domenica 31 maggio 2009

Reality soap

Donatella Della Ratta
Si chiamano musalsalat. Sono le fiction in onda nei Paesi del Golfo durante digiuno sacro che condannano fondamentalismo e kamikaze

Il sole è appena tramontato e la vita riprende. È l'ora dell'iftar, il pasto che interrompe il digiuno del Ramadan, il mese sacro per i musulmani, conclusosi poche settimane fa. Nelle case, le famiglie si radunano attorno alle tavole colme di cibi e bevande. Ma soprattutto di fronte alle televisioni. Per seguire le musalsalat (musalsal al singolare), le soap opera consumate, un episodio al giorno per tutto il mese, da milioni di islamici. Dallo schermo, questa sera, arriva la voce straziata di Mona: "Ha solo 33 anni e non ha fatto niente di male!". La scena si svolge nella Londra di due anni fa, precisamente nel giorno degli attentati alla metropolitana che sconvolsero l'Occidente. Un dramma che, a quanto sembra, ha scosso profondamente anche il mondo arabo. La donna disperata del video è una musulmana. Piange il figlio, vittima delle esplosioni. "Come si possono uccidere degli uomini in nome dell'Islam?", grida. "Chi uccide degli innocenti non è un vero musulmano". La storia di Mona e della sua famiglia è stata trasmessa dalla tv libanese Lbc con il titolo - fin troppo didascalico - di Al Mariqoun ("Gli ipocriti, i finti fedeli"). A puntare sul suo successo è stato Najdat Anzour, regista e produttore siriano che non ha avuto dubbi sull'opportunità di usare la televisione per diffondere posizioni di netta condanna al fondamentalismo e al terrorismo.

Dal made in Egypt a Damasco
Se sorprende il messaggio - per il pubblico al quale si rivolge - sorprenderà ancor di più il Paese in cui queste serie vengono prodotte e girate: la Siria, uno degli "Stati canaglia" della lista nera di George W. Bush. Quest'anno, per la prima volta, Damasco ha quasi scalzato il primato dell'Egitto, fino a oggi leader nelle produzioni di soap indirizzate al pubblico islamico.

Le musalsalat sono state lanciate sul mercato dal presidente egiziano Nasser - scomparso nel 1970 - che le aveva investite di una missione politico-educativa infarcendole di riferimenti storici e di attualità. Per questo, le miniserie sono state per anni monopolio indiscusso del made in Egypt, marchio con cui hanno fatto il giro delle tv. Eppure, durante questo Ramadan, la Siria ne ha vendute alle altre reti arabe ben 45, contro le 50 egiziane. La rimonta siriana è stata possibile grazie a costi di realizzazione più ragionevoli per una qualità più pregiata e, soprattutto, alle tematiche di sicuro impatto. Come quelle trattate da Al Mariqoun, diventata il "caso" di questo Ramadan 2006. Composta da dieci trilogie di tre episodi ciascuna, scritta da sceneggiatori di tutti i Paesi arabi, la soap opera tratta i più spinosi argomenti riportati dai telegiornali: il rapimento degli occidentali in Iraq, le torture americane a Guantanamo, il fascino esercitato dal radicalismo sui giovani arabi. In una puntata (scritta da un palestinese) un combattente della resistenza in Iraq si rifiuta di far esplodere i civili in una moschea e decide di denunciare i mandanti dell'attentato; in un'altra, una giovane madre rimasta vedova si rifiuta di immolare la figlioletta di cinque anni, anche di fronte alla promessa che "andrà in paradiso, come suo padre". "Volevo parlare dell'impatto del terrorismo sulla realtà araba e sul mondo intero", dice Anzour, celebre in Siria - oltre che per essere figlio di Ismail, regista del primo film muto siriano - per le sue musalsalat storiche e per una lunga carriera di produttore alla tv di Stato. "Il terrorismo è un'industria americana al cento per cento", dichiara alludendo all'effetto boomerang che le operazioni Usa in Iraq hanno prodotto sulla reputazione americana nei Paesi arabi. "La serie apre un dibattito su questi problemi: è nell'interesse delle nostre popolazioni", dice.

