domenica 13 dicembre 2009

Le guerre nascoste dello Yemen

UNO STATO CHE RISCHIA DI IMPLODERE


Lo Yemen funge ormai da retroterra ai combattenti di al Qaeda provenienti dall'Arabia saudita. Nel sud, unificato al nord nel 1990, cresce un'opposizione secessionista. Inoltre, nella regione di Saada s'intensifica una lotta insurrezionalista: secondo le autorità, è sostenuta dall'Iran, mentre i ribelli denunciano le ingerenze dell'Arabia saudita. Una guerra non dichiarata, che si è aggravata nelle ultime settimane, e rischia di trasformare il paese in uno stato fallito.


di PIERRE?BERNIN?*

Nascosta allo sguardo, la regione di Saada, nel nord-est dello Yemen, non lontano dalla frontiera con l'Arabia saudita, è teatro di un violento conflitto dal giugno 2004 (1). Un conflitto che oppone il governo a un gruppo di ribelli, gli «houthisti», guidati dall'ex ministro Hussein Al-Houthi, e poi, dopo la sua morte, nel settembre 2004, dal fratello più giovane Abdoulmalik Al-Houthi. Malgrado l'annuncio di un cessate il fuoco nel luglio 2008, i combattimenti sono ripresi alla metà di agosto 2009. L'avvitarsi del conflitto, la sua brutalità, le decine di migliaia di vittime e di sfollati, e il rischio di reazioni a catena, in una zona che è anche territorio delle principali tribù del paese, sono ancora pressoché ignorati.
La ribellione houtista si richiama all'identità religiosa zaidita, una branca dell'islam sciita presente sugli altipiani yemeniti, ma che, sul piano teologico, si distingue nettamente dallo sciismo duodecimano, dominante in Iran (2). Gli zaiditi, circa un terzo della popolazione, descritti a ragion veduta come «moderati» sul piano della giurisprudenza e del dogma, s'inscrivono nella storia particolare dello Yemen e condividono molte interpretazioni religiose con i sunniti di rito chafeita (3), che costituiscono la maggioranza degli yemeniti del paese.
Il governo accusa la ribellione di volere il ritorno dell'imamato zaidita che ha regnato sul paese fino al 1962, anno della rivoluzione repubblicana. Quella rivoluzione è stata il preludio a una lunga guerra civile, che ha visto l'Arabia saudita alleata con i lealisti, mentre l'Egitto di Gamal Abdel Nasser ha inviato le sue truppe a combattere a fianco dei repubblicani. Gli imam erano dei sayyid, discendenti del profeta Maometto, categoria alla quale appartengono i fratelli Al-Houthi. Le autorità affermano che gli houtisti sono sostenuti dall'Iran e partecipano allo stesso titolo degli Hezbollah libanesi allo sviluppo di un «arco sciita » attraverso il Medioriente.
Mettere l'accento su questa ingerenza mira ad assicurarsi il sostegno del regime saudita, che teme la crescente capacità di influenza del suo rivale iraniano. Queste accuse vengono respinte dai leader houtisti, che proclamano la loro lealtà verso la Repubblica e assicurano di voler semplicemente preservare l'identità religiosa zaidita, minacciata da ciò che descrivono come il wahhabismo o il salafismo, versioni molto rigide dell'islam sunnita.
La regione di Saada, culla dello zaidismo, è stata d'altronde uno degli ultimi bastioni dei lealisti nel corso della guerra civile degli anni '60. Per questa ragione, è rimasta a lungo lontana dalle politiche di sviluppo promosse dai governi repubblicani successivi.
L'emergere della corrente houtista s'inscrive in un movimento di rinascita zaidita iniziato negli anni '80 all'interno di diversi istituti di formazione, di case editrici e luoghi di culto, intorno a Saada ma anche più specificamente a Sanaa, la capitale. Benché la maggior parte delle elite politiche, compreso il presidente Ali Abdallah Saleh, sia d'origine zaidita, questo movimento di rinnovamento resta assai minoritario. Così, mentre gli houthisti insistono sulle specificità della loro identità riguardo la legge islamica o la pratica religiosa, la maggioranza della popolazione (compresa quella di origine zaidita) partecipa, dal canto suo, al processo di integrazione delle identità religiose incoraggiato dal sistema educativo e dallo stato repubblicano. Per questo, l'opposizione sunnita-sciita ha perso influenza e determina solo marginalmente le traiettorie e le affiliazioni politiche.
Questa convergenza delle identità non impedisce tuttavia alla corrente salafita, alleata di comodo del potere, di attaccare sempre più apertamente gli zaiditi. Nel quadro del conflitto di Saada, le tensioni sono frequenti, e la guerra minaccia di trasformarsi in uno scontro interconfessionale.
A fine agosto 2009, alcuni media riportavano che i combattimenti tra houtisti e studenti dell'istituto salafita Dar Al-Hadith, fondato all'inizio degli anni '80 da Mouqbil Al-Wadii, avevano provocato molte vittime (4). Una notizia che gli houtisti negano sul loro sito internet. Nel marzo 2007, due studenti stranieri, tra cui un francese, avevano già trovato la morte nel corso di scontri simili.
Secondo il governo, è in atto uno scontro ideologico tra la Repubblica e un gruppo religioso estremista, mentre per gli houtisti si tratta della resistenza alla repressione di una minoranza religiosa. Ma, al di là delle accuse reciproche, al di là delle dichiarazioni del governo yemenita circa un importante programma di ricostruzione lanciato dopo la tregua del luglio 2008, e di quelle dei ribelli secondo i quali i combattimenti e le provocazioni non sono mai cessati, molteplici fattori hanno determinato il conflitto e il suo avvitamento.
Il persistere delle ostilità, che continuano dal 2004, nonostante il cessate il fuoco e le mediazioni - specialmente quella del Qatar nel 2007 - , è in parte dovuto all'emergere di interessi economici che si sovrappongono alle rivalità interne al potere. Il controllo del commercio illegale verso l'Arabia saudita e delle sponde del mar Rosso - che facilitano il traffico di carburante diesel e di armi verso il Corno d'Africa - costituiscono una posta in gioco di prim'ordine. Anche le armi destinate ai militari vengono dirottate da alcuni ufficiali; e mentre una parte viene esportata, un'altra è paradossalmente rivenduta ai ribelli attraverso intermediari particolarmente attivi nella zona.
