mercoledì 16 settembre 2009

Essere migrante nell'anno della recessione

Gli effetti della crisi sul fenomeno migratorio globale in un rapporto del Migration policy institue

Meno partenze, meno rimesse, leggi più dure


Martino Mazzonis
La recessione che il mondo ha sperimentato nell'ultimo anno ha effetti ad ogni punto della scala sociale e in ogni angolo del mondo. Anche tra chi vive in villaggi lontani dalla finanza, da internet e dalle linee di comunicazione più trafficate. E per chi a questa gente manda miliardi di dollari l'anno in rimesse.
E' questo uno dei fenomeni individuati da Migration and the global recession ("Migrazioni e recessione globale"), lungo rapporto diffuso ieri dal Migration policy institute e commissionato dalla Bbc world service (quando si dice un servizio pubblico).
Se è vero che il mondo è diventato più piccolo, è altrettanto vero che questo si è molto diversificato e che gli effetti della crisi sulla popolazione migrante e sui flussi migratori cambiano a seconda del Paese di origine, di quello di arrivo e della legislazione vigente. Secondo l'Onu, il 2005 è stato l'anno in cui le migrazioni globali hanno raggiunto il loro massimo. Nell'anno appena passato, la situazione è più complicata. Il repporto del Mpi fa alcuni esempi. In Spagna e Regno Unito il numero di ingressi è calato in maniera drastica e molti lavoratori est-europei, che hanno diritto a muoversi all'interno dell'Ue, sono tornati a casa, dove reggono meglio l'eventuale disoccupazione - in Spagna il ritorno a casa vale anche per le persone provenienti dal Marocco, con il quale Madrid ha un accordo. Un esempio clamoroso è quello delle domande di ingresso in Gran Bretagna, che negli ultimi due trimestri del 2006 erano più di 120mila e nei primi due del 2009 erano poco più di 40mila.
Le storie di persone che vanno e vengono sono normali - e questo è un enorme cambiamento con la fase delle grandi migrazioni del '900. Migliaia di emigrati con alto titolo di studio cinesi e indiani tornano a casa, mentre, ricorda il rapporto, del milione e 300mila est europei passati per la Gran Bretagna a lavorare, ben 800mila sono tornati a casa. Tra l'89 e oggi molte cose sono cambiate nell'est europeo e per tanti l'esperienza migratoria è stata una fase della vita, non un cambiamento definitivo. Del resto, se non si è africani sub-sahariani diretti in Europa, per andare e tornare dall'America o dall'Europa, basta un biglietto aereo, non uno di terza classe su un bastimento. Anche i contatti con la propria terra di origine sono più facili e così è più semplice capire se e quando è ora - o è possibile - tornare a casa.
Durante una recessione, lo sviluppo del Paese di origine è un altro dei fattori che cambia tutto. La recessione ha infatti determinato un calo piuttosto significativo nell'emigrazione dall'India verso gli stati petroliferi del Golfo e dei messicani verso gli Stati Uniti (meno 40 per cento). Da una parte c'è la diminuzione della domanda di manodopera a basso costo per i lavori più duri, dall'altra lo sviluppo di due Paesi emergenti rende più facile l'opzione "rimanere a casa" quando il futuro all'estero non è promettente.
L'esempio opposto sono le FIlippine, da dove il flusso migratorio non si interrompe: nel 2008 sono partite quasi un milione e 200mila persone. Per Paesi come l'arcipelago asiatico, la cui economia è sostenuta in maniera determinante dalle rimesse, il 2009 è stato un anno duro. Per coloro che lavorano spesso in edilizia, nella ristorazione, nelle pulizie e nei servizi alla persona, l'effetto della recessione è stato pesante. Il calo delle rimesse in Moldavia è del 37 per cento. Una tragedia per un Paese che si regge per un terzo dell'economia, sui soldi spediti a casa dai lavoratori partiti per l'Europa. Per qualcuno, i soldi spediti a casa continuano ad aumentare anche quest'anno. Non basta il settore di inserimento lavorativo a spiegare il crollo delle rimesse, anche il Paese di arrivo è importante. Gli unici quattro Paesi verso cui il flusso non è calato sono Pakistan, Bangladesh, Capo Verde e Filippine e, la maggior parte dei quattrini arrivano da India e Arabia Saudita. Per chi è emigrato verso Europa e Stati Uniti (dall'est e dal Centroamerica), le cose sono andate molto peggio.
La recessione ha avuto un altro effetto importante. Va dato atto - per modo di dire - al governo italiano di non essere stato l'unico ad aver dato una stretta, il rapporto cita Paesi molto diversi tra loro che in varie forme hanno cercato di ridurre i flussi migratori: dalla Tanzania, al Kazakistan, dalla Russia, alla Corea del Sud, alla Tailandia.
Caso a parte lo fa la Cina, che con i suoi 140 milioni di migranti interni, vive un fenomeno speciale. Anche nel gigante asiatico gli effetti della crisi si sono fatti sentire: la vacanza del Capodanno cinese è il momento in cui tutti tornano nelle campagne per festeggiare. Quest'anno, molti sono rimasti a casa.

Liberazione 09/09/2009, pag 7

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