domenica 23 maggio 2010

Amartya Sen: «Anche la cultura aiuta il benessere»

L'economista indiano sarà tra gli ospiti del Festival Letterature 2010

Cristina Petrucci
La crisi avanza. Sono ormai diversi anni che dai governanti ai governati sembra solo questa la frase che circola. La Grecia brucia, l'Europa trema, gli Stati Uniti d'America vacillano. Il sistema di libero scambio non sembra funzionare più tanto bene come per anni ci hanno voluto far credere. Al prossimo Festival Internazionale delle Letterature che si svolgerà a Roma dal 20 maggio al 22 giugno, parteciperà un noto economista nonché premio nobel nel 1998, l'indiano Amartya Sen.
Nato nel 1933 a Santiniketan, nel Bengala, Sen è stato docente presso l'università di Calcutta, il Trinity College di Cambridge, a Nuova Deli, alla London School of Economics, a Oxford e, infine, all'università di Harvard. Un curriculum d'eccezione. Autore di numerosissime opere, l'ultima della quali La povertà genera violenza? (Il Sole 24 Ore Libri).
Nel 2007 il World Institute for Development Economics Research delle Nazioni Unite ha pubblicato lo studio più vasto che sia stato mai fatto sulla ricchezza personale. I dati sono sconvolgenti. Il 2% della popolazione adulta del mondo possiede oltre la metà di tutta la ricchezza mondiale, nel 2000 la metà, l'1% degli adulti più ricchi, possedeva da solo il 40% della ricchezza mondiale. Le 200 persone più ricche della Terra dispongono di più risorse dei 2 miliardi di persone più povere. Nel mondo 800 milioni di persone patiscono la fame, mentre altri 800 milioni hanno, all'opposto, problemi per l'eccesso di cibo che consumano. In una grande azienda dell'Occidente lo stipendio dell'amministratore delegato spesso supera quello di 150 suoi operai generici. Di più. Il primo tende a salire, mentre i salari operai tendono a calare. Mai, nella storia di questo pianeta, la ricchezza viene redistribuita in maniera così ineguale tra le nazioni e all'interno delle nazioni stesse. «Non c'è dubbio: le diseguaglianze, sostiene l'economista francese Daniel Cohen, sono il fenomeno sociale che caratterizza gli anni della transizione dal XX al XXI secolo, gli anni della globalizzazione. Ma il problema della distribuzione della ricchezza non è solo un fenomeno ("il fenomeno") sociale. Sta diventando, finalmente, un problema ("il problema") politico.
Le disuguaglianze, sostiene Amartya Sen, sono ormai il tema centrale del dibattito sulla globalizzazione e la fonte principale dei dubbi su quell'ordine economico planetario che produce, nel medesimo tempo: «una miseria degradante e una prosperità senza precedenti». (Pietro Greco - Noi globali, diseguali e meno liberi ). La teoria interessante e rivoluzionaria dell'economista è che la crescita economica è direttamente proporzionale alla libertà che una nazione diffonde tra i propri cittadini. Neanche un anno fa a Ballarò Amartya Sen aveva ribadito questi principi per uscire dalla crisi: «L'economia di mercato è una fonte enorme di crescita economica ma da sola non basta, servono le istituzioni, la sanità, le pensioni, i sussidi, le regolamentazioni e le transazioni finanziarie». Per l'economista è evidente che quando questi valori di benessere sociale vengono a mancare anche l'economia subisce quella che oggi va tanto di moda chiamare, crisi. «La dimostrazione ci viene proprio dagli Stati Uniti dove la crisi si è sentita maggiormente proprio per la mancanza di welfare».
Riportato al nostro paese, i vari ministri dell'economia avrebbero dovuto quindi lodare le lotte operaie dei decenni passati per la prosperità economica di cui hanno goduto le generazioni successive così come si dovrebbero sdegnare per i continui attacchi all'art. 18 che fino all'altro ieri sembrava l'unico ostacolo allo sviluppo e all'efficienza. Ma non solo. Per Amartya Sen la misura della sviluppo economico di un paese non si calcola solo con il reddito ma anche con la qualità della vita, misurazioni su cui l'economista ha lavorato per metà della sua esistenza, tanto da dare il suo nome a questo fattore. Ed anche qui la popolazione sembra molto più lungimirante dei suoi governanti, tanto da autorganizzarsi. Infatti in tutte le più grandi città italiane sempre più persone preferiscono comprare tramite i Gap (i gruppi di acquisto solidali) o ai mercati, tipo "Terra Terra" cioè direttamente dal produttore. Si è disposti a spendere un po' di più perché si è capito che il benessere, anche economico, passa anche per la qualità.
Non solo. C'è anche chi la terra se l'è voluta riprendere come gli abitanti e le abitanti di Campanara. Stiamo parlando di un antico insediamento rurale nella Valle del Senio dove a partire dagli anni '80 diverse persone di varie parti d'Italia si sono ritrovate per uscire dall'alienazione delle città e provare a recuperare vallate isolate e villaggi abbandonati situati su terreni demaniali. Nasce così l'associazione NascereLiberi, una comunità rurale basata sull'interresse collettivo, il mutuo appoggio e una spiccata sensibilità etica ed ecologica. La controparte anche qui sono le istituzioni, in questo caso la Regione Toscana, troppo interessata a speculazioni e a vendite redditizie a tedeschi facoltosi.
L'ultima parola dell'economista indiano che sarà a Roma nei prossimi giorni, riguarda però la cultura, senza la quale non sarebbe possibile nessuna ripresa economica: «Calcutta è considerata una delle città più povere al mondo eppure ha anche il tasso più basso di criminalità ed omicidi. Evidentemente l'alta cultura diffusa, la tolleranza, la multiculturalità influisce su come le persone si guardano le une con le altre ed influisce sulla diminuzione della criminalità, soprattutto gli omicidi. Ormai viviamo in un mondo che è totalmente interdipendente e tutti questi fattori sono intrinsecamente correlati alla nostra crescita».

Liberazione 16/05/2010, pag 14

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