mercoledì 12 novembre 2008

La proposta di Lula: «Il G20 prenda il posto di Fmi e Banca mondiale»

Riunione dei ministri economici a San Paolo. Il Brasile: una Bretton Woods 2
La proposta di Lula: «Il G20 prenda il posto di Fmi e Banca mondiale»

Angela Nocioni
Rio de Janeiro
Da una parte i ministri che aspettano lumi dal Fondo monetario internazionale, dall'altra quelli dei Paesi che continuiamo a chiamare emergenti anche se sono emersi da un pezzo: Russia, Cina, Brasile, India.
Questi ultimi l'hanno chiesto chiaramente: riforma immediata degli organismi internazionali del credito, Fmi e Banca mondiale vanno ridisegnati in compiti e funzioni. Non hanno ricevuto risposte positive, tutti gli altri Paesi presenti alla riunione del G20 a San Paolo in vista del vertice di sabato a Washington sulla crisi economica mondiale hanno risposto che no, nell'emergenza bisogna aspettare e usare quel che c'è senza affrettarsi a ridisegnare tutto.
Il presidente brasiliano Lula da Silva, presidente pro tempore del G20, ha chiesto esplicitamente nel discorso d'apertura «una nuova architettura finanziaria mondiale» e ha proposto che il G20 - in alternativa al G7, club delle principali economie del pianeta - diventi la nuova struttura del potere economico globale.
Gli ha risposto il ministro canadese delle finanze, Jim Flaerthy: «Non è questo il momento di pianificare nuovi schemi finanziari mondiali, né nuove organizzazioni di alcun genere». «Ora - ha concluso con enfasi il ministro - c'è da spegnere l'incendio».
Anche il direttore del Fondo monetario internazionale, Strauss-Kahn, da giorni rilascia interviste per dire che non c'è da chiedere decisioni epocali all'incontro convocato per sabato da George W. Bush. «Non aspettatevi cambiamenti radicali, solo aggiustamenti pragmatici nell'emergenza» ha ripetuto anche ieri.
Nelle riunioni preliminari al G20 di San Paolo i ministri economici di Brasile, India, Cina e Russia avevano sollecitato invece un intervento drastico. Guido Mantega, il ministro brasiliano, aveva chiesto addirittura un «Bretton Woods 2», un nuovo anno zero dell'architettura finanziaria globale, come quello che prima della fine della seconda guerra mondiale disegnò le strutture finanziarie che governano il pianeta da allora, ma nessuno gli dà retta.
Mantega ha rassicurato sulle prospettive di tenuta del gigante economico brasiliano, la potenza continentale latinoamericana. «Quando sarà necessario interverremo per assicurare equilibrio - ha detto - sempre preservando l'equilibrio fiscale, bisogna riattivare i canali di credito e aumentare la liquidità, per questo la nostra politica di tassi è flessibile». Ha poi raccomandato che i Paesi più ricchi collaborino ad impedire la fuga di capitali dai Paesi con strutture bancarie più deboli.
Lula ha rincarato la dose. Alla riunione di San Paolo ha iniziato il suo discorso così: «L'economia mondiale attraversa il momento più grave da decenni. Le misure che abbiamo preso finora ci hanno salvato dal peggio, ma rimangono i rischi e crescono le incertezze sulla tenuta dei Paesi meno forti. Chissà quanto reggeranno ancora il commercio e la finanza globale. E' evidente il disordine che regna nella finanza internazionale. Questo disordine minaccia l'economia reale. Non possiamo continuare a ignorare che tutto questo non si risolverà finché non ci decideremo a una governabilità più partecipativa». Sapendo di poter contare sull'effetto Obama, almeno per adesso, ha concluso: «Già sappiamo cosa successe nel 1929, quegli avvenimenti dovrebbero averci insegnato che le misure unilaterali solo rimandano il problema, non lo risolvono e fanno crescere la sfiducia». E ha dettato la linea secondo i desideri brasiliani: «Il sistema finanziario globale dovrebbe essere orientato da due principi: rappresentatività e legittimità delle istituzioni multilaterali». I Paesi del G7, mugugnano dietro le quinte gli addetti ai lavori di Brasile e Argentina, fanno orecchie da mercante perché preferiscono dare più strumenti al Fondo monetario internazionale per tamponare gli effetti della crisi nel malconcio sistema creditizio dei Paesi dell'est Europa entrati nell'Unione europea.
Lula non l'ha detto, ma la sua posizione era talmente chiara da essere suonata come sfida alle vecchie potenze industriali. «I Paesi sviluppati non devono scaricare la crisi sui Paesi che sono ancora ad una fase precedente della crescita - ha concluso il presidente brasiliano - non c'è uscita solitaria da quest'emergenza, la situazione è così grave che o la si risolve tutti insieme o non la si risolve». Più chiaro di così era difficile.

Liberazione 11/11/2008

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