La prospettiva della successione del presidente Saleh, al governo dal 1978, accende la competizione all'interno del regime, in particolare tra suo figlio, Ahmad Ali Saleh (che è anche a capo delle forze speciali e della guardia repubblicana), e diverse figure dell'esercito. La regione di Saada sarebbe così diventata teatro di una guerra per procura in cui i clan rivali cercano di accaparrarsi risorse economiche e di provare la loro capacità di controllo del territorio.
Nel maggio 2008, mentre la zona di combattimento si allargava e raggiungeva la regione di Bani Houchaych, a venticinque km circa a nord di Sanaa, l'impiego, per la prima volta dal 2004, delle forze speciali e il loro apparente successo è stato messo in relazione con le sconfitte dei battaglioni dell'esercito nel governatorato di Saada.
L'avvitamento è anche legato al ruolo crescente giocato dalle componenti tribali. Dall'impiego dei miliziani - dal lato del governo o degli houthisti -, al progetto governativo del giugno 2008 per formare un «esercito popolare» con il sostegno delle tribù intorno al governatorato di Saada, il conflitto è entrato in una spirale di violenza che favorisce meccanismi di vendetta e di vendette trasversali basati essenzialmente sulle solidarietà tribali. All'inizio del 2009, mentre il potere stanziava fondi per la ricostruzione, alcuni gruppi tribali che, qualche mese prima, erano comunque legati all'esercito, hanno rifiutato il compromesso con gli houthisti, e tentato di far pressione sul governo istituendo blocchi stradali e prendendo ostaggi. Questa «tribalizzazione» del conflitto, davvero notevole, invita a riconsiderare i discorsi che evocano un progetto politico degli houthisti o uno scontro sunnita-sciita orchestrato da alcune cerchie di potere. D'ora in poi, il conflitto di Saada si sovrapporrà all'antica rivalità tra le due principali confederazioni tribali degli altipiani del nord: mentre gli Hashed combattono a fianco delle forze governative, molte sono le tribù bakil che sostengono i ribelli (5). Anche se questa analisi non va intesa senza sfumature, spiega comunque la diffusione progressiva della zona di scontri al di là del governatorato di Saada, soprattutto nella regione di Harf Soufyan, più a sud, non lontano dalla roccaforte degli Al-Ousaymat, una delle principali tribù hashed. Un tale ingranaggio mette in rilievo il potenziale destabilizzante di questa guerra che, attraverso il meccanismo delle solidarietà tribali, rischia di estendersi ad altre regioni del nord dello Yemen, in particolare ai governatorati di Al-Jawf, Amran e di Hajja. Anche l'implicazione poco costruttiva degli attori regionali gioca un ruolo. Nel 2007-2008, una mediazione del Qatar e la firma di un accordo tra belligeranti, a Doha, non hanno avuto l'esito previsto. La ripresa dei combattimenti ha indotto il governo del Qatar a ritirarsi e ad annullare le sue promesse di partecipare finanziariamente alla ricostruzione e allo sviluppo della regione di Saada. Il ruolo del vicino saudita appare d'altronde per lo meno ambiguo, alcuni si spingono fino ad accusarlo di aver silurato la mediazione del Qatar per limitare l'impatto del piccolo emirato nella sua tradizionale zona di influenza in area yemenita. Mentre la monarchia degli Al-Saoud considera ufficialmente la guerra di Saada un affare interno, certi attori sauditi finanziano lo sforzo di guerra yemenita e al contempo le milizie tribali, alimentando in questo modo i combattimenti.
D'altra parte, gli Stati uniti e l'Unione europea hanno eccessivamente focalizzato l'intervento sulla lotta antiterrorista e non si sono impegnati molto nella ricerca di una soluzione pacifica, dando così indirettamente carta bianca al governo di Sanaa. Mentre veniva criticato dai suoi alleati, in primo luogo da Washington, per la sua mancanza d'impegno nella «guerra mondiale contro il terrorismo», il governo di Saleh ha avuto buon gioco nell'assimilare la ribellione a un gruppo terrorista, affermando anche, a volte, che avesse legami con al Qaeda, cosa che appare poco credibile data l'identità zaidita (sciita) degli houthisti e la loro critica alla dottrina salafita.
Destabilizzante, particolarmente brutale, la guerra di Saada ha per effetto di indebolire ancora di più il potere centrale nelle regioni del nord. L'economia di guerra così come l'instabilità cronica e la repressione contribuiscono a favorire lo sviluppo di gruppi violenti, alcuni dei quali sono vicini ad al Qaeda.
Benché non ancora totalmente chiarito, il rapimento, nel giugno 2009, degli operatori stranieri di una organizzazione non governativa (Ong) che lavoravano in un ospedale di Saada e l'esecuzione di tre di loro, illustrano questa meccanica perversa. Il governo ha inizialmente attribuito la responsabilità del crimine agli houthisti (6), ma sembra più verosimile che vi sia un coinvolgimento di gruppi sunniti violenti.
Dall'inizio del 2009, Nasir al-Wouhayshi, uno yemenita che è spesso presentato come l'ex segretario di Osama bin Laden, ha annunciato la creazione di al Qaeda nella penisola arabica, fusione delle branche saudita e yemenita. Dall'inizio del 2007, gli attacchi attribuiti ai gruppi affiliati ad al-Qaeda, soprattutto quelli contro l'ambasciata degli Stati uniti nel settembre 2008, si sono moltiplicati a Sanaa e nelle regioni meridionali dell'ex-Yemen del sud, mentre i governatorati del nord del paese in un primo tempo sembrava fossero stati risparmiati.
D'altra parte, l'unificazione del nord e del sud nel 1990 suscita dal 2007 una forte contestazione nei governatorati dell'ex-Yemen del sud le cui popolazioni si ritengono vittime di discriminazioni.
La contestazioner prende sempre più apertamente accenti secessionisti man mano che la repressione aumenta (7).
Per lungo tempo, il regime diretto da Saleh è riuscito a smentire molti pronostici mantenendo una relativa stabilità. Ma le molteplici crisi e i problemi di successione mettono in pericolo il suo equilibrio precario (8), e potrebbero portare a un cedimento dello stato con conseguenze incalcolabili per tutta la regione.


