che ogni palestinese di Gaza stia in questo momento rischiando la vita. Gli israeliani bombardano senza limite ogni punto della città e stare in casa o in strada non fa molta differenza e i civili sono i più colpiti. Da quando è cominciata l'invasione di terra ho letto sulla stampa internazionale di combattimenti furiosi tra soldati (israeliani) e la resistenza di Hamas e di altri gruppi palestinesi. Negli ospedali però, tra i morti e i feriti, ho visto ben pochi di questi miliziani che Israele sostiene di aver ucciso. I morti che vedo sono quasi tutti civili, i feriti in gran parte dei casi sono donne e bambini o persone anziane. Questa è una guerra contro la popolazione di Gaza, non contro Hamas, e come blogger e giornalista sento di doverlo raccontare come posso e tutte le volte che posso, senza pensare a me stesso.

Il Manifesto 7 gennaio 2009, pag 4

Lettera di militari greci che si rifiutano di reprimere la lotta di Studenti e Lavoratori

Letter from army camps refuting the army's repressive role (indy.gr,
Wednesday)

(23 dicembre 2008)

Centinaia di soldati dei 42 campi dell'esercito dichiarano: CI
RIFIUTIAMO DI DIVENTARE UNA FORZA DI TERRORE E DI REPRESSIONE CONTRO LE
MOBILITAZIONI; APPOGGIAMO LA LOTTA DEGLI STUDENTI DI SCUOLA/UNIVERSITA'
E DEI LAVORATORI.

Siamo dei soldati da ogni parte della Grecia [è necessario qui osservare
che in Grecia è ancora in vigore la coscrizione e che riguarda tutti i
greci maschi; la maggior parte o forse anche tutte le persone che
firmano questo sono legati al popolo che al momento stanno servendo nel
servizio militare obbligatorio - non reclute dell'esercito] . Soldati ai
quali, a Hania, è stato ordinato di opporsi a studenti universitari,
lavoratori e combattenti del movimento movimento antimilitarista
portando le nostre armi e poco tempo fa. [Soldati] che portano il peso
delle riforme e della "preparazione" dell'esercito greco. [Soldati che]
vivono tutti i giorni attraverso l'oppressione ideologica del
militarismo, del nazionalismo dello sfruttamento non retribuito e della
sottomissione ai "[nostri] superiori". Nei campi dell'esercito [nei
quali serviamo], sentiamo di un altro "incidente isolato": la morte,
provocata dall'arma di un poliziotto, di un quindicenne di nome Alexis.
Sentiamo di lui negli slogan portati sopra le mura esterne del campo
come un tuono lontano. Non sono stati chiamati incidenti anche la morte
di tre nostri colleghi in agosto? Non è stata pure chiamata un incidente
isolato la morte di ciascuno dei 42 soldati che sono morti negli ultimi
tre anni e mezzo? Sentiamo che Atene, Thessalonica ed un sempre
crescente numero di città in Grecia sono diventate campi di agitazione
sociale, campi dove viene recitato fino in fondo il risentimento di
migliaia di giovani, di lavoratori e di disoccupati. Vestiti con
uniformi dell'esercito ed "abbigliamento da lavoro", facendo la guardia
al campo o correndo per commissioni, facendo i servitori dei
"superiori", ci troviamo ancora lì [in quegli stessi campi]. Abbiamo
vissuto, come studenti universitari, come lavoratori e come
disperatamente disoccupati, le loro "pentole d'argilla", i "ritorni di
fiamma accidentali" , i "proiettili deviati", la disperazione della
precarietà, dello sfruttamento, dei licenziamenti e dei procedimenti
giudiziari. Ascoltiamo i mormorii e le insinuazioni degli ufficiali
dell'esercito, ascoltiamo le minacce del governo, rese pubbliche,
sull'imposizione dello "stato d'allarme". Sappiamo molto bene cosa ciò
significhi. Viviamo attraverso l'intensificazione [del lavoro],
aumentate mansioni [dell'esercito] , condizioni estreme con un dito sul
grilletto. Ieri ci è stato ordinato di stare attenti e di "tenere gli
occhi aperti". Ci chiediamo: A CHI CI AVETE ORDINATO DI STARE ATTENTI?
Oggi ci è stato ordinato di stare pronti ed in allarme. Ci chiediamo?
VERSO CHI DOVREMMO STARE IN ALLARME? Ci avete ordinato di stare pronti a
far osservare lo stato di ALLARME:

* Distribuzione di armi cariche in certe unità dell'Attica [dove si
trova Atene] accompagnata anche dall'ordine di usarle contro i civili se
minacciate. (per esempio, una unità dell'esercito a Menidi, vicino agli
attacchi contro la stazione di polizia di Zephiri)

* Distribuzione di baionette ai soldati ad Evros [lungo la frontiera turca]

* Infondere la paura nei dimostranti spostando i plotoni nell'area
periferica dei campi dell'esercito

* Spostare per protezione i veicoli della polizia nei campi
dell'esercito a Nayplio-Tripoli- Korinthos

* Il "confronto" da parte del maggiore I. Konstantaros nel campo di
addestramento per reclute di Thiva riguardo l'identificazione di soldati
con negozianti la cui proprietà è stata danneggiata

* Distribuzione di proiettili di plastica nel campo di addestramento per
reclute di Corinto e l'ordine di sparare contro i nostri concittadini se
si muovessero "minacciosamente" (nei riguardi di chi???)

