lunedì 18 febbraio 2008

ayatollah piace il capitalismo

Nuove banche di investimenti e un vasto programma di privatizzazioni nel Paese
Sorpresa, agli ayatollah piace il capitalismo.
Così l'Iran si prepara alle elezioni politiche
Sabina Morandi
La notizia campeggiava ieri sulle prime pagine dei giornali economici di tutto il mondo: Teheran si prepara ad aprire tre nuove banche d'investimento, ufficialmente «per lottare contro le sanzioni» volute dagli Stati Uniti, come ha dichiarato Heidari Kord Zangeneh, ministro delle finanze ma soprattutto responsabile del vasto piano di privatizzazioni. Sì perché, in realtà, il progetto di privatizzare banche, industrie e telecomunicazioni è già in moto da parecchio tempo ed è proprio a causa del malcontento popolare suscitato dall'applicazione delle prime riforme economiche che si deve il successo dell'integralista Ahmadi Nejad. Ma la propaganda non deve far dimenticare che, sotto i proclami religiosi e patriottici, si agita quella che una volta si chiamava lotta di classe, perfino nell'Iran degli ayatollah. E se la suprema guida spirituale del Paese - attualmente Alì Khamenei - dichiara che la privatizzazione «è il modo più efficace» di controbattere alla «guerra economica» scatenata dall'Occidente, non lo fa solamente per strizzare l'occhio alle emergenti potenze asiatiche, invitate ad approfittare dei saldi delle grandi compagnie statali iraniane, ma è la testimonianza diretta che, anche in Iran, si sta consumando una lotta senza quartiere fra statalisti e fautori della globalizzazione.Com'è noto "l'altro" non è mai monolitico come sembra e non lo è nemmeno la Repubblica islamica che, va ricordato, è nata da una sollevazione popolare e non dai progetti del clero sciita tradizionale che all'epoca era quasi tutto in esilio. E' una distinzione importante che consente di cogliere contraddizioni e potenzialità di un esperimento del tutto nuovo, soprattutto per gli sciiti che sono sempre stati un po' gli outsider dell'Islam. Quelli che cacciarono lo Scià insieme ai partiti della sinistra e che poi sconfissero le correnti laiche, erano giovani estremamente politicizzati che volevano imporre la guida di un Islam radicale con forti connotazioni sociali anche contro la volontà dei clerici in esilio - ancora oggi alcuni alti esponenti tradizionalisti condannano la commistione tra religione e politica caratteristica dell'Iran. Ma gli estremisti vinsero e si rafforzarono durante la guerra con l'Iraq che legittimò l'autorità dei pasdaran pretendendo dall'esercito popolare dei volontari un tributo di sangue senza precedenti. Da allora il potere dei pasdaran è così cresciuto da dare vita a una sorta di "Stato nello Stato", forte del proprio complesso militare, industriale sociale ed economico. Alla morte di Khomeini, il posto di Guida suprema che era stato modellato sulla figura dell'ayatollah, restò vacante. Prima di nominare il suo successore, Ali Khamenei, venne messa in atto una riforma istituzionale che comportava un drastico ridimensionamento del rango e dell'autorità della Guida suprema, decisamente più limitati di quanto si ritenga in Occidente. La Repubblica islamica è retta in modo collegiale da una sorta di oligarchia che rappresenta gli interessi di vari strati della popolazione, secondo una modalità che riflette più le tradizioni persiane che quelle islamiche.Gli organi elettivi - il Parlamento, il presidente della Repubblica e l'Assemblea deglii esperti che elegge la Guida suprema - consentono la gestione collegiale del potere anche se tutto avviene in modo niente affatto trasparente. Il conflitto mai risolto dai tempi della rivoluzione del '79 è, come ovunque, quello fra gli interessi degli strati alti - i vecchi latifondisti e la nuova borghesia compradora - e quelli delle masse impoverite o rurali che non sono state toccate né dalla modernizzazione dello Scià né tantomeno dai profitti del petrolio. Le classi popolari avevano riversato le loro speranze di rivalsa sociale proprio nella rivoluzione islamica radicale ma sono stati duramente colpiti dagli effetti dalle riforme liberiste dell'economia. Non è un caso che la vittoria elettorale dell'attuale presidente sia arrivata dopo un periodo di profonde trasformazioni economiche che hanno ulteriormente impoverito gli strati più poveri. Abbiamo così il paradosso di una forza laica e popolare - appunto i pasdaran - che si contrappone ai tentativi di modernizzazione guidati dall'alto clero, culturalmente più vicino all'Occidente (almeno sull'economia) e decisamente più prudente nella politica internazionale. Il problema di Ahmadi Nejad è stato lo stesso di ogni leader radicale del pianeta: una volta salito al potere, nel 2005, si accorto che gli spazi per difendere una concezione purista della rivoluzione islamica erano quasi inesistenti a parte la sfera privata - vedi la stretta sui costumi e sulle donne - e il buon vecchio nazionalismo. Terreno su cui Bush si trova perfettamente a suo agio tanto da prendere la palla al balzo per alimentare l'ennesima crisi che, con perfetta simmetria, Washington usa per far dimenticare ai propri cittadini la catastrofe economica esattamente come fa il presidente iraniano in quel di Teheran. Ma in Iran la sicurezza nazionale viene presa molto sul serio e l'apparato non ha perdonato ad Ahmadi Nejad di avere esposto il paese alle ritorsioni occidentali. Nel 2007 il presidente si è dovuto impegnare a respingere gli attacchi di gran parte dell'establishment politico che sono culminati nella richiesta di impeachment formulata da alcuni gruppi parlamentari. Peccato che a Capitol Hill non abbiano fatto altrettanto.Le elezioni parlamentari di marzo potrebbero dare luogo a inaspettati cambiamenti anche perché il governo è in forte difficoltà, come si evince dalla pesante epurazione che sta esercitando sulle liste dei candidati. Malgrado ciò, i commentatori vedono queste elezioni come un'occasione per spostare gli equilibri parlamentari di nuovo a favore dei moderati, sempre naturalmente che le isterie occidentali non finiscano col dare una mano a un Ahmadi Nejad in evidente crisi di consenso. Ma, come Bush sa bene, le guerre fanno miracoli.
13/02/2008 Liberazione

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