mercoledì 16 luglio 2008

Nell'Iraq post Saddam tornano le Sette sorelle

Dopo trent'anni le grandi compagnie riprendono il controllo
Senza legge e senza limiti

Sabina Morandi
La notizia è approdata sui media internazionali con i titoli cubitali delle grandi occasioni: dopo più di trent'anni le grandi compagnie internazionali tornano in Iraq.
Il ministro del Petrolio Hussein Shahristani ha messo sul piatto sei giacimenti considerati «la spina dorsale» dell'industria petrolifera irachena, e ha invitato le compagnie qualificate - 41 straniere e sei irachene - a piazzare le proprie fiches. Stranamente i nomi delle compagnie irachene non sono stati resi noti mentre sono notissimi quelli delle 35 straniere: dai giganti come ExxonMobil, BP, Total, Royal Duch Shell alle piccole ma aggressive compagnie asiatiche come Mitsubishi (Giappone), Petronas (Malesia), Kogas (Corea del Sud), Lukoil (Russia) e le cinesi Cnpc e Cnooc.
Chi conosce la situazione irachena e soprattutto i tentativi, fino a questo momento respinti, di far passare una legge petrolifera confezionata sui desideri delle multinazionali, è rimasto un po' spiazzato. Ma come, e l'annoso conflitto sulla suddivisione dei proventi petroliferi fra il governo centrale e le zone sciite e curde ricche di giacimenti? E la questione delle royalties, ovvero i diritti che vanno versati allo stato sovrano e che la legge petrolifera tentava vergognosamente di ridimensionare su percentuali coloniali? Che fine ha fatto il progetto di privatizzazione del greggio? E che fine farà il personale qualificato iracheno, che rischia di ritrovarsi fuori mercato con l'arrivo di Big Oil?
Insomma, come è possibile che tutti questi nodi, su di un argomento sensibile come il petrolio - la vera causa dell'invasione americana secondo la maggior parte degli iracheni - siano stati sciolti così facilmente? Certo, senza le tecnologie e gli investimenti delle compagnie straniere non si va da nessuna parte e i giacimenti continuano a girare col motore al minimo, fermi su di una produzione di 2 milioni e mezzo di barili al giorno quando se ne potrebbero pompare fuori quasi il doppio. Ma fino a questo momento, in mancanza di una cornice legale - e di sicurezza - le compagnie hanno continuato a lavorare col telecomando, ovvero impartendo ordini ai dipendenti iracheni dai loro uffici d'oltremare.
A pensar male ci si azzecca quasi sempre, diceva uno che di intrighi se ne intendeva, e infatti basta un'occhiata al piano di Shahristani per imbattersi in una serie di escamotage che lasciano i suddetti problemi irrisolti e rischiano anzi di alimentare nuovi conflitti. Ci sono problemi nel calcolo delle royalties? Il ministro del Petrolio ha risolto chiedendo alle compagnie di lavorare come fornitori di servizi - e di venire pagate di conseguenza - invece di dare loro una percentuale del greggio estratto. Gli iracheni hanno paura di perdere il lavoro? Ma le majors verranno solo a fare corsi di formazione per gli ingegneri locali e comunque, in ogni progetto, le compagnie irachene dovranno avere almeno una partecipazione del 25% secondo modalità che verranno rese note con la pubblicazione degli accordi tecnici di servizio. Peccato che dei suddetti accordi non ci sia ancora traccia come, del resto, non c'è traccia delle compagnie irachene che dovrebbero lavorare insieme a quelle straniere. Va detto anche che la durata dei contratti è molto breve: dai due anni previsti a uno soltanto, vista la delicatezza dell'argomento.
Un colpo al cerchio del nazionalismo e uno alla botte delle Sette sorelle, insomma, che però rischia di rendere l'offerta molto poco allettante per gli investitori anche se il piatto è certamente ricco: ci sono i grandi giacimenti del Sud come West Qurna (7,4 miliardi di barili stimati), South Rumalla (7,3 miliardi di barili) e Zubar (4 miliardi), cui seguono quelli del Nord: Misan Group (2,5 miliardi), Bai Hassan (2,3 miliardi) e Kirkuk (6,5 miliardi). Com'è noto le stime delle riserve lasciano il tempo che trovano, ma di sicuro si tratta di giacimenti importanti e ancora relativamente poco sfruttati rispetto alle riserve di altri paesi del Golfo.
Anche la tabella di marcia prevista dal governo pecca di ottimismo. Alla lista dei campi presentata ieri da Shahristani dovrebbe seguire, a giorni, la firma degli accordi tecnici di servizio. A settembre le compagnie che hanno firmato dovranno presentare al governo di Baghdad dettagliati piani di sviluppo per partecipare alle gare d'appalto che si dovrebbero tenere fra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. La prima ondata di contratti firmati è prevista per il giugno prossimo, dopodichè si spera di partire con la fase due che è quella relativa all'esplorazione di nuovi giacimenti, fase nella quale sono richiesti investimenti molto maggiori e quindi, un maggiore tornaconto per le compagnie interessate. Una lista di pie intenzioni, dunque, che non dissipa i sospetti degli iracheni né rassicura più di tanto le compagnie, restie ad inviare uomini e mezzi finché la controversa legge petrolifera non sarà stata approvata.


Liberazione 02/07/2008

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