* Disporre una unità speciale alla statua del "Milite ignoto" giusto di
fronte ai dimostranti sabato 13 dicembre come pure mettere in posizione
i soldati del campo di addestramento per reclute di Nayplio contro la
manifestazione dei lavoratori

* Minacciare i cittadini con Unità Operazioni Speciali dalla Germania e
dall'Italia - nel ruolo di un esercito di occupazione - rivelando così
il vero volto anti-lavoratori/ autoritario della U.E. La polizia che
spara prendendo a bersaglio le rivolte sociali presenti e future. E' per
questo che preparano un esercito che assuma i compiti di una forza di
polizia e la società ad accettare il ritorno all'esercito del
totalitarismo riformato. Ci stanno preparando ad opporci ai nostri
amici, ai nostri conoscenti ed ai nostri fratelli e sorelle. Ci stanno
preparando ad opporci ai nostri precedenti e futuri colleghi al lavoro
ed a scuola.

Questa sequenza di misure dimostra che la leadership dell'esercito,
della polizia e l'approvazione di Hinofotis (ex membro dell'esercito
professionale, attualmente vice ministro degli interni, responsabile per
"agitazioni" interne), del QG dell'esercito, dell'intero governo, delle
direttive della U.E., dei negozianti-come- cittadini- infuriati e dei
gruppi di estrema destra mirano ad utilizzare le forze armate come un
esercito di occupazione - non ci chiamate "corpo di pace" quando ci
mandate all'estero a fare esattamente le stesse cose? - nelle città dove
siamo cresciuti, nei quartieri e nelle strade dove abbiamo camminato. La
leadership politica e militare dimentica che siamo parte della stessa
gioventù.

Dimenticano che siamo carne della carne di una gioventù che sta di
fronte al deserto del reale all'interno ed all'esterno dei campi
dell'esercito. Di una gioventù che è furibonda, non sottomessa e, ancora
più importante, SENZA PAURA. SIAMO CIVILI IN UNIFORME. Non accetteremo
di diventare strumenti gratuiti della paura che alcuni cercano di
instillare nella società come uno spaventapasseri. Non accetteremo di
diventare una forza di repressione e di terrore.

Non ci opporremo al popolo con il quale dividiamo quegli stessi timori,
bisogni e desideri/lo stesso futuro comune, gli stessi pericoli e le
stesse speranze. CI RIFIUTIAMO DI SCENDERE IN STRADA PER CONTO DI
QUALSIASI STATO D'ALLARME CONTRO I NOSTRI FRATELLI E SORELLE. Come
gioventù in uniforme, esprimiamo la nostra solidarietà al popolo che
lotta e urliamo che non diventeremo delle pedine dello stato di polizia
e della repressione di stato.

Non ci opporremo mai al nostro popolo. Non permetteremo nei corpi
dell'esercito l'imposizione di una situazione che ricordi i "giorni del
1967" [quando l'esercito greco ha effettuato il suo ultimo colpo di stato].

