mercoledì 9 giugno 2010

Il Dragone all’assalto di Wall Street

FEDERICO RAMPINI - 07 Giugno 2010

«Il dragone accovacciato ascolta le onde». È la frase in ideogrammi illustrata su un antico rotolo di calligrafia cinese, appeso nell'ufficio di Wu Bin al numero 725 della Quinta Strada, Manhattan. Non è un indirizzo qualsiasi: si trova al ventesimo piano della Trump Tower, il grattacielo che sta giusto a fianco del celebre gioielliere Tiffany. Wu Bin è il direttore generale della Industrial and Commercial Bank of China (Icbc), attualmente la banca più redditizia del mondo. I suoi utili dell'anno scorso, 19 miliardi di dollari, sono stati il triplo di quelli della Bank of America. Nonostante la sede prestigiosa sulla Fifht Avenue, la sigla Icbc resta sconosciuta agli americani. La sua "name recognition", come si usa dire, cioè la notorietà del marchio, è pressoché nulla. Proprio come un dragone "accovacciato" in attesa di mostrarsi, il colosso del credito cinese riesce a passare quasi inosservato e a nascondere la propria forza. Eppure è in atto una vera e propria invasione delle banche cinesi in America. Le date sono significative. La Icbc ha inaugurato la sua succursale newyorchese nell'ottobre 2008, esattamente quando sembrava che il sistema finanziario mondiale fosse entrato in un coma profondo. Segno dei tempi: mentre l'analoga espansione delle banche nipponiche negli anni Ottanta provocò clamore, controversie, allarmi nella classe dirigente americana, l'avanzata cinese nel cuore di Wall Street viene subìta quasi con rassegnazione.
Qualcuno spera che sia un fuoco di paglia, c'è chi scommette che i giganti della finanza venuti dalla Repubblica Popolare entro qualche anno se ne torneranno a casa con le ossa rotte proprio come accadde ai loro predecessori nipponici. Magari per effetto dello scoppio di una bolla speculativa, alla Borsa di Shanghai o sul mercato immobiliare di Pechino. Ma per ora questo è wishful thinking, un auspicio poco giustificato dai fatti. Comunque sia, gli americani assistono alla penetrazione cinese nel loro settore finanziario perché non hanno alternative. A pochi metri dall'ufficio di Wu Bin, la sala trading della Icbc tratta freneticamente ogni giorno grosse partite di Treasury Bonds, i titoli del debito pubblico americano che hanno un disperato bisogno di acquirenti stranieri. E non è solo per il loro ruolo come finanziatori del Tesoro di Washington, che i cinesi sanno rendersi indispensabili. Una delle operazioni più importanti da quando si è insediata a Manhattan, la Icbc l'ha realizzata a vantaggio di un gruppo privato. La Ge Capital, filiale finanziaria della General Electric, nella crisi aveva dovuto ricorrere agli aiuti di Stato, come gran parte delle banche americane. Ge Capital ha potuto restituire gli aiuti pubblici e riconquistare la propria indipendenza dall'Amministrazione Obama, grazie a un ricco prestito di 400 milioni di dollari concesso dalla Icbc. "Siamo sbarcati a New York nel momento più buio", ha dichiarato Wu Bin al Wall Street Journal. La Icbc è la punta avanzata di un piccolo esercito. Tra le bandierine rosse stellate che sono appuntate sulla mappa di Manhattan c'è anche la Bank of China con due sedi, una sulla Madison Avenue e l'altra a Wall Street. C'è la Bank of Communications, quinto gruppo per dimensioni in Cina, nel grattacielo Exchange Plaza che sta a pochi passi da Ground Zero. E c'è la China Construction Bank con sede Usa sulla Avenue of the Americas. Tutte hanno come azionista di controllo il governo di Pechino. Tutte sono banche quotate in Borsa ma a partecipazione statale. La loro strategia di espansione internazionale è frutto di una regìa centralizzata. Nel caso della Icbc, per esempio, la Repubblica Popolare è azionista per il 70%. L'appetito degli istituti di credito cinesi è cresciuto proprio mentre i concorrenti occidentali s'indebolivano, diventavano più cauti, in certi casi si ritiravano dai mercati stranieri. L'ascesa cinese è simmetrica e speculare, rispetto all'indebolimento del sistema bancario americano. Sulla finanza di Wall Street gravano incognite serie: l'Amministrazione Obama e il Congresso elaborano nuove regole per limitare la presa di rischio delle grandi banche commerciali. I requisiti di capitalizzazione si fanno più stringenti. Gli ex "padroni dell'universo" di Goldman Sachs e J.P.Morgan sentono sul collo il fiato delle autorità di vigilanza, hanno l'opinione pubblica contro.
