sabato 14 giugno 2008

Fuggi-fuggi dall'Afghanistan

Accuse incrociate agli Usa dai partner regionali
Che pensano a un'Unione asiatica sul modello Ue
Il fuggi-fuggi
dalla guerra
dei vecchi alleati:
«In Afghanistan
Nato e occidente
hanno fallito»
Dalla Russia alla Cina, dalla Turchia al Pakistan, sono partite le grandi manovre per isolare gli ...

Sabina Morandi
Mentre noi italiani eravamo alle prese con le elezioni, sulla scena internazionale sono successe alcune cosucce importanti che naturalmente i media dell'establishment hanno tranquillamente ignorato, ulteriore segno del fatto che le informazioni fondamentali per capire le cose che ci riguardano sono le prime a venire censurate. E certamente ci riguarda ciò che sta accadendo in Afghanistan, teatro di una guerra infinita nella quale molto probabilmente il nostro nuovo governo sarà "invitato" a spedire truppe fresche da una Nato sempre più di difficoltà.
La seconda settimana di aprile è stata zeppa di una serie di importanti dichiarazioni apparentemente staccate fra loro eppure estremamente significative per capire cosa sta succedendo sulla Grande scacchiera afgana. Ha aperto le danze il presidente pakistano Pervez Musharraf che durante una lezione alla Tsinghua University di Pechino ha spiazzato tutti - visto che il Pakistan è considerato un solido alleato di Washington - nell'invocare l'intervento di Russia e Cina per «dare una mano» a stabilizzare l'Afghanistan.
Il giorno dopo, a Londra, la condotta della guerra è stata pubblicamente criticata dal ministro degli Esteri della Turchia Ali Babacan (altro paese di solida tradizione atlantista) che ha dichiarato senza mezzi termini che la Nato in Afghanistan «sta corteggiando il disastro». Infine, mercoledì, mentre il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, durante una visita nella città sacra di Qom, diceva che gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq e l'Afghanistan «con il pretesto degli attacchi dell'11 settembre», cominciavano a circolare voci di negoziati in corso fra i leader dell'Alleanza del Nord - che sostiene il governo filo-Usa di Karzai - e i talebani. Negoziati, come giustamente scrive l'ex diplomatico indiano M. K. Bhadrakumar su Asia Times , che «rischiano di fare apparire un non-senso l'intera impostazione tattica della battaglia afgana».
Ma come leggere queste dichiarazioni apparentemente scollegate fra loro? Cominciamo con il presidente iraniano, in genere dipinto come un pazzo ma in realtà sempre molto cauto quando si parla di Afghanistan. E' la prima volta infatti che Ahmadinejad attacca frontalmente le ragioni stesse della guerra e, insinuando che l'11 settembre sia stata solo una scusa, assolve di fatto i talebani (il cui coinvolgimento negli attacchi in effetti non è mai stato provato) e accusa Washington di avere scatenato la guerra per puro interesse geopolitico. La qual cosa, considerando che sotto la presidenza di Khatami l'Iran ha fornito supporto logistico agli americani per l'invasione del 2001, dimostra che c'è stato a Teheran un importante ripensamento. Le dichiarazioni rese dal ministro degli Esteri turco al britannico Telegraph sono ancora più gravi perché provengono appunto da uno dei più solidi alleati di Washington. Ali Babacan ha sostanzialmente preso le distanze dalla strategia statunitense in quanto «un approccio ancora più militaristico rischia di essere controproducente e di indebolire definitivamente il governo afgano». Se a questo si aggiunge che negli stessi giorni erano in corso consultazioni di altissimo livello fra Ankara e Teheran per una cooperazione bilaterale nella sicurezza della regione, abbiamo un quadro abbastanza allarmante del disimpegno turco.
Dal canto suo Musharraf è andato ancora oltre nell'esprimere la speranza che un'importante organizzazione regionale poco nota in Occidente - la Shanghai Cooperation Organization - venga chiamata a giocare un ruolo nella stabilizzazione dell'Afghanistan. La Shanghai Cooperation Organization (detta Sco) è stata lanciata nel 2001 per favorire la cooperazione fra paesi eurasiatici come Cina, Russia e le repubbliche ex-sovietiche ancora nell'orbita di Mosca. L'ambizione di trasformare la Sco in un'organizzazione per l'integrazione regionale sul modello dell'Unione europea (con tanto di road map per l'adozione di una moneta comune) erano chiare fin dall'inizio ma l'accelerazione della crisi Usa-Iran sembra aver spinto i dirigenti russi e cinesi a premere sull'acceleratore. Va sottolineato che Pakistan e Iran stanno facendo anticamera alla Sco come semplici osservatori ma hanno tutta l'intenzione di entrare a farne parte come l'Uzbekistan e la Russia - le cui offerte di collaborazione nel conflitto sono state gelidamente ignorate da Washington.
Infine, ad alimentare i segnali dell'approssimarsi di un vero e proprio terremoto geopolitico, c'è la notizia che membri di altissimo livello dell'Alleanza del Nord - come l'ex presidente afgano Burhanuddin Rabbani o il consigliere per la sicurezza di Karzai e comandante supremo dell'alleanza del Nord Mohammed Qasim Fahim - stanno tenendo negoziati con i vertici dei talebani e di altri gruppi d'opposizione in vista di una riconciliazione nazionale. Il fatto che durante il vertice di Bucarest la Nato sia riuscita a ottenere solo un piccolo aumento di truppe, ha probabilmente impresso un'accelerazione agli eventi.
Sul piatto c'è ovviamente la partita geopolitica ma soprattutto quella energetica. Se è noto infatti che Washington non ha invaso l'Afghanistan per catturare Bin Laden ma per garantire la costruzione della pipeline dell'Unocal, di certo Musharraf non è volato a Pechino solo per parlare agli studenti ma per incontrare il presidente Hu Jintao e discutere del gigantesco metanodotto che dovrebbe collegare l'Iran alla Cina passando per il Pakistan. Mentre la nascita di un'Opec del gas sembra sempre più imminente - occhio al meeting di Mosca nel giugno prossimo - le compagnie cinesi stanno investendo soldi e tecnologia nello sviluppo dei giacimenti iraniani da cui sperano di ottenere l'energia per mandare avanti la fabbrica del mondo. La China's National Offshore Oil Corporation sta negoziando un accordo da 16 miliardi di dollari per lo sfruttamento del giacimento di North Pars (uno dei più grandi del pianeta) mentre la China Petroleum and Chemical Corporation ha firmato a marzo un contratto da 2 miliardi di dollari per lo sviluppo dei giacimenti petroliferi di Yadavaran. Gran bei soldi che, evidentemente, non si sentono più garantiti dalle armate di Washington.


24/04/2008

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