sabato 29 maggio 2010

La politica abbandona le comunità. Ecco perché la società si tribalizza

Tonino Bucci
Quando in uno dei suoi libri più famosi scrisse che l'etnia è un oggetto culturale inventato di sana pianta e senza nessuna corrispondenza con la realtà, Jean-Loup Amselle fu accusato di voler tagliare le gambe all'antropologia. Sono ormai passati venticinque anni dalla pubblicazione di Au coeur de l'ethnie - scritto a quattro mani assieme a Elikia M'Bokolo. Più d'uno tra i colleghi di disciplina di Amselle vide in quel libro lo smantellamento della ragion d'essere dell'antropologia. Molti si chiesero che cosa avrebbero dovuto fare gli antropologi se l'oggetto della loro disciplina era un oggetto immaginario?
In effetti, la critica che Amselle - in quello come nei libri successivi - rivolgeva all'antropologia non poteva essere più radicale. Si trattava di smascherare un sapere nato nell'Ottocento con l'ambizione d'essere una scienza neutrale, ma in realtà fondato sulla classificazione dell'umanità in razze. La «ragione etnologica» - scriveva Amselle - è stata «uno dei fondamenti della dominazione europea sul resto del pianeta». Eppure, questo non significa che oggi l'antropologia sia diventata una disciplina marginale. Anzi, più e meglio d'altre discipline l'antropologia è in grado oggi di rendere conto dei mutamenti della politica. Tra questi, il più significativo la trasformazione della politica in biopolitica , l'esasperazione - per essere più precisi, data l'inflazione del termine - con la quale sulla scena pubblica s'incontrano i temi legati alla vita individuale, come la sicurezza e l'incolumità personale ad esempio, sui quali non a caso insistono le politiche delle destre europee. Nell'ultimo quarto di secolo - sostiene Amselle - lo Stato si è ritratto dalla società, ha abbandonato i territori e le comunità a se stesse, ha smantellato il welfare e i sistemi di protezione sociale. Il che rientra tra gli effetti dell'ideologia neoliberista, fondata sulla convinzione che il mercato debba funzionare senza lacci e lacciuoli imposti dallo Stato. Ma di cosa dovrebbe occuparsi la politica dopo aver rinunciato a ogni forma d'intervento pubblico in economia? Quale dovrebbe essere la sua vocazione dopo aver abdicato alla funzione di proteggere gli individui dalla precarietà cui li espone il libero mercato? L'unico spazio di manovra a disposizione della politica è appunto quello dell'ordine pubblico, della sicurezza, dell'incolumità, della difesa dell'individuo da un mondo avvertito come minaccioso e da una globalizzazione percepita soprattutto come immigrazione. In breve, finito il keynesismo e sconfitto il movimento operaio, la politica si è etnicizzata. La società si tribalizzata, frantumata in mille comunità identitarie. E i conflitti non sono più vissuti come conflitti sociali (operai contro padroni) ma come conflitti etnici (padani contro musulmani). Di questo abbiamo parlato con Jean-Loup Amselle che domenica sarà a Pistoia per la prima edizione dei "Dialoghi sull'uomo", dove terrà una conferenza su "Meticciato, multiculturalismo, connessioni".

Una tesi diffusa è che la globalizzazione porterà a un mondo uniforme e senza differenze. Invece, stiamo vedendo il ritorno dei tribalismo. Come mai?
La globalizzazione ha fatto sparire la questione sociale, cioè la lotta di classe, e la questione territoriale. Le ha sostituite con le guerre identitarie. Inoltre, con la fine dello stato sociale il sistema pubblico lascia l'assistenza di coloro che vivono in situazioni marginali, come nelle banlieues parigine, in mano a organizzazioni di quartiere. E questo non fa altro che rafforzare il sentimento di identità etnica o religiosa.

