mercoledì 12 novembre 2008

Le borse applaudono il maxipiano cinese

Timori negli Usa per General Motors. Obama chiamato a una svolta
Le borse applaudono il maxipiano cinese

Salvatore Cannavò
Forse Obama si interesserà più da vicino all'esempio cinese per provare a tirare fuori il capitalismo statunitense dalla crisi attuale. Brilla, infatti, la differenza tra il piano straordinario "anticrisi" messo a punto dal governo di Pechino, che ha stanziato 4mila miliardi di yuan, pari a 586 miliardi di dollari per rilanciare l'economia reale, e il piano da 700 miliardi di dollari che l'amministrazione Bush ha messo in campo sostanzialmente per salvare la finanza. A cogliere la differenza, ad esempio, sono state le borse mondiali a partire da quella di Tokyo in rialzo di oltre il 5%, che ha trainato quelle occidentali (in apertura Wall Street saliva dell'1,86%), Milano compresa. Segno di una certa fiducia che l'economia cinese possa reggere all'urto della crisi e limitare i danni di una discesa del Pil interno che, visto il grado di investimento internazionale, può dare respiro a molte multinazionali estere.
Le misure adottate dal governo cinese, e rese note domenica, si basano su un pacchetto di investimenti destinati a dieci programmi che riguardano, tra l'altro, le politiche per la casa per i meno abbienti, le infrastrutture rurali, le reti di trasporti, l'ecologia, le innovazioni tecnologiche e le ricostruzioni a seguito di disastri naturali. E' previsto anche l'aumento dei prestiti per le piccole e medie imprese.
La cifra, che corrisponde a circa un quinto del Pil cinese sarà stanziata entro il 2010. Dei 4mila miliardi di yuan, 100 milioni dovrebbero essere utilizzati già in questo trimestre. La decisione era già stata anticipata nei giorni scorsi e segue lo stanziamento da 225 miliardi di euro circa per il rilancio della rete ferroviaria, deliberato alla fine di ottobre.
Lo scopo dichiarato delle misure è quello di stimolare la domanda interna, dopo il rallentamento dell'economia nel terzo trimestre quando il Pil è cresciuto del 9%, contro il 10,4% del trimestre precedente. Ma soprattutto in previsione delle stime future, tutte negative: molti economisti, infatti, ritengono plausibile un crollo della produzione interna dal +12% del 2007 a un più modeso +6% nel 2009 se non verranno prese misure adeguate. Che sembrano essere arrivate.
La mossa cinese fa da contraltare alle modalità scelte dagli Stati Uniti, e segnatamente dall'amministrazione Bush sia pure con il via libera dell'allora candidato Obama, per fronteggiare la crisi. Un pacchetto di 700 miliardi di dollari utilizzati finora per sanare i bilanci delle banche in rosso e delle assicurazioni a cui si aggiungono altri provvedimenti parziali che complessivamente potrebbero costare corca 2000 miliardi di dollari. Una cifra che sta contribuendo a portare il debito pubblico Usa a circa il 90% del Pil e il rapporto tra deficit e Pil intorno al 10%. Insomma un disastro per le casse pubbliche che Obama sta vagliando da vicino con i suoi collaboratori e con il suo staff economico. Qui sta il punto forse più nevralgico che riguarda le prossime azioni del neo-presidente Usa: seguirà la linea tracciata da Bush o apporterà modifiche sostanziali? E in che direzione? Da Detroit, sede dell'industria automobilistica,arrivano grida disperate per aumentare gli aiuti a colossi come General Motors e Ford che minacciano licenziamenti massicci. Non a caso, in una lettera rivolta al Segretario al Tesoro, Paulson, il capogruppo democratico al Senato, Harri Reid e la speaker del Congresso, Nancy Pelosi, hanno chiesto di dirottare una parte dei fondi del "piano Paulson" proprio all'industria automobilistica, «il cuore del nostro settore manifatturiero in cui decine di migliaia di posti di lavoro sono a rischio». Espressione non tanto propagandistica se si guardano i dati diffusi dal Center of Automotive Research e resi noti dalla Camera di Commercio Usa: calcolando un taglio della produzione automobilistica del 50% - calcolo non impossibile visto che General Motors ha perso nel terzo trimestre 2,5 miliardi e 70 miliardi negli ultimi quattro anni - si perderebbero nel 2009 circa 2,5 milioni di posti di lavoro, calcolando anche l'indotto. Se pensiamo che il tasso di disoccupazione Usa già oggi sta schizzando verso l'8%, il punto più alto dal 1980 - e negli Usa il calcolo della disoccupazione è molto disinvolto, quindi il tasso effettivo è più alto - è facile immaginarsi quali conseguenze sociali potrebbe comportare un crollo dell'industria manifatturiera nel suo complesso.
Obama sta cercando di capire come utilizzare la fase di transizione - il suo insediamento è previsto il 20 gennaio 2009 - per varare provvedimenti urgenti e anche per questo sta cercando di capire quali margini offra la Costituzione americana per programmare interventi preventivi. Sta di fatto che i segnali che giungono dall'attuale Amministrazione sono divergenti dalle preoccupazioni dei Democratici. Se la portavoce del Tesoro, Zuccarelli, ha risposto alla lettera di Pelosi e Reid dicendo che la priorità è oggi «dare stabilità al sistema finanziario», ieri il governo ha stanziato altri 40 miliardi di dollari per il colosso assicurativo Aig che nel terzo trimestre si è ritrovata con un buco di bilancio di oltre 24 miliardi. Con questo stanziamento sono oltre 160 i miliardi che finora sono stati impiegati per una singola compagnia. L'intervento più rilevante nella storia degli Usa.

Liberazione 11/11/2008

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