venerdì 8 maggio 2009

La crisi travolge i 'workers' di Dubai

30/04/2009

Sono più di mille al giorno i lavoratori immigrati negli Emirati che perdono il lavoro

scritto per noi da Elisabetta Norzi

Oltre millecinquecento visti cancellati ogni giorno. E' il ritmo con cui, a Dubai, i lavoratori stranieri vengono licenziati. E se a rimane sere senza lavoro, finora, erano stati soprattutto i professionisti più pagati - ingegneri, architetti, manager occidentali -, adesso la crisi sta travolgendo i workers.

Così vengono chiamati in città tutti gli immigrati indiani, pakistani, afgani, bangladesi, filippini che svolgono i lavori meno qualificati e che hanno uno stipendio massimo di 200 euro al mese. I numeri, finalmente, sono stati parzialmente confermati anche dal governo dell'emirato, che ha fatto di tutto per nascondere le difficoltà di Dubai: il ministero del Lavoro ha parlato di più di 400mila permessi di soggiorno annullati dallo scorso ottobre ad oggi. Subito dopo, però, è arrivata puntuale la smentita: ''la popolazione non sta diminuendo a causa della crisi - ha sottolineato il ministro del lavoro Saqr Ghobash -; molti stranieri in questo periodo sono semplicemente stati mandati a casa per una vacanza, solo il tempo di fare ripartire a pieni ritmi l'economia: a fronte dei permessi cancellati, ci sono oltre 600mila nuovi visti rilasciati''. Un dato, quest'ultimo, non confermato da nessuno dei report delle banche né dalle ricerche delle agenzie di consulenza, che parlano invece di una diminuzione della popolazione del 17 percento, su un totale di circa due milioni di abitanti.

Ma non sono indispensabili i numeri per capire che la crisi ha travolto Dubai: ai bordi delle strade i cantieri sono fermi, le gru abbandonate, il traffico è scomparso e i supermercati, in tutti i quartieri della città, si sono svuotati. I prezzi degli alloggi, poi, soprattutto nelle zone abitate dagli occidentali come Springs o Jbr, sono crollati: una villetta bifamiliare con due stanze da letto, da oltre 3mila mila euro al mese è scesa a duemila. L'emiro di Abu Dhabi è intervenuto per garantire il completamento delle infrastrutture cominciate, come la metropolitana che dovrebbe essere inaugurata il prossimo settembre e la rete stradale che in città non è ancora finita. Gli altri nuovi progetti, invece, per il momento sono fermi: interi quartieri, già disegnati e alcuni anche per metà costruiti, rischiano di rimanere scheletri di cemento.

Il paradosso è che i migranti arrivati a Dubai per sfuggire dalla povertà dei propri paesi d'origine, ora fanno fatica anche a tornare a casa. ''La situazione è la stessa per molti miei amici, operai nei cantieri edili di Dubai - racconta Melanie, originaria delle Filippine che lavora per un'impresa di pulizie come domestica per 160 euro al mese-: non hanno i soldi per tornare nei loro paesi perché le aziende non hanno pagato gli stipendi degli ultimi mesi''. E tutele, da parte dello stato o delle imprese, non ne esistono. Il consolato indiano e quello filippino hanno dichiarato di essere sommersi dalle richieste di aiuto di lavoratori che non hanno i soldi per il biglietto aereo di ritorno nelle loro città. Al momento sono le ambasciate a farsene carico: hanno messo a disposizione alcuni appartamenti e posti letto per chi è rimasto senza casa, coprono le spese di vitto e alloggio, e organizzano charter verso Manila, Delhi, Mumbai o Calcutta. ''Anche nel mio campo, quello delle pulizie - prosegue Melanie -, cominciano ad arrivare segnali di crisi: la mia società lavora solo per gli ‘expat', gli occidentali, non per i locali che pagano male e maltrattano le ragazze filippine. Moltissimi occidentali stanno però andando via da Dubai e abbiamo sempre meno clienti. Speriamo che la città non si svuoti del tutto, altrimenti anche io sarò costretta a tornare a casa. Il mio stipendio è basso, ma riesco a mandare comunque un po' di soldi a casa, per mio figlio che è rimasto nelle Filippine con i nonni. E là il lavoro proprio non si trova''.

http://it.peacereporter.net/articolo/15489$
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