sabato 1 novembre 2008

Il Fondo monetario salva le “periferie” con la solita strategia

Dopo l’aiuto all’Ungheria tocca al Pakistan

Salvatore Cannavò
In tempi di crisi si utilizzano tutti gli strumenti possibili per arginare cadute e disastri. Non deve stupire quindi che per cercare di tamponare le falle che si sono aperte alla "periferia" del sistema si sia ricorso in queste settimane al Fondo Monetario Internazionale che invece nel complesso della crisi ha avuto un ruolo secondario. I dati parlano di un prestito, varato ieri, di 25 miliardi di dollari all'Ungheria che stava rischiando il default. Pacchetto arrivato dopo il prestito di 2,1 miliardi concesso all'Islanda, i 16 miliardi all'Ucraina e che potrebbe fare da apripista all'intervento di salvataggio nei confronti di Pakistan e Bielorussia. Sembra un intervento periferico, appunto, ma che ha diverse conseguenze e significati politici: sia per quanto attiene al ruolo del Fmi che per la portata "geopolitica" delle varie operazioni.
Il Fondo, come dicevamo, è rimasto finora a guardare la crisi limitandosi a commentarla e a stilare le previsioni macroeconomiche. Del resto la quantità di risorse necessarie è così rilevante che le casse del Fmi possono fare ben poco. Ma c'è una ragione più strutturale. Il Fmi paga ancora gli effetti delle sue inefficienze relative alla crisi asiatica del '97 e a quella argentina del 2001-2002 per le quali è finito sotto accusa non certo in quanto cattivo consigliere ma per non aver saputo dare l'allarme per tempo. Inoltre, la fase unilateralista intrapresa dall'Amministrazione Bush dal 2001 in poi ha messo in ombra tutti gli organismi multilaterali scaturiti dagli accordi di Bretton Woods, come il Fmi e la Banca Mondiale - e che, tra l'altro, hanno anche subito la contestazione del movimento antiglobalizzazione negli ultimi dieci anni.
Oggi si assiste a un timido ritorno. Si tratta di interventi marginali, dell'ordine delle decine di miliardi di dollari. Ma sono comunque interventi rilevanti sul piano politico e molto sostenuti da quei paesi che hanno degli interessi da proteggere.
E' stata l'Unione europea a domandare di assistere l'Ungheria la cui crisi avrebbe potuto innescare un effetto a catena tale da depotenziare un'area strutturalmente vitale per l'export dell'Europa occidentale e soprattutto per la sua politica di delocalizzazione. Ancora più evidente l'importanza dell'intervento in Pakistan, che dovrà essere varato ne prossimi giorni e per il quale si sta spendendo non poco il governo tedesco. Nel caso dell'unica potenza atomica del mondo islamico è chiaro quali possano essere le preoccupazioni occidentali, a partire dagli Stati Uniti: un'instabilità improvvisa a Islamabad potrebbe avere effetti incalcobabili.
Insomma, il buon vecchio Fondo monetario può tornare utile a tamponare falle e a recuperare il controllo geopolitico. Sapendo che nell'Istituto diretto dal francese (e socialista...) Strauss-Kahn la ricetta è sempre la stessa. In cambio dei prestiti che probabilmente saranno aspirati dalle borse nel giro di una settimana, il Fmi chiede interventi strutturali sulla spesa pubblica e il ripristino di clausole sociali dure e dolorose.
Solo se i paesi dimostreranno di poter varare piani finanziari "virtuosi" potranno essere beneficiari dei pacchetti di salvataggio. Cosa significhi ciò per un paese come il Pakistan con un'inflazione al 25% e in cui un quarto della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà è facile immaginare. Ma i prestiti dovranno essere rimborsati e quindi non va esclusa la possibilità che tramite il Fondo si reinneschi quella politica del "debito" che permise agli inizi degli anni 80 di recuperare margini di profitti grazie allo sfruttamento del debito estero dei paesi terzi. Ovviamente, le risorse non sono ingenti e quindi gli interventi limitati e mirati. E, curiosamente ma non casualmente, riguardano paesi le cui difficoltà hanno molto a che vedere con il dollaro. Il biglietto verde dall'inizio della crisi, infatti, si è progressivamente rafforzato in quanto gli Stati Uniti sono tornati a essere il paese rifugio di capitali spaventati dalle dimensioni e dalle implicazioni della crisi.
Questo "ritorno a casa" ha messo nei guai le riserve valutarie di moltissimi paesi che hanno visto la loro moneta crollare- è il caso di tutti quelli citati sopra e interessati dagli "aiuti" del Fmi - le loro importazioni aumentare di costo e quindi la loro bilancia dei pagamenti entrare in territorio minato. Questa dinamica va tenuta d'occhio perché indica come non scontata l'apertura di una fase di declino degli Stati Uniti i quali se certamente dovranno dividere il potere mondiale con altri paesi, restano però lo Stato con la più grande Banca centrale del mondo, con le riserve maggiori e con la valuta che fa ancora da riserva mondiale.
Una piccola dimostrazione di questa centralità arriva dalle fortissime oscillazioni che si sono verificate ieri in attesa della riduzione dei tassi (all'1%) annunciata dalla Fed. La prospettiva di una diminuzine del costo del denaro rianima chi vuole fare shopping in borsa a prezzi contenuti anche se l'intera dinamica andrà verificata alla luce dei dati sul prodotto interno lordo del terzo trimestre che saranno resi noti oggi. Lì si saprà se è cominciata la recessione e quanto è grande.

Liberazione 30/10/2008

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