L'etnia è un'invenzione culturale. Per via di questa tesi dei gruppi etnici l'antropologia si è resa corresponsabile in passato del razzismo e del dominio coloniale. Cosa c'è che non va, allora, nell'idea opposta del meticciato?
Anche il meticciato implica che esistano diverse razze, diverse identità etniche. Cambia soltanto il giudizio sull'intrecciarsi tra loro delle culture, che in questo caso è positivo. Non c'è nulla da mescolare perché siamo già tutti mescolati. Tutte le società sono meticce. Capisco che il multiculturalismo della sinistra sia mosso dall'obiettivo di proteggere minoranze deboli. Però rischia di consolidare come definitive, differenze che sono soltanto sociali.

Lei ha messo il dito sul dominio della biopolitica. La destra riduce i rapporti sociali a rapporti etnici. La sinistra, invece,continua a proporre politiche sociali di redistribuzione del reddito. Però perde. Come mai?
La disfatta dei partiti socialisti e socialdemocratici in Europa è un mistero. In teoria la sinistra dovrebbe vincere vista la disfatta del libero mercato e dell'ideologia neoliberista. Il crollo del sistema finanziario ha reso evidente il tramonto di un'ideologia che ha dominato per un un quarto di secolo. Il programma tradizionale delle forze socialiste, basato su un'economia keynesiana e sulla regolazione sociale del mercato, dovrebbe risultare vittorioso. Così non è. In parte è vero che i leader della destra europea, dalla cancelliera tedesca al presidente francese, si sono appropriati di alcune delle ricette socialiste tradizionali, togliendo perciò spazio di manovra ai loro antagonisti politici.

Il fondamentalismo del mercato ha portato a risultati disastrosi. Come mai la sinistra che insiste sulla necessità dell'intervento pubblico in economia non raccoglie consensi?
Ci sono studi che dimostrano come le disuguaglianze sociali ed economiche compromettano il benessere non solo degli strati meno abbienti, ma di tutta la società. Più una società è ineguale, più i problemi aumentano. Per esempio, anche i bambini delle famiglie istruite ricevono un'educazione migliore nei paesi più egualitari piuttosto che in quelli con forti divari interni. Persino il rischio di malattia mentale è cinque volte più elevato nei paesi Ocse con più disuguaglianze.Stesso discorso per l'aspettativa di vita che è più lunga per tutte le classi sociali nelle società più ugualitarie. La tesi neoliberista è che l'aumento della disuguaglianza si traduce automaticamente in una maggiore crescita economica. Si è rivelata completamente sbagliata. I paesi scandinavi hanno un sistema di protezione sociale esteso eppure le loro economie crescono.

Bene, ma allora la sinistra dovrebbe essere plebiscitaria. Come mai non è così?
Io credo che la sinistra abbia abbandonato per strada il suo più antico e migliore alleato, cioè il progetto di una politica fondata sulle idee dell'illuminismo e sul concetto di «uomo universale». Al loro posto è subentrato un pensiero postmoderno, incapace di fare i conti con l'esperienza e di immaginare una politica che sia fondata simultaneamente sull'ideologia (il bene, il dover essere, l'obiettivo finale) e lo studio empirico della realtà (ciò che è possibile sul piano pratico). La sinistra ha in gran parte abbandonato l'idea di una politica fondata sui diritti dell'uomo universale per lasciarsi prendere da quella che si chiama una politica identitaria. Invece di portare avanti una politica per tutti, la sinistra è diventata un agglomerato di forze che mette avanti a tutto gli interessi di gruppi diversi che si considerano oppressi a causa della loro identità, che si tratti di razza, religione, orientamento sessuale ecc. La politica identitaria è per definizione minoritaria. Anzi questa politica produce una maggioranza contro se stessa poiché si appoggia su un'ideologia che mette in prima linea la mobilitazione politica contro la maggioranza. In altre parole, è tremendamente difficile costruire una maggioranza politica sommando politiche identitarie, poiché i diversi gruppi hanno poche cose in comune. Ad esempio, cosa hanno da condividere gli omosessuali con la maggior parte degli immigrati del medioriente? Le ingiustizie vissute dalle diverse comunità sono specifiche a ciascun gruppo e non possono essere generalizzate agli altri. I programmi sociali di stampo universale sono stati rimpiazzati da programmi indirizzati a gruppi identitari specifici. Così la politica della sinistra anziché aggregare, è diventata antimaggioritaria.

Liberazione 27/05/2010, pag 9

Nessun commento: