sabato 14 febbraio 2009

Alla Innse di Milano, per il lavoro e la dignità operaia

Claudio Bellotti*
Franco Calamida**
Il 31 gennaio, fra poche ore, a meno di ulteriori proroghe scadrà l'ennesimo ultimatum contro i lavoratori della Innse presse di Milano: si intima di sgomberare il presidio organizzato dai 49 lavoratori che da nove mesi difendono caparbiamente il proprio posto di lavoro, il patrimonio produttivo e professionale rappresentato dalla fabbrica.
Dal 31 maggio scorso presidiano la fabbrica; hanno mandato avanti la produzione da soli per quasi tre mesi, garantendo produzione e commesse e dimostrando che la fabbrica è viva; hanno organizzato una lotta esemplare, una presenza costante con una autentica autorganizzazione che è stata in grado di diventare un punto di riferimento importante per tutti coloro che si trovano ad affrontare le conseguenze di questa crisi devastante. Avrebbero persino un possibile acquirente e delle commesse per lavorare.
E invece no: la "logica" di questo sistema dice che si deve usare la "forza pubblica" per impedire di lavorare a chi vorrebbe e potrebbe farlo; dice che si deve gettare al vento un capitale umano e tecnico in nome dell'ennesima speculazione edilizia, merce evidentemente troppo rara nella Milano che prepara l'Expo!
Dice che ha ragione un padrone che ha ricevuto una fabbrica efficiente quasi in regalo e la vuole smantellare, e ha torto chi in quella fabbrica ci ha passato la vita e vorrebbe vederla continuare a produrre.
La storia degli operai della Innse parla a tutti i lavoratori che oggi si trovano di fronte alla cassa integrazione, ai licenziamenti, alle chiusure e alle delocalizzazioni aziendali.
Per questo pensiamo che non solo si debba stare al loro fianco come è già avvenuto e se possibile ancora di più, ma che si debba anche aprire una riflessione sul significato profondo di questa vicenda per noi, Partito della rifondazione comunista, per il sindacato e per tutti coloro che non intendono rassegnarsi alla logica della crisi capitalista.
Ancora in questi giorni si parla di massicci aiuti alle aziende. Nel mondo e in Italia è una corsa a chi propone di mettere più quattrini sul piatto delle banche, delle finanziarie, delle assicurazioni e anche di quei gruppi industriali che pure hanno fatto le loro fortune (e che fortune!) sul sostegno della mano pubblica, tra incentivi, rottamazioni, ammortizzatori sociali, sostegni diretti e indiretti e che oggi, dopo anni di superprofitti (dove sono finiti?) ci dicono che non c'è più denaro in cassa.
Alla Innse, come detto, ci sarebbe il lavoro e forse persino un imprenditore disposto a riprendere la produzione. In ogni caso riteniamo decisivo tenere un punto fermo: difendere i lavoratori della Innse significa difendere la continuità produttiva, l'esistenza non solo della fabbrica, ma anche di quella soggettività che ha dimostrato non con le chiacchiere, ma con una lotta tenace e faticosa, chi difende il lavoro e chi no, vale a dire i lavoratori stessi, il loro collettivo che rifiuta di disperdersi e che forse per la proprietà, per gli speculatori e per le forze politiche che governano questo territorio è una fonte di fastidio e preoccupazione più grande ancora della necessità di "valorizzare" speculativamente l'area che si vorrebbe dismessa.
Gli operai Innse ci hanno dimostrato nella pratica ciò che da anni ci ripete il movimento latinoamericano delle fabbriche sotto controllo operaio: "un'azienda può funzionare senza un padrone, ma non può funzionare senza i lavoratori!"
La lezione è per tutti noi, guai se non la ascoltiamo.
*segreteria nazionale Prc
**responsabile lavoro federazione di Milano

Liberazione 30/01/2009, pag 19

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