sabato 14 giugno 2008

Prezzi cibo e petrolio

I prezzi del cibo come il petrolio; non si fermeranno. L'Onu: «E' la sfida del Secolo», il Pam chiede aiuto. L'Italia è alla preistoria
Ambiente, energia, crisi alimentare
«Lo tsunami per travolgere l'umanità»

Ivan Bonfanti
La crisi è seria, gli scenari anche drammatici. La corsa al rialzo dei prezzi dei generi alimentari che sta già provocando disagi e carestie nei mercati asiatici non si fermerà, ma coinvolgerà altre aree del mondo. Con una parabola che rischia di ripercorrere l'ascesa del costo del greggio, con effetti ben più pericolosi.
La crisi del cibo è terribilmente seria perché ha un cuore strutturale, a cui si aggiungono elementi strumentali. In sostanza i prezzi salgono perché la domanda è cresciuta a dismisura, gli umani si moltiplicano e sono tanti, troppi; per soddisfare una richiesta così pressante il sistema caotico di interazione col pianeta, imperniato sul binomio spoliazione-estrazione, non regge più. Figuriamoci poi quando sul fuoco si getta la benzina, che in questo caso è il forte elemento speculativo che sta dopando l'impennata dei prezzi. Vedere, per credere, al Chicago Board of Trade, il mercato mondiale dei contratti a termine o futures, dove frumento, mais, frutta e verdura sono nient'altro che cifre su cui i capitali finanziari si gettano a capofitto con un solo obiettivo: speculare. Nel 2008 il "titolo" più scambiato è stato quello del frumento, dove la forte concentrazione della domanda ha favorito operazioni di stoccaggio e immissione con conseguenze negative su tutto il settore e sui derivati. Ma alla borsa di Chicago i felici speculatori del cibo giurano che la causa dell'impennata dei prezzi è solo la rovente estate che ha avvolto l'Australia. Peraltro.
Arsura o palle varie, la questione sta assumendo proporzioni tali da richiedere una risposta globale, come ha auspicato ieri la direttrice esecutivo del World Food Programme, il Pam, che ha parlato della crisi in proporzioni catastrofiche definendola «la più grave che il Pam deve affrontare dalla sua fondazione, 45 anni fa». Josette Sheeran ha avvertito che c'è poco da stare allegri, la crisi va affronata o ci travolgerà: «Si tratta di uno tsunami silenzioso che minaccia di far precipitare oltre 100 milioni di persone, in tutto il pianeta, nella fame», ha detto ieri prima di un'audizione con i rappresentanti del parlamento inglese in vista del summit Fao che, all'inizio di giugno, porterà a Roma alcuni tra i più influenti leader mondiali e in cui la «Food Crisis» sarà in cima all'agenda. «Il nuovo volto della fame è rappresentato dai milioni di persone che, a differenza di sei mesi fa, non hanno più di che sfamarsi. Serve un intervento della comunità mondiale su ampia scala e di alto livello, incentrato sull'emergenza e su soluzioni di lungo periodo», ha spiegato Sheeran. Le analisi condotte dal Pam, si legge in una nota diffusa dall'organismo internazionale, coincidono con le stime della Banca mondiale: circa 100 milioni di persone si sono ulteriormente impoverite a causa degli alti prezzi degli alimenti.
Secondo Sheeran la sfida alimentare è la priorità del secolo e richiede una mobilitazione globale come avvenne nel dicembre 2004, quando un'onda anomala di proporzioni gigantesche investì il Sud Est asiatico e l'oceano Indiano causando 250mila vittime e lasciando circa 10 milioni di persone senza casa. Allora furono stanziati 12 miliardi di dollari per la ricostruzione, ma per Sheeran «le risorse immediate sono urgentissime, tuttavia allo stesso modo sarebbero inutili senza strategie a lungo termine». Strategie che sappiano far fronte al nuovo peso del volume umano sul pianeta. Una versione che è stata ribadita anche a Bruxelles, dove la Commissione europea ha deciso ieri di stanziare un pacchetto di 117,25 milioni di euro. «L'aumento dei prezzi alimentari di base è un disastro umanitario in corso», ha sintetizzato in una nota il commissario europeo allo Sviluppo, Louis Michel. «E' una sfida globale che richiede soluzioni di lungo termine, ma l'emergenza è adesso: abbiamo l'obbligo di agire, e agire rapidamente».
E mentre in Italia siamo alla preistoria, alla ricerca di chimere energetiche con la solita mentalità da abuso edilizio in salsa ambientale, come la disastrosa ipotesi di ritorno al nucleare che da noi viene evocata da interessi, malafede e ingoranza bipartisan, altrove si discute seriamente di ambiente, energia e mercati - la combinazione che poi è "solo" la principale sfida alla sopravvivenza umana. Come in Germania, un Paese vicino all'Italia ma lontanissimo dai nostri confini in termini di consapevolezza, responsabilità (collettive e individuali) e civilizzazione politica quando si parla di ecologia. Angela Merkel, che governa la coalizione Cdu-Spd e non un manipolo di eco warriors, non solo ha deciso in modo autonomo e responsabile di alzare gli standard ambientali tedeschi rispetto a quelli del protocollo di Kyoto (che l'Italia non rispetta facendo collezione di multe, ammonimenti e figure da mascalzoni a Bruxelles), ma in queste settimane sta dibattendo, in una discussione vera che divide ministri e cittadini, il nodo dei biocarburanti. Berlino ha infatti varato da tempo programmi per incentivare i biocombustibili, tuttavia proprio le produzioni agricole destinate all'energia sono tra le grandi responsabili dell'impennata dei prezzi alimentari.
E così la ministra dell'agricoltura, Heidemarie Wieczorek-Zeul (Spd), ha avuto l'onestà di fare mea culpa invitando a fare marcia indietro e diffondendo un dossier dal titolo "Produzione di carburanti derivati dall'agricoltura". «Uno dei fattori inflazionistici principali è rappresentato dalla concorrenza tra la produzione alimentare e la produzione di biomasse per l'estrazione di energia dall'agricoltura», recita il documento secondo cui la produzione di energia ricavata dal granturco contribuirà per il 26%-72% all'aumento dei prezzi alimentari entro il 2020. Diversa la posizione della Merkel, la quale la settimana scorsa ha dato l'impressione di voler prendere le difese dei produttori di biocarburanti, anche se in modo del tutto civile. Intervenuta giovedì scorso in Sassonia all'inaugurazione del primo impianto di raffinazione al mondo capace di ricavare combustibile liquido dal legno e altre biomasse non alimentari, la cancelliera ha puntato il dito contro i paesi in via di sviluppo. In particolare India e Cina, «le cui politiche agricole inadeguate si sono sommate a previsioni insufficienti dei cambiamenti delle abitudini alimentari». In altre parole, sono tanti. E mangiano pure loro. Pensa un po'.


23/04/2008

Nessun commento: