mercoledì 16 settembre 2009

"Lebanon", l'opera prima di Samuel Maoz

"Lebanon", l'opera prima di Samuel Maoz sulla guerra del 1982
Un'ora e mezza dentro a un carro armato israeliano in azione

Davide Turrini
Venezia
«L'uomo è d'acciaio, il carro armato è solo ferraglia». E' scritto sulla parete di un carro armato israeliano usato nell'82 per entrare in territorio libanese e in poche ore fare tabula rasa di abitazioni ed esseri umani. Shmulik, Assi, Hertzel e Yigal sono i quattro carristi che devono portare a compimento la missione. Ma dentro alla pancia del carro armato fa un caldo bestiale. Si suda, ci si assorda, ci si squaglia corpo e cervello, si trema. Il quarantasettenne regista Samuel Maoz fa rivivere con Lebanon , ieri in Concorso a Venezia 66, la sporca guerra che ha vissuto in prima persona dentro a quel tank. Alle sei e quindici del sei giugno 1982 Maoz ha ucciso un uomo puntando il mirino e premendo il tremolante tasto del fuoco. «Non lo feci per scelta, né perché mi era stato ordinato - ha affermato - fu un'istintiva reazione di autodifesa, dettata solo dal primordiale istinto di sopravvivenza». E il film è il racconto verosimile di quella concitata mattinata con la macchina da presa installata all'interno del cingolato e per un'ora e mezza mai spostata al di fuori. Le uniche inquadrature possibili del film sono i primi piani, dei quattro soldati. Oppure la trovata da videogame dell'obiettivo nel mirino, movimento di macchina avvolto dal fastidioso clangore della ferraglia, da metà film in avanti perfino lente crepata a seguito di un razzo lanciato contro il carro armato. Una rigidissima e singhiozzante via di fuga per l'occhio fatta di dettagli macabri e sanguinolenti (cadaveri straziati di animali e uomini, moncherini, frattaglie, macerie di case), unica possibile e imposta veduta dell'orrore della guerra. I soldati perdono subito il controllo, accecati dai rivoli di sudore, dal sangue schizzato dei compagni feriti, dall'acqua e dal vapore condensati dentro all'autoblindo. «Volevo mostrare quanto sanguinano le anime dei quattro soldati - ha dichiarato Maoz - l'esperienza di guerra gli spettatori pensano di capirla, ma non si può spiegare. Ecco perché non ho raccontato agli attori la sensazione claustrofobica e di soffocamento che si vive dentro un carro armato. Li ho invece rinchiusi in un container buio e torrido percuotendo le pareti del container con sbarre di ferro, lasciandoli bollire lì dentro per ore». Lebanon è anche una dichiarazione lampante delle nefandezze compiute dell'esercito israeliano in Libano come la strage di Shabra e Shatila, grazie all'appoggio e all'esecuzione materiale degli alleati falangisti cristiani e alle bombe al fosforo: «Quei soldati non hanno il tempo di pensare, di rispondere alla domanda se la guerra è giusta o meno: domina solo l'istinto di sopravvivenza che supera la morale e lacera la coscienza». Un'autobiografia sofferta e a lungo rimandata, che ricorda molto il processo creativo del recente Valzer con Bashir : «Mi ero già cimentato prima con il contenuto, ma ogni volta che iniziavo a scrivere, l'odore della carne umana carbonizzata riaffiorava nelle mie narici e mi impediva di continuare. Questa breve esperienza di scrittura è stata per me come un elettroshock, una scossa che mi ha risvegliato da una lunga ibernazione e ha resettato tutti i miei interruttori».

09/09/2009, pag 12

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