Anzour non è nuovo alle polemiche per i temi provocatori che tratta. Anche se, lo scorso anno, a causa della serie del Ramadan Al Hour Al Ayn ("Le fanciulle del paradiso") più che suscitare discussioni ha attirato su di sé e sul suo cast minacce di morte. Sotto accusa, oltre all'argomento - l'attentato terroristico del 2003 contro un complesso residenziale in Arabia Saudita, 17 morti e oltre cento feriti, tutti arabi - è finito il titolo stesso della serie. Ispirato a un versetto del Corano, secondo lo sceneggiatore Abdullah Al Otaybi (ex sostenitore di Al Qaeda) è stato attinto direttamente dalla registrazione di una frase pronunciata da un terrorista. Prima di farsi esplodere, il kamikaze avrebbe urlato: "Manca un secondo alle belle fanciulle". Ce n'era abbastanza per far saltare sulla sedia mezza Arabia Saudita, mentre la tv che trasmetteva la soap - Mbc, sede a Dubai ma capitali sauditi - si affrettava a precisare che la serie non intendeva mettere in ridicolo la religione ma semplicemente sottolineare il pericolo di chi se ne serve per giustificare il terrorismo.

Il Paradiso islamico
Così Al Hour Al Ayn è andata avanti, nonostante le minacce. Mostrando la vita quotidiana di famiglie libanesi, egiziane, siriane e giordane emigrate in Arabia Saudita per cercare fortuna e rimaste coinvolte nello spietato attentato terroristico a opera di altri musulmani. Alla fine, un kamikaze in viaggio verso un nuovo obiettivo civile si interroga sul suo gesto e, clamorosamente, rinuncia. La storia è affrontata anche attraverso lo sguardo delle vittime. Per esempio quello di un artista libanese rimasto vedovo della moglie incinta, uccisa durante l'attentato. L'uomo dipinge un quadro che ritrae il figlio mai nato, il cordone ombelicale composto da lettere arabe fino a formare la frase: "No al terrorismo". "La serie era diretta proprio a coloro che ancora non hanno maturato un'opinione sul terrorismo. Vogliamo dire loro che l'Islam è una religione di tolleranza, di pace e di dialogo, e assolutamente non di violenza", spiega il regista. L'Arabia Saudita ha prodotto l'operazione (con un investimento di due milioni di dollari), ha distribuito la soap opera sulle frequenze di Mbc. E si è spinta anche oltre. Compare anche come "ghost writer": la polizia del Paese ha supportato gli sceneggiatori fornendo informazioni, dossier, immagini e registrazioni degli attentati del 2003. E rimarca un aspetto da noi scontato, ma forse per gli arabi meno chiaro: quindici dei diciannove attentatori dell'11 settembre erano sauditi e, da allora, la casa reale sta facendo di tutto per provare al mondo la ferma condanna al terrorismo e la volontà di collaborare per estirparlo. Il terrorismo al cinema D'altronde, il tema degli attentati non è nuovo alla televisione e al cinema arabi.

Già negli anni Novanta l'Egitto lo affrontava con le superstar Yousra e Adel Imam, impegnate nella commedia Al Irhab wal kebab (terrorismo e kebab), mentre lo sceneggiatore Wahid Hamed produceva la prima musalsal sulla violenza dei Fratelli Musulmani, Al Ailah (la famiglia). Era proprio il governo egiziano alle prese con la violenza interna a sostenere e diffondere questi prodotti, così come oggi è l'Arabia Saudita ad aver sdoganato, nonostante le polemiche, una soap del Ramadan che sbandiera l'argomento in prima serata in tutto il mondo arabo. Adesso, di terrorismo si può e si deve parlare. Come si può trattare il tema della polizia religiosa, della segregazione delle donne e del divieto a farle guidare. Magari scherzandoci sopra. Così vuole il nuovo corso della casa regnante saudita, percepibile anche in un altro programma tv del Ramadan appena andato in onda - sempre su Mbc - Tash ma tash (Sarà quel che sarà), commedia che mette impietosamente alla berlina i militanti dell'islamismo radicale.

Gli schermi televisivi del Ramadan si sono trasformati nello specchio dell'agenda politica dei Paesi arabi, riflettendo quello di cui gli Stati vogliono che si parli. La corruzione interna, insieme all'indifferenza dei governi alle richieste di apertura e maggiore libertà manifestate dalla popolazione, per ora sono ancora lontane dalla programmazione. Ma il filone dei rapporti fra mondo arabo e Occidente continuerà ad alimentare le portate televisive di fine digiuno del Ramadan. Già si annuncia la futura hit del Ramadan 2007: una fiction sulle reazioni del mondo musulmano alle vignette satiriche danesi del gennaio scorso. C'è da scommettere che, anche quella, aprirà un nuovo, fruttuoso dibattito.

http://www.dweb.repubblica.it/dettaglio/1884425/Reality%2Bsoap

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