lunedì 22 febbraio 2010

Buruma: 'Così il sorpasso cinese indebolisce le nostre democrazie'

Repubblica — 19 febbraio 2010 pagina 44 sezione: POLITICA ESTERA

NEW YORK «Il successo della Cina ha conseguenze politiche, ben oltre quella sfera economica che finora ha attirato la nostra attenzione. In una fase di crisi delle democrazie, incoraggia chiunque abbia tentazioni autoritarie, anche in casa nostra. È una sfida al sistema liberaldemocratico occidentale più seria di quanto fosse il confronto Est-Ovest ai tempi della guerra fredda e dell' Unione sovietica». Ian Buruma è uno dei più acuti osservatori del rapporto tra Oriente e Occidente. Olandese di nascita, ha vissuto a lungo in Giappone e a Hong Kong. Ora insegna al Bard College negli Stati Uniti. Ha pubblicato numerosi saggi sull' Asia, un romanzo ambientato in Cina, e presto uscirà il suo nuovo libro dedicato ai rapporti tra religioni e politica dall' Europa all' Estremo Oriente. Signor Buruma, siamo entrati in una nuova fase del rapporto con la Cina, in cui l' Occidente è sempre meno sicuro dei propri valori? «L' ascesa della Cina ne fa un vero modello alternativo rispetto alle democrazie occidentali, qualcosa di molto diverso dalla minaccia dell' Urss che era un paese sostanzialmente arretrato. Quel che accadea Pechino incoraggia tutti coloro che pensano che una nazione sta meglio se unisce l' economia di mercato e un governo coi muscoli. Il capitalismo autoritario aveva un fascino limitato finché veniva sperimentato su piccola scala, per esempio a Singapore. Con la Cina tutto cambia. Dall' America latina fino a Silvio Berlusconi, è ampio l' arco di paesi dove la democrazia parlamentare viene rimessa in discussione. Anche le democrazie più antiche vivono una fase difficile. La voglia di sbarazzarsi dei partiti, di affidarsi a tecnocrati autoritari, spunta in molti luoghi. La forza cinese diventerà un punto di riferimento sempre più importante. E ci mette di fronte a un dilemma. Un' egemonia cinese sarebbe una minaccia. Ma una crisi della Repubblica Popolare può essere una catastrofe, e non solo dal punto di vista economico. Chissà su cosa sfocerebbe: il caos o un regime militare?». Dopo la competizione economica, politica, militare, tecnologica, Pechino diventerà capace di sviluppare anche un soft power culturale? Di esportare un' influenza sulle menti? «Il loro sistema scolastico e universitario può sfornare generazioni di ottimi matematici. Però non è fatto per incoraggiare chi sviluppa idee anticonformiste, fuori dalle convenzioni. Questo può essere un limite all' espansione mondiale di un' influenza culturale cinese. Non darei troppa importanza a quel che il governo di Pechino sta facendo per sostenere la cultura cinese all' estero attraverso gli Istituti Confucio, che sostituiscono i valori tradizionali all' ideologia comunista ormai sprovvista di ogni fascino. Né temo l' indottrinamento della loro tv di Stato ( Cctv) che rafforza la diffusione dei suoi programmi all' estero. In questo campo i cinesi hanno ancora molto da imparare. Il glamour mondiale di Hollywood è un fenomeno di mercato, non pianificato dal governo americano. Per avere successo tra noi i cinesi devono proporci anche sul terreno culturale dei prodotti appetibili. Dove la cultura cinese ci invade, infatti, è proprio in quegli aspetti più validi che non dipendono dalle direttive di governo: una certa estetica, o la gastronomia, per esempio. Ma non vedo pericoli reali in questa penetrazione. L' Asia sarà sempre più in mezzo a noi, questo è inevitabile». Nel corso degli ultimi mesi l' atmosfera tra noi e loro sembra essere cambiata. La "dottrina Obama" che auspicava una cooperazione sempre più stretta fra le due superpotenze è stata contrastata da una serie di incidenti: Copenaghen, Google, Taiwan, il Tibet. Cos' è successo? Siamo cambiati noi, o loro? «Il vertice sul clima a Copenaghen è stato un punto di svolta. Non solo il presidente Obama ma anche i leader europei sono rimasti sorpresi dal comportamento cinese. I dirigenti di Pechino si sono comportati con arroganza, con gesti quasi offensivi. Obama è rimasto colpito. Attaccato in patria dalla destra, a sua volta ha dovuto adottare una linea più dura. Si è reso che essere semplicemente diplomatici non paga coi dirigenti cinesi». Di tutte le occasioni di conflitto la vicenda dello spionaggio cinese contro Google è la più nuova: chiama in causa la nostra concezione di Internet come architettura aperta, una metafora della "società aperta" a cui teniamo. «Google ha fatto la cosa giusta e ha segnato un grosso cambiamento rispetto al passato. Prima di allora, la linea comune del capitalismo e dei governi occidentali era che in nome degli affari bisognava accettare qualsiasi imposizione da Pechino: l' autoritarismo, la censura. Google crea un precedente. Forse anche per gli interessi del business, è meglio dire di no». È pensabile che per le sue dimensioni, con 380 milioni di utenti Internet, la Cina riesca a far funzionare davvero la Grande Muraglia online, un cyberspazio separato, controllato? «I modi per aggirare la censura sono tanti, chi vuole farlo riesce a trovare il sistema. E non dobbiamo focalizzarci solo su Internet. La Cina è il più grande mercato mondiale di telefonini. Attraverso gli sms circolano notizie all' interno del paese, anche su scandali e rivolte, che è molto difficile controllare. D' altronde i dirigenti cinesi hanno accettato e voluto una grande apertura alle nuove tecnologie della comunicazione, perché è funzionale allo sviluppo economico e alla modernizzazione. Anche l' apertura al mondo esterno è essenziale, per costruire una superpotenza dell' economia globale come quella cinese. La Repubblica Popolare non può certo adottare i metodi della Corea del Nord per sbarrare i flussi dell' informazione». Che accade però se i giovani cinesi più istruiti e cosmopoliti, quindi capaci di aggirare la censura, sono anche i più nazionalisti? Lo abbiamo visto quando in Occidente ci furono manifestazioni contro le Olimpiadie in favore del Tibet: la gioventù cinese difese il suo governo. Proprio quelli che dovrebbero essere critici verso il regime, scattano indignati contro le nostre "interferenze". «Questoè vero.I dissidenti come Liu Xiaobo sono un' infima minoranza nella Cina di oggi. Il vasto ceto medio urbano, le generazioni più istruite, hanno accessoa grandi benefici. Secondo me una delle ragioni per cui la gioventù è ipercritica verso l' Occidente, è un inconscio senso di colpa: questo li fa diventare molto difensivi quando il loro paese viene criticato dall' Occidente». -
FEDERICO RAMPINI

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