venerdì 24 ottobre 2008

L'inarrestabile ascesa dei Fondi sovrani

Chi sono i paesi investitori, di quanta liquidità dispongono, cosa si stanno comprando a prezzi di saldo in Europa e America
L'inarrestabile ascesa dei Fondi sovrani tra i sogni e gli incubi dell'Occidente

Gemma Contin
Fondi sovrani, che roba è? Roba che scotta, da quel che lascia intuire l'istituzione urgente del "Comitato strategico sui fondi sovrani", uno speciale gruppo di esperti oggetto di un apposito decreto governativo, che dovrebbe mettere all'opera "12 tecnici 12", trascelti pariteticamente da Palazzo Chigi, dal ministro degli Esteri Franco Frattini e dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti che, stando a quanto ha scritto sull'Unità Bianca Di Giovanni, ha investito dell'alto compito Enrico Vitali, fiscalista di portata internazionale, socio "storico" del suo privato e avviatissimo studio professionale milanese, da cui Tremonti è aduso uscire per conflitto di interessi non appena diventa ministro e rientrare un minuto dopo aver dismesso la gabanella di public servant.
Il secondo nome, tirato in ballo dal Corriere della Sera, è quello di Giancarlo Innocenzi, sottosegretario alle Comunicazioni nel precedente governo di centrodestra, quando venne varata la riforma Gasparri, «poi membro dell'Autorità delle Comunicazioni - scrive Di Giovanni - negli ultimi mesi rimasto coinvolto nel "caso Saccà"».
Nomina imbarazzante perché non si capisce quale expertise gli venga attribuita in tema di fondi sovrani e di manovre finanziarie internazionali, ma anche perché Innocenzi, secondo una ricostruzione della sua carriera precedente fatta dall'Espresso, è uomo Mediaset a 360 gradi: direttore dei servizi giornalistici di Canale5 Italia1 e Rete4, poi amministratore delegato di Titanus Spa e Odeon Tv.
Con ciò non siamo che ai primi due "esperti", già oggetto di un'interrogazione parlamentare. Il resto verrà di conseguenza, quando ancora non si sa in quali ambiti operativi e discrezionali, con quali mandati a trattare in nome e per conto del governo, sotto che regole e vincoli (della Banca d'Italia? della Consob? dell'Antitrust?) questi dodici superuomini dell'alta finanza dovrebbero riuscire a determinare l'improbabile uscita da una crisi che travalica la dimensione delle singole nazioni e la stessa capacità di intervento degli Stati.
I quali Stati, si è capito proprio da questo megaflop mondiale, sovrani non sono più, come ha detto il governatore della Banca d'Italia davanti alla Commissione Finanze del Senato. Secondo Mario Draghi, infatti: «La crisi finanziaria affonda le sue radici nei cambiamenti strutturali che hanno caratterizzato negli ultimi anni l'economia globale e in modo particolare il settore finanziario stesso. La crescita mondiale, sostenuta in modo crescente dai paesi emergenti, si è accompagnata d un progressivo ampliamento di squilibri significativi, tra loro strettamente connessi. Ad una cronica carenza di risparmio in alcune aree del mondo,particolarmente negli Stati Uniti, è corrisposta una crescente eccedenza in altre, soprattutto in Cina e in altri paesi emergenti a elevata crescita».
Ecco, è questo un incipit autorevole e necessario per ritornare a ragionare, allora, attorno ai Fondi sovrani di cui tanto si parla di questi tempi, senza che i più sappiano esattamente di cosa si tratti e, soprattutto, cosa ci sia da aspettarsi nell'immediato futuro, in quello prossimo e più ancora in quello remoto. Insomma, se davvero siano gli stessi fondamenti del capitalismo per come l'abbiamo conosciuto sinora ad essere minati.
