domenica 15 novembre 2009

Allarme ambiente in Congo, nel mirino gli investimenti Eni

Un rapporto svela i megaprogetti criticati da società civile ed esperti

Elena Gerebizza*
Il rapporto tra Eni e il territorio della Repubblica democratica dle Congo risale alla fine degli anni Sessanta. Ma è di questi mesi la panificazione di un investimento multimiliardario su diversi fronti. Nel maggio del 2008, la compagnia del cane a sei zampe ha siglato un accordo "ombrello" - non reso pubblico per la clausola di confidenzialità - con l'esecutivo congolese per un investimento di 3 miliardi di dollari nel periodo 2008-2012. L' intesa copre: l'esplorazione delle sabbie bituminose, la produzione di olio di palma per alimentazione e biocombustibili e la costruzione di un impianto a gas da 350/400 megawatt.
Un rapporto redatto dalla Fondazione Heinrich Boell e dalla Campagna per la Riforma della Banca Mondiale racconta il rapporto controverso tra la compagnia e la RdC.
Le sabbie bituminose e i biocombustibili sono due aree di investimento molto controverse e fortemente criticate dalla società civile internazionale e dagli organismi scientifici a causa dei loro devastanti impatti sociali e ambientali e, sia a livello locale che globale, per le elevate emissioni di gas serra ad essi riconducibili. La produzione di un barile di sabbie bituminose rilascia nell'atmosfera dalle tre alle cinque volte più gas nocivi della quantità derivata dall'estrazione di petrolio convenzionale, oltre a causare livelli di inquinamento delle acque e della terra mai visti prima nel settore. L'area interessata dalla attività dell'Eni in Congo copre un'estensione di 1.790 chilometri quadrati e secondo Eni dovrebbe portare alla produzione di 2,5 miliardi di barili di greggio, con altri 500 milioni possibili.
La minaccia che lo sviluppo delle sabbie bituminose in Congo possa causare danni ambientali e sociali irrimediabili è particolarmente preoccupante: la maggior parte del territorio incluso nella licenza è coperto da foresta tropicale primaria, mentre il rimanente è popolato da comunità locali di produttori agricoli su piccola scala. Inoltre, la seconda città del Paese, Pointe Noire, si trova a soli 70 chilometri dal luogo dove l'Eni sta attualmente effettuando i primi test. Nonostante l'Eni abbia dichiarato che cercherà di «minimizzare gli impatti ambientali e di studiare le tecniche più appropriate di conservazione e recupero», al momento sembra davvero difficile pensare a una maniera sostenibile di sfruttamento delle sabbie bituminose. Le stesse comunità locali congolesi sono preoccupate per la mancanza di consultazioni, non solo per la questione delle sabbie bituminose, ma anche per quelle dello sfruttamento petrolifero tout court. Nel giacimento di M'Boundi, gestito proprio dall'Eni, la compagnia continua la pratica del gas flaring che consiste nel bruciare a cielo aperto gas naturale collegato all'estrazione del greggio ed è fonte di piogge acide e considerato una delle cause principali dell'effetto serra. I piani dell'Eni di trasformare questo gas in energia elettrica potrebbero essere i benvenuti, ma solo se i cittadini congolesi - per il 70% senza accesso all'energia - potranno beneficiarne, e se gli stessi saranno messi a conoscenza nel dettaglio sulle politiche ambientali.
Il Congo è oggi il quinto esportatore africano di petrolio, eppure è anche uno dei Paesi più poveri. Lì come in molti altri Paesi del Sud l'oro nero non ha portato benessere, al contrario la storia del Paese è segnata da conflitti e corruzione. Ancora oggi il Congo non ha adeguate normative ambientali né la capacità di metterle in atto. Insomma, un contesto molto complesso, dove la questione delle sabbie bituminose non fa che complicare ulteriormente le cose.
*CRBM/Manitese

Liberazione 11/11/2009, pag 7

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