mercoledì 16 settembre 2009

L'accordo fra Roma e Tripoli e la diplomazia degli affari

Il Cavaliere erede del "pragmatismo" di Craxi

L'accordo di "Amicizia" fra Italia e Jamahiryya, entrato in vigore con l'attuale governo, è in realtà il frutto di un lungo percorso diplomatico, una relazione con il regime libico mai interrottasi, anche durante gli anni dell'embargo, mantenuta dal pragmatismo di Andreotti prima e di Bettino Craxi poi, e fatta anche di scambi economici e finanziari. Ma il nesso stretto fra accordi economici e militari con il "contrasto all'immigrazione clandestina" inizia con il governo Dini. Spesso si tratta di decisioni informali, prese fra i rispettivi capi della Polizia e dei ministeri dell'interno, mai rese pubbliche, mai controfirmate in Parlamento. Il regime libico da sempre ha rivendicato il diritto al risarcimento dei danni causati dal colonialismo italiano, brandendo da una parte l'opportunità di un prezzo agevolato per gli idrocarburi nonché commesse per le grandi imprese italiane in grado di realizzare le opere infrastrutturali di cui la Libia necessita, dall'altra il ricatto di decine di migliaia di richiedenti asilo, profughi, migranti economici, che dalle coste del paese africano potrebbero essere spinte verso l'Italia.
Un cinismo che ha pagato: l'accordo di "Amicizia, partenariato e cooperazione" si ispira alla reciproca volontà di "costruire pace nel Mediterraneo" ed è suddiviso in 23 articoli che individuano le politiche generali. Nei primi si richiama al rispetto della legalità internazionale (sic), all' "Eguaglianza sovrana" (rispetto reciproco) all'affermazione che nessuna delle due parti stipulanti utilizzerà mai la forza contro l'altra per risolvere eventuali controversie. Tale articolo ha creato non pochi problemi nell'alleanza Nato in cui non è forte la fiducia verso Gheddafi.
Ci si impegna poi a non interferire negli affari interni reciproci, spuntando così qualsiasi spazio diplomatico per poter intervenire per il rispetto dei diritti umani, soprattutto verso migranti e profughi detenuti. Le parti poi, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, (ovviamente la Libia non è chiamata a ratificare la Convenzione di Ginevra). Il Capitolo di "Chiusura del passato e dei contenziosi" poggia su un impegno finanziario italiano per 5 miliardi di dollari da erogare in 20 anni. Risorse per infrastrutture - il sogno della grande autostrada da Tunisi a Il Cairo - che verranno realizzate da aziende italiane. I fondi per la loro messa in essere verranno gestiti dalle aziende italiane che avranno a disposizione terreni, materiali, procedure doganali agevolate, energia elettrica e idrica a basso costo. Viene costruita a proposito una commissione mista incaricata di vagliare i lavori e comitati misti per definire programmi speciali come borse di studio in Italia, cure per i feriti da mine coloniali, la restituzione dei beni sottratti durante il colonialismo, la realizzazione di unità abitative.
In cambio è restituita ai cittadini italiani espulsi nel 1970 la possibilità di avere un visto di ingresso per la Libia. Un'altra struttura apposita, legata ai rispettivi ministeri degli affari esteri sarà il Comitato di partenariato che, attraverso continue consultazioni politiche dovrebbe dare prospettive di lungo termine agli accordi. Dall'articolo 16 si cominciano a definire gli ambiti di cooperazione: scientifica, culturale, economica e industriale, energetica - su questi ultimi si giocano gran parte degli interessi italiani - e la «collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina».
In un unico articolo (19) sono riunite, nello stesso ordine degli accordi con il governo Dini, le emergenze comuni, con in più l'impegno italiano a provvedere con il 50% dei costi (il resto spetterà all'Ue) al controllo elettronico delle frontiere terrestri libiche. Sono inoltre previste iniziative bilaterali verso i paesi di provenienza dei migranti per scoraggiare gli ingressi. La collaborazione nel settore militare - scambio di missioni di esperti, istruttori e tecnici, informazioni militari - viene posta sullo stesso piano delle iniziative di collaborazione nel settore della non proliferazione e del disarmo.
Un testo apparentemente innocente ma che se da una parte porta ad ammettere i crimini coloniali, dall'altro definisce bene la centralità della diplomazia degli affari. I 5 miliardi di dollari di indennizzo ricadranno sulle bollette energetiche mentre aziende italiane avranno la possibilità di accrescere i profitti. L'importante sarà voltare lo sguardo dall'altra parte quando da qualche carcere o centro di detenzione libico si sentiranno le urla di chi paga con la propria vita questo straordinario business per pochi.
S.G.

Liberazione 30/08/2009, pag 3

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