mercoledì 20 maggio 2009

«Oggi negli Usa sarebbe dura pubblicare Bourdieu»

André Schiffrin Intellettuale e editore
Tra la Francia e gli Usa

Guido Caldiron
André Schiffrin ha passato la vita tra libri e case editrici, attraversando il Novecento tra i protagonisti della vita culturale europea e americana. Eppure il suo sguardo febbrile traduce ancora lo stupore e la curiosità con cui guarda alle cose della vita. Quando lo incontriamo a Roma, alla vigilia della sua partecipazione alla Fiera del libro di Torino dove questo pomeriggio sarà tra gli ospiti di un confronto tra editori americani e europei, chiede notizie sullo stato di salute della sinistra italiana. Figlio dell'editore francese Jacques Schiffrin, creatore della Bibliothèque de la Pléiade, André Schiffrin è arrivato a New York nel 1941, a sei anni, fuggendo con la famiglia da Parigi per l'arrivo delle truppe naziste. A 27 anni ha iniziato a lavorare alla Pantheon Books, tra i principali editori indipendenti degli Stati Uniti, dove è rimasto per trent'anni. Nel 1990 ha fondato una nuova casa editrice, The New Press. In Italia ha pubblicato Editoria senza editori e Il controllo della parola (entrambi per Bollati Boringhieri), mentre l'editore Voland ha appena proposto Libri in fuga. Un itinerario politico tra Parigi e New York (pp. 232, euro 15, 00) che racconta la storia della sua famiglia, intellettuali ebrei in fuga dalla Russia a New York, passando per Parigi, e la straordinaria avventura culturale che la ha accompagnata.

Partiamo dalla sua scoperta dell'America: come è andata?
Diciamo che avrei potuto intitolare il mio libro Le illusioni perdute , come il romanzo di Balzac che è poi uno dei miei romanzi preferiti, nel senso che all'inizio condividevo il sentimento di molti giovani immigrati che arrivavano negli Stati Uniti immaginando che tutto sarebbe cambiato, tutto sarebbe andato per il verso giusto. Poi, pian piano, cominciando a lavorare dell'editoria mi sono reso conto che le cose non erano poi troppo facili: il denaro aveva il sopravvento su tutto e non c'era spazio per iniziative politiche e culturali troppo critiche verso l'establishment. Così, anno dopo anno ho fatto molte cose ma mi sono anche misurato con cocenti disillusioni.

In Europa c'è un grande dibattito sulla nozione di "straniero", lei ne ha fatto un'eperienza diretta negli Stati Uniti. Quale bilancio ne trae?
E' evidente che gli Stati Uniti sono un paese di immigrati: prima venivano soprattutto dall'Europa, ora principalmente dall'America Latina. Solo tra la fine dell'Ottocento e il 1914 milioni e milioni di irlandesi, italiani, russi, greci, polacchi e molte altre nazionalità ancora si sono stabiliti qui e hanno costruito il paese che conosciamo oggi. In un periodo di crisi economica come quello attuale i politici populisti indirizzano paure e ansie della gente verso gli "stranieri": è così che si è assistito alla blindatura del confine sud del paese e a centinaia di migliaia di "deportazioni": cittadini messicani o provenienti da altri paesi a sud degli Usa riaccompagnati alla frontiera. Ecco, questo è il clima odierno sul piano politico. Quanto al piano culturale complessivo, veniamo da un decennio in cui la politica del governo americano è sembrata infischiarsene di quanto pensava il resto del mondo delle sue scelte. E' così che anche molti giornali statunitensi hanno finito per ritirare i loro inviati in giro per il mondo: malgrado le guerre combattute in molti paesi dai suoi soldati, l'America è diventata così molto più isolazionista.