Partiamo allora con l'elencare chi sono i paesi emergenti, a partire dalla Cina come sostiene Draghi, che hanno messo in piedi questa nuova forma di "partecipazione garantita minoritaria", cioè di ingresso in aziende quotate, strategiche, industriali o bancarie, in posizione defilata, senza rappresentanza formale o non necessariamente attraverso propri uomini nei consigli di amministrazione e negli executive board, ma con un apporto di capitali deciso a livello politico dagli Stati investitori, si presume in accordo con i governi dei Paesi in cui sono basate le società investite, garantiti dalle rispettive banche centrali o autorità monetarie.
Questi paesi sono soprattutto quelli con eccedenza di liquidità derivante dagli introiti del petrolio: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Brunei, Abu Dhabi, Singapore. Più di recente anche Cina, Russia, Norvegia e Canada. Ultima la Libia, messa in luce nei giorni scorsi dal suo ingresso con un miliardo di euro nel gruppo bancario Unicredit (4,3%) sottoscritto dalla Bank of Lybia, Lybian Foreign Bank e Lybian Investment Authority, ma che era già presente in Italia nella banca di Piazzale Cordusio, in Capitalia (5%), nella Fiat (2%), nell'Eni (0,7%).
Con quest'ultima società, un anno fa la società statale libica Noc, ha chiuso un accordo strategico in attività estrattive sul suolo e sottosuolo libico, estendendone la durata fino al 2042 per i pozzi petroliferi e fino al 2047 per i giacimenti di gas.
Altri investimenti in Italia vedono la partecipazione del Fondo sovrano di Abu Dhabi Investment Authority (con un patrimonio di 900 miliardi di dollari) del 2,04% in Mediaset, una quota nella Ferrari (4,2%), una in Piaggio Avio (7,5%) detenuta dalla holding pubblica Mubadala che un paio di giorni fa ha siglato un accordo di collaborazione industriale con la Aermacchi-Finmeccanica, veicolata dagli incontri del ministro degli Esteri Frattini con i vertici del maggior fondo sovrano del mondo, per la costruzione dell'M346, un aereo da addestramento ad altissima tecnologia.
Ma le partecipazioni in Italia sono ancora agli albori, tenuto conto che i Fondi sovrani asiatici e mediorientali hanno centinaia di miliardi da investire (si calcola una liquidità complessiva di circa 3.000 miliardi di dollari nelle casse degli Swf-Sovereign wealth fund) e una gran voglia di comperarsi a pezzi e bocconi il meglio che c'è sul mercato europeo e americano che in questo momento, per effetto della crisi e dei continui tracolli delle Borse, è acquistabile a prezzi di saldo.
Dalle case di moda (Prada) ai grandi alberghi (Hotel Gallia), dal circuito del lusso (Bulgari) alle marche automobilistiche, fino alle grandi banche di investimenti, ecco affacciarsi Abu Dhabi Investment Authority con 7,5 miliardi di dollari nella Citigroup (4,9%); la Qatar Investment Authority in Barclays; la China Development Bank e il fondo Temasek di Singapore (100 miliardi di asset) in Bearn Stearns e Morgan Stanley; la Korea Investment Corporation in Merrill Lynch (14%) appena incorporata dalla Bank of America.
I Fondi sovrani - di cui si sa ancora troppo poco sul piano giuridico e sugli strumenti di sorveglianza - che pure sembrano rappresentare l'ancora di salvezza nel mare di guai in cui si trova l'economia e la finanza mondiale, stanno già preoccupando le autorità monetarie e l'establishment occidentale. Berlusconi teme possibili offerte pubbliche di acquisto (Opa) ostili. Angela Merkel chiede una legge che ne argini le partecipazioni rilevanti. C'è chi invoca trasparenza, codici di comportamento, moral suasion. Chi vorrebbe escludere Cina e Russia dalla nuova "corsa all'oro". E chi teme una penetrazione massiccia in imprese strategiche e settori critici: dagli armamenti agli hedge fund, dalle merchant bank ai derivati con cui le amministrazioni pubbliche in debito d'ossigeno e con bilanci fallimentari si sono rifinanziate. Poi c'è tutto il capitolo delle mafie internazionali. Ma questa è un'altra storia.

Libia:
Unicredit4,23%
Capitalia5%
Fiat2%
Eni0,7%

Abu Dhabi:
Mediaset 2%
Ferrari4,2%
Piaggio7,5%
B.ca Pop.Comm.Ind. 2,04%

Liberazione 23/10/2008

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