domenica 4 gennaio 2009

Sì alla "Nato" latinoamericana, sfida ad Obama

Sudamerica-Cuba, 4 summit in 15 giorni

Immanuel Wallerstein
Il principale artefice di questi incontri è stato il presidente del Brasile Luiz Ignacio Lula da Silva e l'"eroe" è stata Cuba. Lula stesso lo ha definito un "uragano ideologico".
Vediamo in sintesi cosa è accaduto. Il Mercosur è il mercato comune organizzato da Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay al quale si è ora unito anche il Venezuela. I presidenti di queste cinque nazioni hanno annunciato che assorbiranno tutte le esportazioni della Bolivia, che ha visto le sue tariffe preferenziali cancellate a settembre dagli Stati Uniti perché, stando a Washington, il paese non stava facendo abbastanza per combattere il traffico della droga.
Questa decisione è stata approvata dall'Unasur, l'unione dei 12 stati dell'America del sud (che include Messico e Panama come osservatori). Ma ancora più importate è stato il fatto che l'Unasur ha condiviso la proposta del Brasile di creare un South American Defense Council (un Consiglio di Difesa dell'America Latina). In considerazione del fatto che solo a maggio lo stesso Unasur aveva affossato questa proposta (che non era gradita agli Stati Uniti), il ministro della difesa brasiliano Celso Amorin ha accolto la nuova decisione come un «una piacevole sorpresa», che incarna l'idea di una America Latina per i latino americani, una geniale parafrasi dello slogan della classica Dottrina Monroe "L'america agli americani".
Ma il vero evento è accaduto il 16 dicembre scorso al vertice del Gruppo di Rio. Il Gruppo di Rio, un forum politico dell'America Latina creato nel 1986, e che nel 2008 ha registrato la presenza di 22 nazioni, ha all'unanimità ammesso Cuba come membro. Il presidente del Messico, Felipe Calderon, che presiedeva il vertice, ha accolto il "popolo fratello" di Cuba, che in quella sede era rappresentato da Raul Castro e che è stato accolto da un applauso caloroso. Il Forum ha inoltre prontamente condannato l'embargo americano verso Cuba chiedendone la fine immediata.
Calderon e Castro hanno poi avuto un incontro privato per appianare gli "aspri dissidi" che vi erano tra i due paesi e che erano il risultato delle azioni del predecessore di Calderon, Vincente Fox. Dopo l'incontro lo stesso Castro ha definito i rapporti tra i due stati "magnifici". I due presidenti hanno inoltre annunciato che nel 2009 si scambieranno visite ufficiali.
Il vertice finale è stato quello dei 33 presidenti latino americani e dei Caraibi, il primo della storia. Gli unici tre presidenti assenti e che hanno trovato scuse per inviare dei sostituiti sono stati il presidente della Colombia Alvaro Uribe, del Perù Alan Garcia e del Salvador Antonio Saca, gli ultimi amici degli Stati Uniti in America Latina. Il Brasile era così coinvolto e interessato all'incontro che ha inviato aerei militari per i presidenti delle nazioni più povere del Centro America e dei Caraibi per permettergli di essere presenti.
Ma più significative, in questo incontro, sono state le assenze. Non erano invitati né gli Stati Uniti, né gli ex stati colonizzatori (e cioè Spagna e Portogallo). Il presidente dell'Ecuador, Raffael Correa, ha dichiarato che l'incontro metteva fine all'era dei "governi pupazzo" in America Latina. Il giornalista brasiliano Pepe Escobar lo ha definito un «siluro lanciato contro il sottomarino Obama».
La tempistica di questo incontro non è stata casuale. Il quinto vertice delle Americhe è fissato per il prossimo aprile a Trinidad. E' un organismo lanciato dal presidente Clinton nel 1994. Gli stessi capi di stato e di governo vi saranno invitati, ma ve ne saranno due in più, Stati Uniti e Canada, e uno in meno, Cuba.
Presumibilmente Obama dovrà confrontarsi in quella occasione con le proposte e gli argomenti avvanzati nei meeting tenutesi in Brasile. Il primo sarà quello di includere Cuba revocando la sospensione sancita dall'Organizzazione degli Stati Americani. Lula ha dichiarato che al fine di migliorare le relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti, sono questi ultimi che devono fare il primo passo togliendo l'embargo. La seconda proposta è quella di rivedere i debiti esteri. L'Ecuador ha già annunciato una moratoria sui futuri pagamenti, asserendo che dopo averli pagati per 28 anni, il debito resta invariato, «una misera storia» ha detto Correa.
Castro ha annunciato di essere pronto a colloqui diretti con Obama. «Se vuole avere una discussione, l'avremo. E' sempre più difficile isolare Cuba». Lula si è spinto oltre nello sfidare Obama dichiarando che la sua presidenza sarà veramente storica solo quando toglierà il blocco a Cuba. Nel frattempo quello che veniva considerato il cortile di casa di Washington si sta sempre di più aprendo ad altre potenze. Russia, Cina e Iran hanno tutte visto crescere il loro ruolo in America Latina.
L'ultima ad arrivare è la Francia. Il presidente Sarkozy si è recato in visita ufficiale in Brasile il 22-23 dicembre scorsi. I due paesi si sono accordati per migliori rapporti commerciali ma anche importanti rapporti militari. La Francia assisterà la marina brasiliana nella costruzione di cinque sottomarini di nuova generazione, incluso uno nucleare, che sarà il primo del genere in America Latina. Inoltre la Francia ha annunciato di essere pronta a fornire al Brasile la tecnologia necessaria per la costruzione di sottomarini nucleari così che in futuro il Brasile possa farlo da solo. Parte dell'accordo militare è anche l'aiuto francese per la costruzione di elicotteri, di cui il Brasile intende diventare esportatore.
La palla cubana, la palla ecuadoregna e quella brasiliana sono ora tutte nel cortile di Obama. Ha tempo sino ad aprile per farci sapere come intende rispondere.

liberazione 02/01/2009, pag 7