La sua vicenda personale racconta della crisi dell'editoria indipendente, lei stesso ha dovuto lasciare la Pantheon Books che è stata comprata da una multinazionale del libro. Cosa sta succedendo?
Nell'industria culturale è in atto una gigantesca ristrutturazione che sta cambiando il volto dell'editoria ma anche quello dei media. Siamo a una nuova pagina della globalizzazione: i monopoli dell'editoria e della stampa non si giocano più sul piano nazionale, ma su quello internazionale. Oggi è una società spagnola ad aver acquisito il secondo gruppo editoriale francese. Qualche anno fa in Francia quando fu messa in vendita la società Vivendi, che controllava una fetta importante dell'industria dei media, tutti gridarono allo scandalo, denunciarono il rischio che a comprarla fosse una società di un altro paese. Oggi, stanno tutti zitti. E' una dinamica globale, non riguarda solo l'Europa: anche in America i grandi gruppi europei hanno fatto man bassa nell'editoria. Solo in Italia c'è il paradosso che tutto rimane concentrato nelle mani di un imprenditore locale, che però controlla ogni cosa: editoria, tv, molti giornali. Sto parlando del vostro attuale Presidente del Consiglio...

A questo proposito c'è chi ha parlato di "maccartismo soft", cosa ne pensa?
E' un cambiamento strutturale quello con cui ci stiamo misurando in questo momento. In prospettiva saranno sempre più spesso gli uffici commerciali delle case editrici a decidere quale libro stampare e quale no, e questo in base all'idea che un titolo possa "tirare" o meno, senza alcuna valutazione specifica sui contenuti del testo. E' chiaro che alcuni temi di politica o, chessò, la poesia saranno pubblicati con sempre maggiore difficoltà. In questo senso emerge anche una precisa scelta quanto ai contenuti che si vogliono proporre ai lettori. Del resto è quanto accaduto anche a me: quando la Pantheon Books è stata comprata da un importante gruppo editoriale si è subito smesso di pubblicare alcuni autori di sinistra. Così, ad esempio, negli Stati Uniti all'inizio della guerra in Iraq i soli libri che esprimevano critiche verso l'intervento americano erano editi da piccole case indipendenti e lo stesso si può dire sull'inizio del decennio Bush, quando solo questi editori "alternativi" pubblicavano testi ostili alla politica del presidente. Qui le ragioni "economiche" diventavano per così dire "politiche", nel senso che all'indomani dell'11 settembre un libro intervista di Noam Chomsky ha venduto in poche settimane oltre trecentomila copie ma nessuna major dell'editoria avrebbe accettato di stamparlo e così la pubblicato un piccola casa indipendente.

Ma negli Stati Uniti esiste o è esistito fin qui un rapporto tra questa straordinaria concetrazione nella proprietà di media e case editrici e l'emergere della cosiddetta Rivoluzione conservatrice da Reagan in poi?
Sono due fenomeni che si sono affermati in modo parallelo nella società americana non necessariamente legati l'uno all'altro. Diciamo però che se in particolare la stampa non avesse sostenuto l'affermarsi della nuova destra negli Stati Uniti, forse George W. Bush non avrebbe avuto la vita così facile. Penso al modo in cui è stata trattata tutta la questione delle "armi di distruzione di massa" che l'Iraq di Saddam avrebbe custodito e che servirono come grimaldello per la guerra. Se la stampa avesse verificato meglio quella notizia, se fosse stata data attenzione agli stessi militari che mettevano in dubbio le scelte della Casa Bianca, le cose sarebbero certo andate diversamente. Questo senza contare come il senso comune dell'arricchirsi facile, del lasciare le cose senza regole "tanto il mercato sistema tutto" è stato veicolato dai media praticamente fino a ieri, vale a dire fino allo scoppio della grande crisi attuale.

Se dovesse tracciare un bilancio culturale e politico a un tempo, come definirebbe i cambiamenti che hanno caratterizzato l'America nel corso dell'ultimo mezzo secolo?
Credo che nel corso del tempo l'America si sia sempre più chiusa in se stessa, abbia smesso di interessarsi al resto del mondo. Quando ero giovane lavoravo per una casa editrice che stampava tascabili. All'epoca, parlo dei primi anni Sessanta era normale trovare un romanzo di Pratolini o di Malaparte in qualunque chiosco di libri di New York. Oggi è diventato impensabile, meno del 3% dei libri stampati ogni anno negli Usa sono traduzioni e di questi una buona parte è rappresentata da manuali tecnici. Lo stesso si potrebbe dire delle università: io ho pubblicato Bourdieu e Foucault, non senza fatica, decenni fa. Forse oggi sarebbe stato impossibile. Le cose potranno cambiare in futuro, ma ora il quadro è questo. Purtroppo.

Liberazione 14/05/2009, pag 12

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