venerdì 3 ottobre 2008

L'Europa teme la crisi e si aggrappa alla destra

Voci di un piano europeo anti-crack. Sarkozy invita gli europei del G8 a «rifondare il sistema»

Salvatore Cannavò
L'Europa si aggrappa al piano Paulson-Bernanke sperando che la sua approvazione restituisca serenità oltre Oceano e allevi la pressione sulle banche europee. Ieri il presidente della Bce, il francese Trichet si è detto "fiducioso" che il piano statunitense possa passare cogliendo la differenza di fondo tra le due sponde dell'Atlantico: «Non siamo una piena federazione con un bilancio federale. Ogni Paese deve mobilizzarsi con i propri mezzi» ha spiegato infatti Trichet mettendo il dito sulla piaga che affligge i paesi europei, quel limite che il presidente di turno della Ue, Sarkozy, vuole affrontare nel vertice G4 - i quattro paesi europei del G8 - convocato per sabato prossimo. Il dòmino dei fallimenti giornalieri è destinato a ingrossarsi anche in Europa. Il caso delle banche Fortis e Dexia dimostra infatti quanto il credito europeo sia "intossicato" dalla carta straccia dei titoli legati ai subprime e lo stesso si può dire per Unicredit. Dal fronte delle banche italiane, tra l'altro, si registra un'inquietudine crescente anche perché sono gli stessi dirigenti a non sapere fino in fondo cosa contengono le casse degli istituti di credito e fino a dove può spingersi l'effetto perverso della crisi.
L'Europa dunque rischia e si profilano tempi duri, dunque, come hanno fatto notare le Confederazioni industriali europee, riunite nell'Unice - tra loro anche l'italiana Marcegaglia - al presidente di turno Sarkozy, nell'incontro che si è tenuto due giorni fa all'Eliseo. Incontro nel quale Sarkozy ha sondato gli imprenditori prima di avanzare ufficialmente la proposta di tenere un G4 a Parigi sabato prossimo mettendo attorno al tavolo, oltre a sé stesso, la cancelliera Merkel, Silvio Berlusconi e il premier inglese Gordon Brown. Con loro anche il presidente della Bce, Trichet, il presidente della Commissione europea, Barroso e quello dell'Eurogruppo, Junker.
Che dirà Sarkozy? Dalle indiscrezioni, sembra che il modello di riferimento continui a essere il piano predisposto dall'Amministrazione Usa e che stanotte è passato nuovamente al vaglio del Congresso (e al momento in cui scriviamo non conosciamo l'esito del voto). Si parla di un piano di circa 300 miliardi di euro, ma i francesi smentiscono sia la loro proposta, a disposizione di un Fondo di salvataggio delle banche soggette a default. Il fondo potrebbe essere assegnato alla Bei, la Banca europea degli investimenti, per la quale, poche settimane fa, era stato l'italiano Tremonti a immaginare un ruolo più interventista anche se di sostegno alle attività produttive piuttosto che di assunzione dei rischi bancari. A rincarare il profilo "interventista" ci ha pensato lo stesso Berlusconi che, dopo le asserzioni della vicenda Alitalia, ha ieri assicurati che il suo governo non permetterà alcun fallimento di alcuna banca italiana.
La destra europea, quindi, come quella statunitense è condannata a volgere le spalle al proprio credo liberista e a resuscitare un interventismo statale che sembrava sepolto? Le cose stanno apparentemente così ma in profondità e nella sostanza sono diverse. La pretesa di Tremonti e Sarkozy, o dello stesso Bush, di assegnare alle proprie misure una patina neokeynesiana, non regge. Quella politica - cui la sinistra europea resta agganciata non immaginando, dopo 80 anni alcun avanzamento - puntava a sostenere la domanda aggregata interna, a gestire la politica monetaria in funzione della produzione e dei consumi, immaginando un circolo virtuoso che poggiasse sulla produzione di beni, immateriali e non. Oggi invece si tratta semplicemente di salvare speculatori e affaristi per evitare che il sistema nel suo insieme salti per aria. Gli statisti di oggi si occupano soprattutto di salvare le banche d'affari da cui provengono - eclatante il caso del ministro del Tesoro Usa, Paulson, già amministratore delegato di Goldman Sachs, salvata dal fallimento all'ultimo momento.
Allo stesso tempo, questa destra legata intimamente alla finanza - si pensi a Berlusconi il cui conflitto di interessi lo pone al centro di un tela politico-finanziaria esplicitata dai casi Alitalia e Mediobanca, o a Sarkozy che esibisce le vacanze in barca con il magnate della pubblicità mondiale, Bollore, anch'egli socio di Mediobanca - è costretta a ricorrere allo Stato per gestire la contraddizione principale del nostro tempo: quella tra una globalizzazione finanziaria che sembra non conoscere frontiere, e uno Stato nazionale che resta ancora il depositario degli aspetti normativi oltre che sociali e securitari.
La destra conservatrice si incarica così di gestire il binomio Stato/globalizzazione ma non bisogna farsi illudere dall'apparenza dei fatti. Non c'è una destra che scavalca a sinistra la sinistra: la destra, anzi, ricorre ad alcuni suoi capisaldi, il ricorso al protezionismo statale risolvendo verso "l'alto" le contraddizioni esistenti e adottando una centralizzazione statale delle leve decisionali che negli sforzi di Sarkozy potrebbe proiettarsi anche a livello europeo (pur in presenza di limiti strutturali, quali l'assenza di poteri di Vigilanza per la Bce o la presenza di normative nazionali molto vincolanti).
Il tentativo è di arrivare a una gestione ottimale della contraddizione che possa prevedere un di più di Stato e di centralismo nazionale e allo stesso tempo un di più di "governance" globale. Non ci stupirebbe, infatti, veder riesumato il ruolo e la funzione di quel G8 che dal 2001 in poi è stato messo in secondo piano dal prepotente unilateralismo Usa e che, guarda caso proprio alla vigilia del vertice in Italia, potrebbe tornare a essere il luogo decisivo in cui affrontare e gestire la crisi economica.
Non sappiamo se la destra riuscirà a risolvere questa contraddizione, certamente dimostra di avere spirito di iniziativa e spregiudicatezza adeguati. Quello che sicuramente salta agli occhi è l'inconsistenza della sinistra socialiberista e democratica. Negli Usa, Obama si è dovuto allineare al piano Paulson; in Europa la socialdemocrazia è silente. La crisi è globale e i suoi effetti si scaricano localmente; la destra, ancora una volta si adegua ai tempi, recepisce la pressione che proviene da fenomeni populisti come dimostrano le elezioni in Austria e svolge il suo ruolo. Chi sembra non avere più ruolo è quella sinistra moderata che si è illusa di poter governare la globalizzazione capitalistica e che oggi rischia di essere spazzata via.

Liberazione 02/10/2008

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