martedì 16 giugno 2009

Il luogo comune alla base del razzismo


Di Andrea Oleandri

Il razzismo non è di certo una rottura storica, un qualcosa che nasce da un giorno all’altro. Piuttosto sarebbe più facile descriverlo come un corso d’acqua che scorre lungo i suoi argini. Argini che se non si sta ben attenti a curare, a mantenere forti, rischiano di cedere al primo temporale e il fiume di esondare.
Esondazioni spesso causa di luoghi comuni che arrivano a diffondersi nella società, che divengono dei presupposti condivisi su cui costruire poi i propri discorsi.
Oggi questo luogo comune, si è sviluppato attorno alla figura del clandestino come causa di tutti i nostri mali. Poco importa se siamo di fronte a iracheni che scappano dalla guerra, a kurdi che fuggono dall'arroganza turca, da senegalesi che cercano un'alternativa. Sono tutti clandestini e quindi vanno cacciati, perseguiti e, quando è il caso, perseguitati.
Una campagna così martellante si è sviluppata in questi ultimi anni che gli argini sembrano essersi rotti e il fiume esondato. E non lo dimostra solo il discorso politico, sempre più concentrato sulla caccia al clandestino. Il dato più preoccupante arriva da fuori, dall'uso che se ne fa anche in un ambito, come quello della pubblicità, sempre attento alla pancia dell'uomo medio per vendere qualche prodotto in più. Così, accade che per le strade di Roma e provincia (quelle che ogni giorno percorro, ma non è detto non sia così anche da altre parti) ci si possa imbattere in manifesti 6 x 3 con su scritto a caratteri cubitali “NO AI CLANDESTINI!” e, poco più in basso, “ferma l'invasione”.
Ora, rientrasse nell'ambito del discorso politico di cui accennavo sopra, uno potrebbe pensare che – suppur cosa da condannare, respingere e combattere – sarebbe stata una campagna “legittima” per quanto riguarda la Lega o partiti della destra che da anni battono su questi temi. Appare invece gravissima proprio per il fatto che questo “no ai clandestini!” venga da una campagna pubblicitaria di un prodotto – un antiparassitario contro gli insetti – che non si presta poi neanche più di tanto allo slogan scelto.
Quello che si è tentato di fare è una cosa molto semplice e basilare per chi si intende minimamente di comunicazione. Si è scelto uno slogan che, attraverso la condivisione di un presupposto – in questo caso il rifiuto dei clandestini – potesse attirare l'attenzione dei cittadini/consumatori che, una volta in sintonia con il messaggio, si dovrebbero gettare sul prodotto, più o meno inconsciamente. Del resto che le tecniche comunicative oggi utilizzate in tutti gli ambiti – compresi quelli politici – parlino più alla pancia, alla parte emotiva, non è di certo un segreto.
Quando però, per colpire dei potenziali clienti, oltre a quest'involuzione si utilizzano anche messaggi di questo tipo appare chiaro che iniziare a preoccuparsi è poco. Quando un messaggio così distruttivo diventa un luogo comune, tanto che la pubblicità decide di servirsene, ci sono ragioni a sufficienza per iniziare a tenere gli occhi ben aperti, armandosi di sacchi di terra per riportare il fiume nei suoi argini una volta per sempre.

http://andreaoleandri.splinder.com/post/20615593/Il+luogo+comune+alla+base+del+

Nessun commento: