domenica 13 dicembre 2009

L'India cambia e cerca nelle armi un nuovo prestigio

Dopo aver lanciato una gara da 12 miliardi di dollari tra i sei più importanti costruttori mondiali aeronautici per comprare 126 aerei da caccia, il 17 agosto 2009 l'India ha cominciato a fare dei test comparativi. Il 26 luglio New Delhi ha inaugurato il suo primo sottomarino nucleare. Forte della sua espansione economica, l'India ricorre all'opzione militare per affermarsi come centro di potere a livello internazionale.


di Olivier Zajec *

Quello che non era riuscito a ottenere con la sua grande popolazione e con il suo statuto semiufficiale di nazione nucleare dal 1981 (1), le è stato offerto dalla sua espansione economica: l'India è ormai diventata una potenza di livello mondiale. Il clamoroso naufragio del modello unilaterale americano ha senza dubbio contribuito a farla apparire per quello che realmente è: uno dei cinque o sei centri mondiali di potere e di influenza, insieme a Stati uniti, Cina, Russia, Europa, Giappone e - forse - Brasile.
Gigante mondiale in piena ascesa, l'India vuole consolidare questo stato di fatto; farla finita con l'eterna immagine di semplice «attore regionale» fedele alla «diplomazia morale» (2) ereditata dagli anni di Nehru (una posizione giudicata oggi con estrema severità), in modo da accedere pienamente alla «festa perpetua delle grandi potenze» secondo l'espressione fantasiosa - e lievemente ironica - dello scrittore Sunil Khilnani (3). Sono lontani i tempi in cui, nel 2001, il segretario alla difesa americano Donald Rumsfeld, ancora influenzato dalla guerra fredda e irritato dai forti legami nucleari fra Mosca e New Delhi, dichiarava: l'India è «una minaccia per gli altri popoli, compresi gli Stati uniti, l'Europa occidentale e alcuni paesi dell'Asia occidentale» (4). Oggi nessun ufficiale americano si arrischierebbe a fare affermazioni del genere.
Corteggiati da tutti i grandi - con esclusione della sola Cina - gli indiani dispongono del lusso relativo di poter scegliere i loro alleati. Con l'obiettivo di diventare membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle nazioni unite, aspettano impazienti di giudicare le intenzioni dell'amministrazione di Barack Obama, considerata a priori meno filo-indiana della precedente, in particolare per l'eterna disputa che contrappone New Delhi al Pakistan a proposito del Kashmir. Per Christophe Jaffrelot, il cambiamento culturale è profondo: «Da grande paladina di una diplomazia etica, l'India sta diventando il portavoce di un approccio realista nelle relazioni internazionali» (5). Harsh V. Pant, specialista dell'India e insegnante presso il King's College di Londra, preferisce sottolineare il ritorno nel paese della «fiducia nella propria statura internazionale» (6).
Per consolidare questa posizione, l'India punta su tre pilastri.
Prima di tutto impegnarsi per evitare che la crisi mondiale rovini i propri piani di sviluppo. In secondo luogo capitalizzare il formidabile successo diplomatico rappresentato dagli accordi sul nucleare civile negoziati nel 2005 con Washington (accordi tra George W. Bush e Manmohan Singh) e ratificati dal Congresso degli Stati uniti nel 2008. Accordi che rimettono in discussione le «sacre» regole del Trattato di non proliferazione (Tnp) e danno all'India (e alle sue 150 testate atomiche) la figura di potenza nucleare militare «responsabile» (7).
Il terzo pilastro, infine, si riduce a tre parole: Bharatiya Sashastra Senai - le forze armate. La potenza militare convenzionale, in un'Asia in pieno riarmo, rappresenta per il paese un obiettivo tanto importante quanto gli altri due. E questo è il settore che concentra il maggior numero di dibattiti e di interrogativi fra gli strateghi indiani.
Per quanto riguarda gli armamenti non convenzionali, New Delhi sembra aver raggiunto un punto di equilibrio. Anche se nel febbraio 2008 l'India ha proceduto al suo primo tiro di missili balistici strategici (K15) in immersione, diventando così una potenza atomica di prim'ordine dotata di una capacità di risposta, l'atteggiamento di dissuasione e di non impiego per primi dell'arma nucleare rimangono il dogma immutato delle forze strategiche indiane.
Di fronte agli eserciti occidentali e alle novità degli armamenti cinesi Il settore convenzionale è invece più aperto ai cambiamenti. Di fronte agli eserciti occidentali e a una Cina che modernizza le sue forze a passi da gigante - dalle comunicazioni tattiche ai sistemi spaziali - New Delhi cerca una sua strada per dimostrarsi credibile. Ancora dipendente dal modello operativo della guerra fredda e dalle forniture russe (hanno rappresentato fino all'80% delle importazioni di armi), l'India vuole accelerare la sua evoluzione. Del resto in meno di 15 anni la rivoluzione tecnologica dei sistemi di controllo e di comunicazione, le sfide della guerra non convenzionale, la progressiva «arsenalizzazione» dello spazio, lo sviluppo dei programmi di sicurezza interna (homeland security) e l'attenzione per la sicurezza delle linee di comunicazione marittime hanno trasformato profondamente i fattori della potenza.
Di conseguenza le élite civili e militari indiane cercano di teorizzare un «modello» di sicurezza adeguato. Diversificando i fornitori stranieri (8) e puntando su una trasformazione culturale progressiva, sperano di rivoluzionare uno strumento militare che alcuni ritengono non ancora uscito dalle tradizioni dell'Esercito delle Indie. I mezzi non mancano. Per l'anno fiscale 2009-2010 il bilancio militare ha conosciuto il più forte incremento di tutti i tempi (un aumento del 23,7%) per un totale di 29 miliardi di dollari (20 miliardi di euro) (9).
Con più di 1,3 milioni di uomini e di donne nei ranghi, l'India possiede la terza forza militare mondiale in termini di effettivi, dopo la Cina e gli Stati uniti. L'esercito ne raccoglie la maggior parte (si veda il box). Ma anche se il paese possiede delle unità di élite (le sue unità speciali sono molto famose), lo stato generale del suo equipaggiamento terrestre è relativamente preoccupante: invecchiamento dei materiali, obsolescenza dei veicoli, difficoltà nel mantenere i parchi macchine in condizioni operative figurano fra i principali problemi e alimentano il sentimento di frustrazione della «fanteria», meno favorita nei fondi destinati alla ricerca e sviluppo e negli acquisti rispetto ai colleghi dell'aeronautica e della marina.
L'Indian Navy rappresenta una delle flotte più importanti del mondo.
Rivendica il suo nuovo status di forza oceanica globale, e ne sono simbolo due portaerei in cantiere, una comprata dalla Russia e «rimodernata», l'altra interamente costruita da cantieri indiani. Il programma nazionale di sottomarini nucleari Advanced Technology Vessel (Atv), che ha assorbito buona parte dei fondi della marina, ha raggiunto nel luglio 2009 una tappa fondamentale con il varo ufficiale del sottomarino d'attacco Ins Arihant (primo di una serie di cinque unità, sarà però operativo solo a partire dal 2012).
L'Indian Air Force (Iaf) è probabilmente la componente di maggior prestigio e circondata di più attenzioni delle forze armate indiane.
Frutto di una creazione britannica del 1933, l'aviazione era stata prudentemente limitata dal colonizzatore a semplici missioni tattiche.
Dopo l'indipendenza la Iaf ha voluto assumere più importanza comprando degli F104 americani, ma la collaborazione Washington-Islamabad ha cambiato la situazione. Rimasta per molto tempo dipendente dall'industria degli armamenti russa, l'aviazione indiana ha adottato la stessa cultura difensiva dell'aeronautica sovietica, e i Mig 21 di difesa aerea della Iaf rappresentano questa eredità. Aspirando ormai a una dimensione più strategica «di attacco in profondità», l'aeronautica militare reclama sistemi paragonabili a quelli delle potenze occidentali.
La pressione è stata tale che le forze armate indiane sono oggi il solo cliente al quale la Russia accetta di vendere dei sistemi più moderni di quelli a disposizione del proprio esercito, arrivando fino allo sviluppo congiunto con New Delhi dei programmi di quinta generazione (10).
Ma anche questo non basta più. Israele - in particolare - la Francia e anche gli Stati uniti sono stati sollecitati, malgrado un tradizionale antiamericanismo ancora molto forte in India. A titolo di esempio, l'aeronautica militare ha lanciato 26 programmi di rinnovamento, fra cui il più emblematico è il Medium Multi Role Combat Aircraft (Mmrca: aereo da combattimento multiruolo di quarta generazione).
La richiesta indiana riguarda 126 unità, per quasi 12 miliardi di dollari (11). Su questo «contratto del secolo» si sono concentrati gli interessi degli europei Dassault, Saab ed Eads, del russo Mig e degli americani Boeing e Lockheed Martin, le cui offerte sono state di recente sostenute dalle visite in India di Hillary Clinton e di Robert Gates, due pesi massimi dell'amministrazione Obama.
Tuttavia il trauma di quello che il generale della Iaf V.K. Vema definisce «l'apartheid tecnologico» degli anni della guerra fredda spinge gli indiani a sviluppare un'industria aeronautica completamente autonoma. Non si vogliono sostituire troppo presto i legami con i russi con una dipendenza verso degli occidentali abituati ai ripensamenti.
Per il vincitore di questa gara d'appalto, chiunque esso sia, il programma Mmrca comporta quindi delle rigide condizioni di trasferimento di tecnologia: i primi 18 aerei saranno consegnati entro il 2012, ma i 108 aerei rimanenti saranno costruiti in India dalla Hindustan Aeronautical Limited (Hal). Inoltre la compagnia prescelta dovrà reinvestire nell'economia indiana la metà dell'ammontare del contratto: sei miliardi di dollari.
Nel settore aeronautico e navale questa ambizione in materia di mezzi e di riforme, lungi dallo jugaad, l'arte di arrangiarsi messa in evidenza in passato con orgoglio dai militari indiani, riflette l'attrazione di New Delhi per una capacità di intervento a lunga distanza. Già nel 1999 in Defending India (12), Jaswant Singh, all'epoca ministro degli esteri, si era fatto difensore di questa nuova opzione. Tuttavia questo riflesso di proiezione di potenza oceanica e aerea, accompagnato dal fascino per le nuove tecnologie, appare per l'India ancora un po' artificiale. Non solo a causa della cultura indiana (le kalapaani, le «acque nere» dell'oceano, sono state per molto tempo considerate malefiche), ma soprattutto per le immense sfide già presenti nel contesto geografico in cui vive il paese.
L'Asia del sud e del sud-est, fortemente nuclearizzata, concentra un buon numero di questioni regionali di importanza mondiale, da Taiwan al Kashmir passando per le isole Spratleys. Indipendentemente dalle sue ambizioni nell'«esportare la sicurezza» lontano (sul modello - o anti-modello - americano), l'India non può trascurare le sue dispute locali con il Pakistan e la Cina, una coppia di alleati che alimenta la sindrome di paese assediato di New Delhi. Così gli strateghi indiani, anche se danno meno importanza al Pakistan rispetto a Pechino - idea che deve tener conto dell'ossessione indiana sempre viva nei confronti del fratello nemico - seguono passo passo i progressi tecnologici e strategici cinesi, che li preoccupano molto di più e che tendono spesso a enfatizzare. «La realtà geopolitica asiatica rende difficile, se non impossibile, una "relazione fraterna" dei due paesi. Se nei prossimi anni l'India e la Cina continueranno a rafforzarsi, una concorrenza sul piano della sicurezza sarà inevitabile», osserva Pant (13).
La recente decisione indiana di escludere nel 2009 le forze armate cinesi dalla seconda edizione dell'Indian Ocean Naval Symposium (Ions) (14) conferma questa crescente diffidenza. Per New Delhi è inaccettabile che Pechino partecipi a questo forum che riunisce i capi di stato maggiore delle marine dei paesi presenti nell'oceano Indiano, creato nel 2008 sotto la sua guida. Le proteste cinesi sono state molto forti e i giornali ufficiali parlano ormai di «oceano degli indiani» e ricordano il rifiuto di New Delhi di accettare Pechino, nonostante gli inviti di altri membri minori (15), come osservatore dell'Associazione dell'Asia del sud-est per la cooperazione regionale (South Asian Association for Regional Cooperation, Saarc) (16).
L'ossessione indiana per la «collana di perle», una serie di basi navali cinesi che va dal Mar della Cina meridionale alle coste dell'Africa (Pechino guarda con interessa alle Seychelles) passando per l'oceano Indiano (si veda la carta), è al centro di questa insistenza di tenere Pechino lontano da un'area chiaramente rivendicata da New Delhi (17).
Tuttavia l'intensità dei flussi marittimi globalizzati in questo settore e la posizione più conciliante degli altri paesi che si affacciano su questo mare (a cominciare da Pakistan, Sri Lanka, Birmania e di recente anche Maldive) tendono a facilitare la presenza della marina dell'Esercito popolare di liberazione cinese in quello che non è più - e forse non è stato mai - «l'oceano degli indiani». Nel frattempo la competizione fra le due flotte per proiettare le loro forze contro la pirateria somala ha illustrato ancora una volta questa nascente rivalità oceanica.
Alla questione marittima si aggiungono punti di frizione terrestri.
Il dispositivo generale delle armate indiane è organizzato in funzione delle controversie di frontiera. Il Kashmir, l'Alsazia-Lorena indiana, rimane il principale punto caldo a nord-ovest, al quale si unisce nella stessa zona il conflitto «congelato» che contrappone la Cina e l'India per il possesso dell'Aksai Chin (di cui una parte è stata data da Islamabad ai cinesi nel 1963). Il più importante dei comandi terrestri indiani, il Northern Command, gestisce proprio questa linea di frontiera.
Fra opzione terrestre, marittima, spaziale, l'opinione pubblica si appassiona Nel nord-est il conflitto con la Cina sull'Arunachal Pradesh è ancora irrisolto. Gli otto stati di questa regione, uniti alla penisola indiana dal corridoio di Siliguri (tra 21 e 40 chilometri di larghezza), sono al centro delle perpetue preoccupazioni degli stati maggiori di New Delhi. Una parte della zona è stata chiusa agli stranieri per quasi 40 anni. Qui le rivolte separatiste sono numerose e le culture maggioritarie sono radicalmente diverse da quelle della penisola.
Nella regione il Fronte unito di liberazione dell'Assam (Ulfa) continua a contestare le autorità indiane, che sospettano Pechino di aiutare i ribelli.
Più a sud, il Bangladesh, «cuneo» musulmano nel delta del Brahmaputra perennemente di fronte a una situazione demografica ed economica difficile, genera un flusso di immigrazione importante verso l'India.
Quest'ultima utilizza le forze armate (50 mila uomini) per frenare l'ondata migratoria e si è impegnata a costruire, malgrado le proteste internazionali, un muro di separazione (4 mila chilometri di filo spinato) per dissuadere qualunque trasferimento di massa della popolazione.
La sorveglianza è oggi rafforzata da droni di ricognizione. Malgrado l'aiuto decisivo dato nel 1971 dall'India al Bangladesh in occasione della sua separazione dal Pakistan «occidentale», questa situazione fa capire che non vi è mai stato un grande amore fra i due stati.
Chittagong, il principale porto del Bangladesh, accoglie ormai una base della marina cinese e Pechino non ha nascosto i suoi sforzi per riabilitare la parte militare delle installazioni portuali.
Insieme ai grandi spazi oceanici, questi punti di attrito terrestri formano il quadro generale della riflessione della difesa indiana.
L'opinione pubblica si appassiona a questi dibattiti. Così negli ultimi dieci anni è esploso il numero di riviste specializzate e di think tanks di difesa, dal Centre for Air Power Studies della Iaf allo Strategic Foresight Group o al South Asia Analysis Group dell'ex responsabile del controterrorismo indiano Bahukutumbi Raman, considerato un sostenitore di una linea di sicurezza dura sia all'esterno che all'interno. Il dibattito animato e spesso polemico comprende anche, come in tutti i paesi, le abituali dispute intestine fra i sostenitori dell'opzione terrestre, navale, aerea o spaziale.
Per confortare le loro idee, gli esperti analizzano con attenzione le precedenti esperienze operative indiane. Queste offrono alla riflessione strategica dei modelli di guerre convenzionali (campagna del Kashmir del 1947-48, guerre indocinesi del 1962 e indo-pachistana del 1965 e del 1971), di guerre «limitate» (operazioni dell'Onu in Congo nel 1961-1962), di operazioni di mantenimento della pace (Indian Peace Keeping Force - Ipkf - nello Sri Lanka nel 1987, operazione «Cactus» alle Maldive nel 1988) e di operazioni «miste» (guerra di Kargil, detta dei «ghiacciai» nel 1999 in Kashmir). Anche se culturalmente e tecnologicamente l'eredità storica e le difficoltà di frontiera favoriscono sempre un modello di divisione netta dei compiti, le forze armate indiane preferiscono giocare la carta dell'adattamento al tempo stesso tecnologico e tattico. Così l'aeronautica, posta di fronte all'insurrezione naxalita (18) dell'India centrale o ai movimenti separatisti del nord-est (19), studia da vicino le esperienze della campagna aerea del 2008 nello Sri Lanka, cercando metodi da applicare in campo contro-insurrezionale (coordinamento aria-terra, utilizzo di droni e così via). Le esercitazioni Hind Shakti dell'esercito nel maggio 2009 nel Punjab hanno a loro volta simulato un raid in Pakistan, sperimentando una forma più flessibile di Blitzkrieg ispirata dalle tattiche più audaci della scuola corazzata russa.
Queste esercitazioni hanno inoltre beneficiato di nuovo strumenti spaziali: nell'aprile 2009 l'India ha messo in orbita il satellite di osservazione Risat-2, di origine israeliana, destinato a sorvegliare la frontiera pachistana. Come Pechino - i generali indiani invidiano il «canale riservato» militare del sistema di georilevamento cinese Beidu - New Delhi cerca di capitalizzare i suoi progressi spaziali per trarre vantaggio dall'effetto di leva strategica della crescente militarizzazione dello spazio. L'obiettivo è rimanere al passo con Pechino.
Secondo i militari, questa strategia implica la necessità di investire in un dispositivo offensivo di difesa spaziale poiché «in un eventuale scenario di conflitto limitato, la Cina non esiterebbe ad accecare o a danneggiare questi satelliti di osservazione in modo selettivo per indebolire le capacità indiane, privandoci così di una conoscenza indispensabile del campo di battaglia», osserva il tenente colonnello Kaza Lalitendra della Iaf (20). A questi dibattiti interni sulle forme di combattimento ad alta e bassa intensità, dalla guerra in montagna fino al controllo spaziale, si aggiungono due dibattiti trasversali derivanti dagli obiettivi geopolitici della nuova India.
Il primo dibattito prende la forma del dilemma già evocato fra un modello difensivo incentrato sulle priorità di frontiera, e un modello più ambizioso di «proiezione di potenza» mondiale i cui sostenitori, pungolati dai progressi cinesi - in particolare in campo marittimo con la «collana di perle» - diventano sempre più numerosi negli stati maggiori. Questa dicotomia teorica è particolarmente marcata in marina, dove la divisione è molto forte tra chi, influenzato dalla scuola sovietica, considera la flotta come un semplice contributo all'equilibrio nucleare regionale, e chi invece, passato per le accademie americane, vorrebbe bloccare l'espansione cinese con una strategia oceanica navale più aggressiva (21).
Il secondo dibattito mira a persuadere il potere politico della fragilità dell'India multiculturale nei confronti del terrorismo. Prendendo spunto dagli attacchi islamisti di Bombay (174 morti il 26 novembre 2008), si chiede una migliore convergenza fra difesa e sicurezza (un modello di homeland security militarizzato). Per il ministro delle Finanze Pranab Mukherjee, che presentava il 7 luglio 2009 il nuovo bilancio dell'Unione, «gli attacchi terroristici di Mumbai hanno dato una dimensione completamente nuova al terrorismo di frontiera.
Una soglia è stata superata. Il nostro ambiente di sicurezza si è considerevolmente deteriorato». Questa tendenza è oggi dominante e il paese si appresta a spendere nei prossimi tre anni più di 10 miliardi di dollari in strumenti per rendere più sicure le frontiere (droni di sorveglianza, imbarcazioni leggere di intercettazione, passaporti biometrici, elicotteri da trasporto, armamenti per la guerriglia urbana)(22). Nel frattempo le forze speciali indiane dovrebbero aumentare di numero, e un riequilibrio si dovrebbe compiere fra le truppe di élite del ministero degli Interni e le unità militari a favore di queste ultime. L'obiettivo è la lotta al terrorismo e gli interventi urbani.
Al centro di questi dibattiti strategici e culturali vi è l'esercito indiano che, malgrado una sempre maggiore attenzione all'aspetto tecnologico, rimane comunque un pachiderma lento a trasformarsi.
Ci si chiede se la congiuntura finanziaria potrà influire sulle ambizioni militari di New Delhi. Il discorso ufficiale sembra escluderlo. Per Pradeep Kumar, responsabile della produzione militare prima di diventare ministro della difesa nel luglio 2009, «la modernizzazione delle forze armate indiane continuerà (...). La crisi finanziaria non avrà alcun effetto sul suo svolgimento» (23). Il paradigma di Nehru, «diplomazia morale» e non allineamento, è ormai vittima collaterale del realismo multipolare e sembra destinato a scomparire dalle priorità dei responsabili politici indiani.


