domenica 23 maggio 2010

Pioggia, caldo, code all'Expo di Shanghai

Roberto Onorati
Shanghai
Fermi tutti: ieri era il giorno nazionale di Malta, celebrato accanto al padiglione di San Marino. L'Expo di Shanghai è anche questo: celebrazioni di stati che costituiscono delle piccole scoperte per i cinesi, intenti a farsi fotografare vicino a qualsiasi laowai, straniero, che apra o chiuda una porta di un padiglione.
Quattordici giorni e già si può fare un primo bilancio: sono 2 milioni e 300 mila circa le persone che si sono recate all'expo dall'apertura, il primo maggio 2010. Una cifra al di sotto della media giornaliera prevista, circa 200 mila, che dovrebbe fare scattare il mitico record di 80 milioni di visitatori in sei mesi. Già perché l'Expo dura un mezzo anno, i padiglioni sono alla rincorsa di eventi continui, giorni nazionali, canti, balli, concerti, mostre, perché ogni giorno c'è da stupire il pubblico. I cinesi che affrontano le due tipologie di clima possibili a Shanghai in questi giorni, pioggia battente o caldo fetente, sembrano soprattutto attratti da alcuni padiglioni più che altri: Gran Bretagna, Spagna, Francia, Italia, Giappone, Thailandia e naturalmente Cina. Per visitare il padiglione del paese ospitante c'è da rassegnarsi: bisogna avere prenotato con mesi di anticipo. E allora via: su tutto vince il passaporto virtuale. Al termina di ogni visita scatta un finto visto e la competizione cinese si gioca tutto su quello: quanti visti hai tu?
Better city better life, lo slogan, che forse andrebbe tramutato in momenti di gloria: sarebbe più opportuno, visti i chilometri che bisogna macinare nell'immenso spazio dell'expo di Shanghai, circa 5 chilometri di spianate tra un padiglione e l'altro, una Gardaland per adulti: un allenamento da atleti, passi lunghi e ben distesi. Ogni decisione circa uno spostamento comporta più o meno 40 minuti di passeggiata: cambiare area geografica (l'expo è divisa per continenti), cercare un bagno, un ristorante, o semplicemente, l'uscita. Con la variante climatica: la pioggia costante a rendere l'expo un fantasmagorico deserto per pochi intimi o il sole schiacciante a illuminare le masse di asfalto su cui poggiano i padiglioni nel loro splendore colorato e nella corsa alle forme più stravaganti. Ci si è sbizzarriti non da poco: la Spagna si è divertita con il vimini (per altro l'architetta è italiana), la Finlandia (il padiglione che è costato meno: 5 milioni di euro) se non altro usa plastica riciclata, l'Italia la resina trasparente. Forme, strutture e vediamo quando in agosto arriverà un monsone. I più scettici dicono che in quel tempo, correranno parecchi chilometri lontano dall'expo, perché alcune strutture appaiono poco credibili.
E poi: green Shanghai, green world, altro slogan piuttosto abusato nella città, la Parigi d'Oriente, tirata a lucido (4 nuove linee metropolitane in pochi anni), splendida splendente: ditelo a quelli che ogni giorni si smazzano circa 19 tonnellate di spazzatura. Sono ovunque, che piova o meno. E dire che nel padiglione italiano c'è il robot spazzino, quello che fa da solo la differenziata. Gli accendini non entrano, ma si fuma dappertutto, siamo in Cina. Altro inconveniente: il cibo. I punti di ristoro non sono pochi, ma nelle ore di punta diventa proibitivo entrarci. Una volta dentro, i prezzi sono da aeroporto di Dubai riservato agli emiri vip, mentre frenetiche incombono le attività delle piazze tematiche, con gli stradoni solcati da autobus (verdi) mezzi vuoti a mettere un poco di tristezza per un evento già al di sotto delle aspettative, in termini numerici e forse anche attrattivi.
Prime due settimane andate con la pioggia a intristire programmi ed eventi, spostare concerti (e cocktail, altamente considerati dagli entourage di tutti i padiglioni, momenti sociali, culturali e di straordinaria frenesia ciarliera). Riunioni, conferenze e code. Fanno un po' specie alcuni padiglioni: la Thailandia, alla faccia dei disordini sociali che arrivano da Bangkok, è ambitissima e molto spettacolare. Soffermarsi davanti al padiglione della Grecia (già soprannominata riot square) crea una strana sensazione su quale dei mondi sia in mostra all'expo, mentre alcuni padiglioni africani sono avvolti dal mistero del loro interno spoglio, specie se paragonato all'esterno sontuoso.
Ci dovrebbero essere anche gli affari, avvolti dal clima ovattato di stanze chiuse, intermediari cinesi e numeri astrali. Nel padiglione finlandese, forse l'unico costruito con logiche sostenibili (il progettista confidava durante il tour: perché usate la parola sostenibile, per noi è naturale) ha anche una sauna per i business men che volessero trattare in una situazione di estremo relax. In realtà chi i soldi li ha già fatti è la Cina, che ha voluto fortemente l'expo (per altro, attenzione, tira aria di svalutazione dello yuan e chissà che la expo non attutisca i malumori prevedibili degli esportatori cinesi). I soldi investiti nei padiglioni - leggi prestiti - e gli affitti dell'expo village (1500 dollari al mese a persona) dove dorme il carrozzone mondiale che poi sorride e dispensa depliant, costituiscono già una vittoria economica, per non parlare degli ottimi affari che i compratori cinesi fanno, sfruttando il momentaccio dell'euro.
L'expo, infine, è la classica gemma conficcata in una città in cui il ritmo frenetico non sembra particolarmente scosso dall'evento. Se non fosse per il bagarinaggio all'esterno: per comprare biglietti già usati. La danwei incombe per premiare i lavoratori modello che acquistano e dimostrano di essere stati all'evento dell'anno, del secolo, del millennio. Basta il biglietto, mica l'intenzione. E tra sei mesi: tutto giù per terra. Che i cinesi devono fare affari, vendendo le case che soppianteranno il baraccone del mondo. Non ci sarà, al solito, tempo da perdere.

Liberazione 15/05/2010, pag 1 e 7

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