mercoledì 9 giugno 2010

Obama rilancia sulla Cina

di FEDERICO RAMPINI

Il nuovo Obama, nell'edizione riveduta e corretta, incute più rispetto anche alla Cina. Il suo omologo Hu Jintao ha rotto finalmente gli indugi.

Il presidente cinese verrà alla conferenza sul disarmo nucleare che il presidente americano organizza il 12 e 13 aprile a Washington. È un'iniziativa a cui Obama tiene molto, è la sede in cui disegnare l'orizzonte di un disarmo nucleare globale, che vada oltre la logica della semplice non-proliferazione. Sull'Iran inoltre i cinesi sono più malleabili a discutere di sanzioni nel Consiglio di sicurezza, e questo spiega l'ottimismo di Obama nel vertice con Nicolas Sarkozy. "Sanzioni entro la primavera" aveva detto alla conferenza stampa di martedì. E siamo alla vigilia dell'importante missione di Obama a Praga: l'8 c'è la firma del trattato Start con Medvedev, che riduce del 25% gli arsenali russo e americano. È una sequenza di eventi che in pochi giorni segnalano una ripresa di attivismo di questa Amministrazione sul fronte internazionale. È un attivismo diverso da quello del 2009, quando i viaggi all'estero (dal Cairo a Oslo a Copenaghen) furono di troppa immagine e di poca sostanza. Obama sembra avere appreso la lezione. Ha ingranato una marcia diversa, all'insegna del pragmatismo. In parallelo con il suo metodo di politica interna che spiazza amici e nemici.

L'atteggiamento cinese è significativo. Hu Jintao fino a ieri sembrava orientato a snobbare il vertice di Washington. Gli americani erano nervosi. L'assenza del presidente della Repubblica Popolare sarebbe stata uno smacco: è la terza potenza nucleare, nonché il vero rivale strategico degli Stati Uniti. Ma ieri a Pechino è prevalso un atteggiamento conciliante. La leadership cinese ha preferito non aggiungere altri incidenti all'escalation degli ultimi mesi: scontro sulla censura a Google, armi Usa a Taiwan, accuse per la visita del Dalai Lama. Tanto più che nei tre casi citati Obama ha tenuto duro. Una coincidenza ha fatto riflettere Pechino. Il vertice sul disarmo nucleare a Washington si terrà appena due giorni prima che l'America decida su una questione cruciale: se perseguire la Cina per "manipolazione del cambio". 130 senatori e deputati Usa hanno lanciato un appello alla Casa Bianca perché denunci apertamente la sottovalutazione del renminbi che dà un vantaggio competitivo sleale al made in China. Se il segretario al Tesoro Tim Geithner li asseconda, scatteranno dazi punitivi contro le importazioni cinesi. Obama fin qui ha tenuto le sue carte coperte, non si è sbilanciato su questo terreno. Probabilmente non vuole scatenare una guerra commerciale con il suo partner economico più grande (nonché creditore principale). Del resto non ha mosso un dito per impedire che la Ford vendesse la Volvo ai cinesi. Però sulla questione della moneta il presidente americano non ha fretta di manifestare le sue intenzioni. Messaggio ricevuto: ecco che Hu Jintao verrà al vertice nucleare. E al Consiglio di sicurezza il rappresentante cinese diventa più disponibile sulle sanzioni contro l'Iran.

Il pragmatismo, e ora anche una nuova capacità di manovra sfoderata da Obama, spiazzano i suoi avversari. I repubblicani ne sanno qualcosa, dopo avere pronosticato che la riforma sanitaria sarebbe stata la Waterloo di questo presidente. Ma anche la sinistra democratica a volte resta interdetta. È il caso della decisione di Obama di autorizzare la trivellazione offshore lungo gran parte della East Coast, per la ricerca e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di gas e petrolio. La caduta di un divieto ventennale ha indignato molti ambientalisti (non quelli californiani, però: la costa del Pacifico rimane protetta). Obama ha deciso quello che neppure i presidenti-petrolieri Bush padre e figlio osarono fare. Ma nello stesso decreto ha inserito nuovi drastici limiti all'inquinamento delle auto. E visto sotto un'altra angolatura, il via libera alla trivellazione, insieme con gli investimenti nel nucleare, nell'eolico e nel solare, è un messaggio all'Arabia Saudita: l'America vuole liberarsi da una schiavitù energetica che ha ben note conseguenze geostrategiche. Questo è lo stesso presidente che nell'analizzare il movimento anti-tasse e anti-statalista del Tea Party si rifiuta di consegnarlo alla destra, mostra comprensione verso un ceto medio impaurito dal deficit pubblico. Per Obama questo si chiama fare politica. Il resto del mondo comincia a osservarlo con un'attenzione nuova.

(02 aprile 2010)

http://www.repubblica.it/esteri/2010/04/02/news/obama_rilancia_cina-3079400/

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