note:
* Professore incaricato presso la Compagnia europea di intelligence strategica (Ceis).

(1) Nel maggio 1998 New Delhi ha compiuto un test nucleare, imitata pochi giorni dopo dal Pakistan.

(2) La «diplomazia morale», che caratterizzava la politica estera dell'India nei primi decenni dell'indipendenza, si basava sui principi della coesistenza pacifica e del non allineamento, rivelando il desiderio di Nehru di distinguersi dalla Realpolitik dei due blocchi denunciata come predatrice e aggressiva.

(3) Martine Bulard, «L'India ritrova il suo posto tra i grandi», Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 2007.

(4) Siddharth Varadarajan, «Stop supply of N-fuel to India, U.S.
tells Russia», The Sunday Times, Londra, 18 febbraio 2001.

(5) Christian Jaffrelot, «Inde: la puissance pour quoi faire?», Politique Internationale, Parigi, autunno 2006.

(6) Harsh V. Pant, «La montée en puissance de l'Inde et ses ambitions nucléaires», Défense nationale et sécurité collective, Parigi, luglio 2007.

(7) Gli specialisti della strategia nucleare cercano ancora una definizione soddisfacente su questo tipo di giudizio morale. Che cos'è una potenza nucleare responsabile? Quella che non rischia di utilizzare la bomba? In questo caso, fanno osservare alcuni, gli Stati uniti rappresentano forse una sottocategoria problematica.

(8) Nel 2007 e 2008 Israele è diventato in termini economici il primo fornitore di armi dell'India, spodestando la Russia, che lo era stata per 40 anni. Questa situazione è la conseguenza della natura dei prodotti israeliani ad alto valore aggiunto tecnologico (difesa antimissile, elettronica di bordo, sistemi di comunicazione, droni, satelliti).

(9) Cioè 21,3 miliardi di euro. L'anno contabile 2008-2009 aveva visto un aumento delle spese del 10%. L'India destina il 2% del suo Pil alla difesa (la Cina il 7%, il Pakistan il 5%).

(10) Il missile da crociera supersonico Brahmos (Brahmaputra-Moskowa) e, più teoricamente, l'aereo da combattimento Sukhoi/Halt-50 Fgfa, concepito per rispondere ai programmi americani F-35 e F-22.

(11) Cfr. «Le marché mondial des avions de combat», Défense et sécurité internationale, Parigi, numero speciale n. 8, giugno 2009.

(12) Jaswant Singh, Defending India, Palgrave MacMillan, Londra, febbraio 1999.

(13) Défense nationale et sécurité collective, luglio 2007, op. cit.

(14) Al contrario la Francia e l'Australia fanno parte dei 27 paesi invitati.

(15) Soprattutto lo Sri Lanka, che dovrebbe aprire alla marina cinese le installazioni portuali di Hambantota.

(16) Creata nel 1985, la Saarc riunisce Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. In seguito è entrato a farne parte anche l'Afghanistan, con il quale l'India intrattiene buone relazioni.

(17) Si legga «ÊActualité et réalité du «collier de perle»», in Monde Chinois, Parigi, estate 2009. Inoltre «La Cina porta in mare le sue ambizioni globali», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2008.

(18) Il naxalismo è un movimento rivoluzionario presente in quindici stati dell'India, che si batte per ottenere una riforma agraria.

(19) Cfr. Arjun Subramaniam, «The use of Air Power in Sri Lanka : operation Pawan and beyond», Air Power Journal, n.3, Center for Air Power Studies, New Delhi, luglio-settembre 2008.

(20) Kaza Lalitendra, «Dragon in Space: implications for India», Air Power Journal, op. cit.

(21) Cfr. Jean Alphonse Bernard, L'Inde et la pensée stratégique, Institut de Stratégie Comparée, Parigi, 1999.

(22) Vivek Raghuvanshi, «India plans homeland security buys worth $10 billion», Defense News, Springfield (Virginia), 31 dicembre 2008.

(23) Dichiarazioni del 2 febbraio 2009 in occasione del salone Aero India.
(Traduzione di A. D. R.)

http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Settembre-2009/pagina.php?cosa=0909lm06.01.html

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