sabato 19 luglio 2008

G8, la protesta dei filippini

Il sindacato denuncia la crisi e i licenziamenti

Li abbiamo visti in migliaia nella provincia
filippina di Laguna, testimonianze
e foto dei lavoratori picchiati e
licenziati in mano, a protestare contro
la Nestlé per quei comportamenti iniqui
dei quali ancor oggi la corporation
cerca di non rispondere. Ancor prima
li abbiamo visti piangere i propri attivisti
sequestrati e uccisi, e condurre
con coraggio un’indagine indipendente
che ha collegato quei crimini al Governo
di Gloria Marcapagal Arroyo.
Non era la prima volta che si opponevano
a volto scoperto alla politica del
proprio Paese. Kilusang Mayo Uno, il
sindacato filippino Primo Maggio, è
nato proprio così: nel 1980 ha unito
un gruppo di attivisti democratici e
sindacali nella lotta contro la dittatura
di Ferdinand Marcos. In seguito ha tenuto
testa a Corazon Aquino e continua
ad opporsi ai potenti interessi statunitensi
che colonizzano ancora, basi
militari e imprese al seguito, sempre
più campi e fabbriche di quella manciata
di isole del Pacifico.
Nel giorni del G8 si sono piazzati davanti
all’ambasciata giapponese di Manila.
Mentre i Grandi cucinavano a Tokyo,
tra una portata di gala e l’altra, i
loro accordi altisonanti sui destini del
mondo, Elmer Labog, leader degli attivisti
del Primo Maggio, ricordava loro
a distanza qualche semplice numero.
L’Organizzazione Mondiale del Lavoro
ha previsto nei primi mesi di questo
anno, molto prima che la crisi economica
mordesse più forte, che entro
il 2008 più di 5mila lavoratori si sarebbero
uniti al gruppo dei 190 milioni
che in tutto il mondo già alla fine del
2007 risultavano disoccupati. A tutto
questo non si arriva dopo anni di sacrifici
per tutti: mentre sempre più persone
perdevano il loro posto negli stabilimenti
e nei campi di tutto il mondo,
perché nelle tasche delle grandi imprese
hanno continuato ad entrare tanti
soldi: le mille imprese più importanti
del mondo dal 2001 al 2005 hanno visto
crescere come mai in passato i propri
guadagni. Parliamo di un’impennata
del 328%, che significa un aumento
di soli utili da 10 miliardi di dollari.
Se diamo retta ad un’altra agenzia
delle Nazioni Unite, l’UNDP stima
che in 53 dei 73 Paesi del mondo dei
quali ha a disposizione dati comparabili,
che insieme fanno circa i quattro
quarti della popolazione mondiale,
ha registrato da cinque anni a questa
parte un aumento inedito delle diseguaglianze
nella distribuzione dei
redditi ancora più drammatiche che
negli ultimi vent’anni. In soldoni, ci
dice ancora l’ILO stima che più di
151 milioni di persone lavorano ma
guadagnano meno di un dollaro al
giorno, e più di 235 milioni l’equivalente
di due dollari.
Anche nel documento patinato consegnato
agli Otto Grandi dal Trade
Union Advisory Committee presso
l’OCSE, e scritto in collaborazione
con le centrali sindacali europee e le
Global Unions, le cifre tornano, sono
sempre le stesse. Se il lavoro finisce,
non si può contare nemmeno sulla carità:
al di là delle tante promesse dei
Grandi, nel 2007 i cosiddetti Aiuti allo
sviluppo che i Paesi più ricchi hanno
regalato ai più poveri sono diminuiti
di oltre l’8%, ed oggi rappresentano
circa 100 milioni di dollari, un ridicolo
0,25% di tutto il loro Prodotto
interno lordo. Una buona parte, per di
più, se li sono ripresi mandando sul
campo e caricando sul conto merci,
servizi e cooperanti di casa propria. E
la carovana del G8 continua imperterrita
il suo giro turistico intorno al
mondo.

Liberazione 11 Luglio 2008

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