domenica 22 giugno 2008

Srebrenica, un Paese alla sbarra

Il processo all'Aja sul massacro del luglio '95. I soldati di Amsterdam "consegnarono" i rifugiati alle milizie serbo-bosniache
«Gli olandesi complici della strage»

Chiara Bonfiglioli
L'Aia
Alma Mustafic è una giovane donna dai capelli scuri e gli occhi chiari. Alma è diventata cittadina olandese, lo Stato i cui soldati vennero accusati di aver assistito al massacro di Srebrenica senza muovere un dito. Con perfetta padronanza della lingua si rivolge alla corte civile dell'Aia, chiedendo giustizia per suo padre, Rizo Mustafic, elettricista impiegato dal battaglione olandese di stanza a Srebrenica, e mandato a morire insieme agli altri il 13 luglio 1995. Davanti alla corte civile dell'Aia è riunito uno sparuto gruppo di attivisti per i diritti umani con uno striscione che ricorda gli oltre 8mila nomi dei morti e dispersi bosniaci durante la guerra nei Balcani.
Vi è anche una rappresentanza dell'associazione Donne di Srebrenica, che nel processo è parte attiva avendo fatto causa allo Stato olandese. All'interno della sala, da un lato siede la rappresentanza del governo di Amsterdam, dall'altra i familiari di Rizo Mustafic, la moglie Mehida e i due figli Damir e Alma. Accanto a loro Hasan Nuhanovic, un altro sopravvissuto della strage, insieme agli avvocati e a simpatizzanti bosniaci e olandesi.
Hasan Nuhanovic è una figura chiave del processo: impiegato come interprete dai soldati olandesi, testimone di quei tragici eventi e autore del libro "Under the Un flag", oggi accusa l'Olanda di avere lasciato morire la sua famiglia. Nel luglio '95 nell'enclave musulmana di Srebrenica la presenza dei peacekeeprs olandesi non impedì il massacro di circa 8mila bosniaci, soprattutti maschi giovani e adulti, sterminati dalle forze paramilitari comandate dal generale serbo-bosniaco Ratko Mladic.
L'Olanda sin dal principio si giustificò dicendo che il battaglione, sotto mandato Onu, non aveva potuto agire diversamente ed anzi, sacrificando i ragazzi e gli uomini, avrebbe in questo modo «salvato donne e bambini». Ma per gli avvocati e le associazioni che ora accusano i caschi blu è stato proprio il contrario: i generali olandesi di stanza a Srebrenica avrebbero potuto salvare molte persone.
Gente come Rizo Mustafic e la famiglia di Hasan, membri dello staff impiegato nella base di Potocari. Il caso Srebrenica è particolarmente scomodo per l'immagine delle forze armate dei Paesi Bassi, tanto che un governo è caduto dopo la pubblicazione, nel 2002, dell'inchiesta della commissione parlamentare. Oggi le autorità olandesi vorrebbero chiudere la faccenda al più presto. Ma non sarà semplice.
Durante il dibattimento l'avvocato che accusa i caschi blu, Zegveld, ha ricordato come il codice di guerra olandese, cosi come le leggi internazionali, proibisca di esporre persone alle rappresaglie e alle persecuzioni dei nemici, quando si è a conoscenza che un rischio esiste. Questo vale per lo staff bosniaco che lavorava nella base militare di Potocari. Nella notte tra il 10 ed l'11 luglio 1995, la popolazione assediata a Srebrenica, venuta a conoscenza di un possibile attacco da parte delle forze serbo-bosniache, si diresse in massa verso la base Onu di Potocari, a circa 6km da Srebrenica, presidiata dal contingente di Amsterdam.
Circa 6mila persone vennero sulle prime lasciate entrare nella base olandese, mentre alle migliaia che sguirono più tardi vennero sbarrati i cacelli. Alle persone rimaste fuori, gli olandesi dissero che avrebbero lasciato entrare «solo donne con bambini piccoli» (nonostante nella base ci fosse ampio spazio per ospitare un maggior numero di rifugiati, come ricorda Hasan nella sua testimonianza). Di fatto, l'11 luglio , verso sera, vi erano circa 6mila rifugiati all'interno della base e molte migliaia assiepati fuori. Il 12 luglio mattina, mentre era ancora in corso un incontro a Bratunac tra una delegazione Onu e lo stesso Mladic, le forze serbo-bosniache circondarono la base e nella notte tra il 12 e 13 cominciarono a separare le donne dagli uomini.