Nessuno di questi vincoli impaccia le banche cinesi. Al contrario, i loro bilanci sono usciti relativamente indenni dal biennio della recessione. E' possibile, forse probabile, che quei bilanci siano opachi. Sulla qualità della corporate governance cinese ci sono seri dubbi. La collusione tra i banchieri di Pechino e di Shanghai e le loro autorità di governo non garantisce che i conti siano affidabili. E tuttavia il fatto che l'economia cinese abbia mantenuto una crescita vigorosa durante il terribile biennio 200809 aiuta il sistema bancario: non c'è stata nella Repubblica Popolare un'epidemìa di bancarotte come quella che ha colpito imprese e famiglie negli Stati Uniti. Forti del sostegno pubblico, gli istituti di credito cinesi esibiscono spalle robuste, possono permettersi operazioni ambiziose.
La Bank of Communications nel solo 2009 ha aumentato del 55% i suoi attivi americani, con 1,4 miliardi di dollari di impieghi. Bank of China, terzo istituto in Cina, vanta la più antica presenza negli Stati Uniti: è insediata dal lontano 1981 ed è l'unica finora ad avere ottenuto dalla Federal Reserve l'autorizzazione a raccogliere depositi presso i risparmiatori negli Stati Uniti. La China Construction bank, che ha aperto la sua prima filiale operativa a New York solo nel giugno 2009, da allora ha già compiuto investimenti per 370 milioni di dollari. China Merchant Bank si è insediata a Manhattan proprio come la Icbc, nell'ottobre 2008, in coincidenza con il fallimento di Lehman Brothers e il quasicrac di Aig: da allora ha compiuto investimenti per 200 milioni. Per il momento la natura delle loro attività non è particolarmente sofisticata. Nessuno di questi istituti si sogna di sfidare la Goldman Sachs sul trading dei derivati o nei più complessi montaggi finanziari. "Quelli sono mestieri troppo complicati per noi dichiara con confuciana modestia Wu Bin non saremmo capaci di controllarne i rischi".
Però la ricchezza di mezzi consente alle banche cinesi di offrire fidi all'industria americana proprio mentre i banchieri Usa sono diventati più prudenti nell'erogare credito. Per gli imprenditori del Midwest a caccia di nuove fonti di finanziamento, gli uffici delle filiali bancarie cinesi sono sempre aperti. Il caso della Icbc è il più interessante. Oltre alla General Electric, la principale banca cinese vanta già tra i suoi clienti americani il gruppo informatico texano Dell, il gigante della logistica Ups, la compagnia aerea Southwest Airlines, e la Harvard University.
L'università col più alto numero di Premi Nobel dell'Economia al mondo, si appoggia allo sportello unico di una banca i cui azionisti sono i leader del partito comunista cinese.
Sistematicamente, i banchieri venuti da Pechino setacciano la lista Fortune 500, l'elenco delle maggiori società americane quotate in Borsa. L'altra faccia della loro penetrazione, è l'attività al servizio degli investimenti cinesi in America. Le banche sono il sostegno naturale per le aziende della Repubblica Popolare a caccia di acquisizioni. Nel dicembre 2008, per esempio, la Icbc ha finanziato per 307 milioni di dollari il gruppo Shanghai Jinjiang International Hotels, nell'acquisizione della catena alberghiera americana Interstate Hotels and Resorts. Nel marzo 2010 la China Merchants Bank ha aiutato l'ente petrolifero di Stato China National Petroleum ad acquisire la Ion Geophysical Corporation di Houston. Industria e finanza procedono appaiate e sostenendosi a vicenda. Anche questo ricorda da vicino la parabola del Sol Levante. Non è detto che la conclusione debba essere la stessa.

http://www.repubblica.it/supplementi/af/2010/06/07/copertina/001danaos.html

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