note:
* Ricercatore.

(1) International Crisis Group, Yemen: Defusing the Saada Time Bomb, Sanaa-Bruxelles, maggio 2009.

(2) Lo sciismo duodecimano, dogma dominante in Iran, si incontra ugualmente in Iraq e in Libano. A differenza dell'ortodossia sunnita, si caratterizza per l'importanza accordata ad Alì, genero del profeta Maometto, e ai suoi discendenti - dodici imam l'ultimo dei quali non è morto ma «nascosto», e il cui ritorno segnerà l'avvento di un regno di giustizia.Lo zaidismo si richiama alla tradizione sciita, ma riconosce solo una linea di sette imam; e, soprattutto, non condividendo i sogni millenaristi dei duodecimani, viene considerato più «moderato».

(3) Storicamente, l'ortodossia sunnita si suddivide in quattro scuole di giurisprudenza (madhab) o riti ripartiti nelle diverse regioni del mondo musulmano: il malekismo (presente essenzialmente nel Maghreb); il chafeismo (nel Medioriente, nello Yemen e nel Sud est asiatico); lo hanbalismo (nella penisola arabica); lo hanafismo (in Asia centrale e del sud).

(4) Al-Quds al-Arabi (quotidiano panarabo), Londra, 27 agosto 2009.

(5) Al-Sharea (settimanale yemenita indipendente), Sanaa, 2 giugno 2007.

(6) Questa accusa venne smentita dai ribelli, che organizzarono anche una manifestazione contro questo rapimento, l'indomani della scoperta del corpo dei tre operatori umanitari.

(7) Franck Mermier, «Yémen: le Sud sur la voie de la sécession?», EchoGéo, giugno 2008, http://echogeo.revues.org
(8) Si legga Laurent Bonnefoy, «Yemen, equilibrio instabile tra pressioni esterne e tensioni interne», Le Monde diplomatique/ilmanifesto, ottobre 2006.
(Traduzione di E. G.)

http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Ottobre-2009/pagina.php?cosa=0910lm09.01.html

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