domenica 23 maggio 2010

La crisi finanziaria globale secondo Charles Ferguson

Fuoriconcorso. "Inside Job" sul crack islandese del 2008

Probabile che questo sia il festival della crisi economica. Non per i proprietari di yacht e limousine che albergano sempre e comunque sui viali di Cannes, ma perché il tema lampante, evidente, prorompente della grande fregatura finanziaria mondiale 2008, di cui per anni porteremo le conseguenze, sembra aver fatto breccia in fiction e documentari sulla Croisette. Appena passato il ciclone Oliver Stone, con i suoi squali della finanza americana, fa capolino Inside job , documentario a firma di Charles Ferguson, nella vetrina del Fuori Concorso. Cinquantaquattro anni, laurea in scienze politiche, Ferguson è uno dei tanti americani curiosi, emancipati, liberal hi-tech, che un bel giorno pensa che il cinema documentario possa contribuire alla causa del sapere e dell'informazione. Nel 2007 gira No end in sight: the american occupation of Iraq , un milione e mezzo di dollari in sala e una fama di cortese rompiscatole delle alte sfere politico-militari statunitensi. Ferguson, per essere chiari, non ha l'irriverenza nazional-popolare di Michael Moore, ma è un signore serioso e compito che ha compreso i meccanismi dell'inchiesta trasposta su grande schermo: poche informazioni, ben dettagliate, magari espressivamente coinvolgenti. Inside job inizia così lontano da Wall Street, tra immagini di gente che batte le pentole in strada e sportelli bancomat che improvvisamente non emettono più banconote. Ma non siamo tra le strade greche di questi giorni e nemmeno tra le plazas argentine di qualche anno fa, bensì sul bel suolo d'Islanda. Crack finanziario 2008, tragedia nazionale ben più dell'eruzione del vulcano Eyjafjallajokull. Premessa europea per capire il disastro americano. La bolla speculativa del mercato immobiliare e dei nefasti "derivati" viene spiegata con estrema puntualità e ad ampio raggio testimoniale. La deregulation del mercato finanziario americano e globale non ha più freni da almeno un decennio. E non è colpa dello spirito santo se i depositi di denaro liquido, spesso guadagnato in un sistema produttivo di beni tangibili dalle grandi masse operaie e impiegatizie, sono diventati materia di investimenti a rischio. Parliamo di creazione di denaro che non c'è, economia del debito, imponenti somme di denaro nate dal nulla, prelevate dopo pochi anni, addirittura pochi mesi, da una stretta partita di giro di ingegneri finanziari. Scorrono così interviste a cassandre, scaricabarili, prezzolati professori universitari che fanno i saccenti anche se qualche anno addietro avevano perfino scientificamente approvato la solidità del sistema economico islandese. Ferguson prova a sollevare la questione morale, con lucidità e senza prepotenza, attivando il circuito della logica, ma davanti a sé trova solo una sequenza di omertosi no comment o di fieri sorrisetti criminali. Inside job produce così due effetti: da un lato la crisi finanziaria che ha invaso l'economia mondiale sembra non avere una fine vicina; dall'altro ogni giorno che passa vien sempre più voglia di mettere i propri risparmi sotto al materasso.

Liberazione 16/05/2010, pag 12

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