Le donne vennero caricate sugli autobus. Uomini e ragazzi furono uccisi nelle vicinanze dalla base. Il 13 luglio, infine, i generali diedero l'ordine alle 6mila persone che avevano trovato riparo all'interno della base di Potocari di uscire. Dovevano venire fuori «in gruppi da 5». Gli uomini e i ragazzi vennero fatti uscire e poco dopo furono assassinati.
In questo contesto si colloca l'azione legale di Hasan Nuhanovic e della famiglia Mustafic. Il lasso di tempo trascorso tra il 12 ed il 13 luglio non lascia dubbi sul fatto che i generali Karremans e Franken sapessero che non c'era sopravvivenza possibile al di fuori della base (come dimostrano alcune dichiarazioni degli stessi durante la commissione parlamentare d'inchiesta). Gli olandesi avrebbero compilato una lista di 29 nomi che includeva personale bosniaco impiegato nella base e familiari dello staff, da portare con sé al momento dell'evacuazione della base.
L'avvocato Zegveld sostiene che lo Stato olandese non solo aveva pieno controllo della situazione all'interno della base, dato che le forze di Mladic si riumanevano all'esterno, ma che comunque avrebbero dovuto proteggere quantomeno il personale impiegato nella base, e quindi rifiutare di farlo uscire sapendo che sarebbe incorso in persecuzioni ed esecuzioni. Nonostante fosse su questa prima lista di 29 persone, Rizo Mustafic sarebbe stato costretto ad uscire perché non aveva il pass delle Nazioni Unite. Il fratello di Hasan, invece, sarebbe stato fatto uscire dai generali, secondo l'avvocatura dello Stato, per non disattendere il "principio di equità" con gli altri rifugiati che non avevano avuto la fortuna di trovare rifugio nella base.
In sostanza, i generali olandesi avrebbero potuto decidere di salvare le persone all'interno della base, e lo staff in particolare (Medici senza frontiere, infatti, portò con sé il proprio staff bosniaco ed i familiari dello staff). L'avvocato Zegveld, inoltre, accusa i generali di Amsterdam di non avere informato le Nazioni Unite delle esecuzioni del 12 luglio, di cui erano a conoscenza. Per Zegveld lo Stato olandese si sarebbe macchiato quindi di «grave negligenza» e dovrebbe come minimo risarcire le famiglie delle vittime. Perché il battaglione olandese avrebbe di fatto cooperato con le forze che mettevano in atto la pulizia etnica, rifiutandosi di proteggere il proprio staff bosniaco nonché le persone rifugiatesi nella base.
Hasan Nuhanovic ai tempi era impiegato dal contingente come traduttore. Fu lui ad essere incaricato di annunciare ai rifugiati che sarebbe dovuti uscire dalla base. «Dissi loro che le donne ce l'avrebbero fatta, mentre uomini e ragazzi sarebbero tutti morti». Hasan ricorda oggi come i militari che presidiavano l'esterno della base fossero «in t-shirt e disarmati, mentre quelli all'interno, che avevano a che fare con i rifugiati, erano armati e in mimetica».
Secondo Zegveld la «grave negligenza» nei confronti dei rifugiati ebbe anche delle connotazioni razziste. Mentre le forze armate Serbo-bosniache apparivano «ben vestite e tutto sommato ragionevoli», i rifugiati dopo anni di assedio a Srebrenica puzzavano, rubavano cibo e apparivano disperati, e questo avrebbe influenzato la condotta dei soldati. L'artista Sejla Kameric l'ha anche ricordato, nel suo lavoro "Muslim girl", con il graffito lasciato da un soldato olandese di stanza a Potocari che recitava: «No teeth...? A mustache...? Smell like shit...? Bosnian Girl!» ( Senza denti? Con i baffi? Odora di merda? E' una ragazza bosniaca ).
Hasan cercò in tutti i modi di convincere i generali olandesi a salvare la sua famiglia, il fratello minore di 20 anni ed i genitori. «Gli ho chiesto di salvare almeno mio fratello, dato che chiedere di salvare tutti sembrava troppo». Di fronte al rifiuto olandese, la famiglia sarebbe quindi partita verso l'uscita. A quel punto il gen. Franken, incrociando la famiglia quasi all'uscita della base, avrebbe annunciato all'ultimo momento che il padre di Hasan (e solo il padre) poteva "scegliere" di rimanere con Hasan, costringendolo a decidere se abbandonare il resto della propria famiglia in pochi secondi. Ma il padre si avviò verso l'uscita con la moglie e il figlio minore.
Il verdetto sarà emesso a settembre.


Liberazione 22/06/2008

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