martedì 17 febbraio 2009

La seconda gioventù del nucleare tra propaganda e false speranze

In Europa e nel mondo i governi riscoprono l'atomo. Il caso della Svezia

Matteo Alviti
Berlino
Tutti ne parlano, tutti lo vogliono. La rinascita del nucleare in Europa e nel mondo, a sentire gli annunci di molti governi, sembra cosa fatta. Per ultima proprio la Svezia, che avrebbe dovuto abbandonare l'energia atomica nel 2010, ha annunciato giovedì il prolungamento del nucleare a data da destinarsi. In effetti, se si guarda ai paesi Ocse, ci sono diversi nuovi impianti attualmente in fase di progettazione o di costruzione. Sarkozy ha annunciato la realizzazione di un secondo reattore a Penly, nel nord del paese, che dovrebbe essere in rete nel 2017, e di un nuovo impianto in Normandia. La Gran Bretagna di Brown ha intenzione di far costruire otto nuovi reattori. Neppure Obama esclude il nucleare per gli Usa, pur non intendendo sovvenzionare la costruzione di nuove centrali con soldi pubblici. In Italia il governo Berlusconi, che sogna di coprire il 25% del fabbisogno energetico con il nucleare, sta procedendo sulla sua strada con il disegno di legge Sviluppo, già passato alla camera e in via di approvazione al Senato. Il ministro Scajola punta ad arrivare alla posa della prima pietra di una nuova rete di centrali entro la fine della legislatura.
Ancora più preoccupante la situazione se si guarda fuori dall'Ocse. La Russia pianifica la costruzione di almeno dieci centrali nel paese. L'India ha appena acquistato sei reattori per sviluppare il nucleare civile dalla francese Areva, impresa che sta già costruendo in Finlandia e ha progetti per Gran Bretagna, Usa, Sudafrica e Cina. Pechino vuole aumentare la produzione di elettricità da fonte nucleare dagli attuali nove a settanta gigawatt entro il 2020 e nei prossimi tre anni dovrebbe iniziare la costruzione di otto nuove centrali.
Tornando a Stoccolma, l'infelice decisione del governo di centro-destra prolunga la vita del nucleare nazionale attraverso la sostituzione dei vecchi reattori con nuovi modelli, in grado di produrre circa il doppio dell'energia rispetto ai livelli attuali. E stravolge trent'anni di storia. Era infatti il 1980 - sei anni prima di Cernobyl e sette anni prima del "no" al nucleare in Italia - quando gli svedesi, in un referendum, decisero lo spegnimento delle centrali. Solo l'Austria aveva votato prima, nel 1978. Finora effettivamente solo una centrale era stata chiusa, mentre la vita degli altri dieci reattori - che producono circa la metà del fabbisogno elettrico nazionale - era stata prolungata e la capacità di produrre energia elettrica aumentata. Ci vorranno comunque almeno 13 anni prima che il primo nuovo reattore entri a regime.
L'«accordo storico», come l'ha definito il premier Reinfeldt, frutto di una mediazione tra partito di centro e democristiani, fa parte di un pacchetto di misure per la difesa del clima e prevede anche il potenziamento dell'eolico e la riduzione delle emissioni del 40% entro il 2020, anno in cui la Svezia dovrebbe diventare indipendente dal petrolio. Reinfeldt si augura che il suo paese sia d'esempio per il mondo intero. E l'augurio del premier dovrebbe far suonare un campanello d'allarme. La Svezia avrà la presidenza di turno dell'Ue nella seconda metà del 2009 e a dicembre si terrà, a Copenhagen, la conferenza internazionale che deciderà del dopo Kyoto. Solo tre giorni fa il parlamento europeo ha licenziato un «piano per il clima», sulla strada di Copenhagen, secondo cui ogni paese potrà puntare al rispetto del limite di emissioni con il mix energetico che preferisce, nucleare compreso. In Germania gli antinuclearisti guardano con preoccupazione alla legge varata nel 2002 dall'ex governo rosso-verde di Schröder, che prevede l'uscita dal nucleare entro il 2021. La Svezia era stata un modello per la Germania in fatto di dismissione degli impianti. E oggi il modello è cambiato. Se il centro destra dovesse vincere le prossime elezioni a settembre la vita delle centrali tedesche sarà prolungata fino al 2030.
A metterle tutte in fila, le scuse dei governi e dei lobbisti per la seconda giovinezza del nucleare, fanno una certa impressione. La crescita dei prezzi di gas e petrolio, ora interrotta ma destinata a tornare; l'indipendenza politico-economica dai paesi che controllano quelle materie prime (ricordate la crisi del gas? ); il surriscaldamento globale dovuto alle emissioni di Co2. Dall'altra parte ci sono le ragioni degli antinuclearisti: la costruzione di nuovi impianti richiede tempi lunghi e ingenti risorse, che potrebbero essere impiegate per accelerare i progressi della ricerca nel campo delle energie alternative. E poi anche il nucleare vuole le sue materie prime, uranio, torio o plutonio. C'è il problema dello smaltimento delle scorie e quello della sicurezza, secondo alcuni impossibile da risolvere.

Liberazione 07/02/2009, pag 11

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