martedì 17 febbraio 2009

DIECI ANNI DI HUGO CHÁVEZ IN VENEZUELA, TEMPO DI BILANCI

GiustificaGennaro Carotenuto
(03 febbraio 2009)

Ha dimezzato la povertà e la disoccupazione in uno dei paesi più ricchi e ingiusti del mondo. Una straordinaria sollevazione popolare lo ha fatto sopravvivere ad un colpo di Stato organizzato da George Bush, da José María Aznar e dal Fondo Monetario Internazionale. Ha costruito un sistema mediatico equilibrato laddove aveva voce solo il “pensiero unico”, è stato il primo capo di stato a dire che il neoliberismo era un crimine e aveva fallito ed è stato uno dei padri dell’integrazione latinoamericana. Adesso, finita la bonanza degli alti prezzi del petrolio riuscirà a mantenere la promessa di un Socialismo del XXI secolo?
C’è un dato che non può essere eluso quando si parla di bilanci per i dieci anni di governo di Hugo Chávez. Secondo il CEPAL, l’istituto di studi economici delle Nazioni Unite, l’azione del suo governo ha portato al crollo degli indici di povertà dal 50 al 30% e quelli di indigenza dal 21.7 al 9.9%. Che piaccia o no a chi parla di regime, di caudillo e trama da anni per rovesciarlo con ogni mezzo antidemocratico, oggi milioni di venezuelani ridotti alla disperazione dal sistema neoliberale della IV Repubblica, hanno ritrovato speranza e dignità.
E’ stato costruito da zero o quasi un sistema di salute pubblica che oggi conta (i dati citati sono sempre della Nazioni Unite, CEPAL o UNESCO) 4.500 tra ambulatori, pronti soccorsi e centri ospedalieri che hanno permesso dal 2003 ad oggi la più grande riduzione al mondo della mortalità infantile. Dal 2005 l’UNESCO ha dichiarato il Venezuela libero dall’analfabetismo, il 96% dei venezuelani ha oramai accesso all’acqua potabile. La disoccupazione, esattamente dimezzata, è oggi al 7%. Ma se nel resto del continente questi anni di grande crescita economica si sono caratterizzati per crescita del lavoro informale, in Venezuela i posti di lavoro creati sono soprattutto formali, legali, nei servizi, nei trasporti, nel settore commerciale e bancario.
A questi dati che danno la misura dello sforzo di un ricchissimo paese del terzo mondo se ne aggiungono altri che possono fare invidia anche a paesi del primo mondo. La ricerca scientifica, che quando governavano i partiti che "El País" di Madrid considera democratici era quasi a zero, oggi è in percentuale quasi il triplo di quella italiana. Il debito pubblico è passato dal 73 al 15% del PIL e le riserve internazionali sono triplicate. Al momento del colpo di Stato dell’11 aprile 2002, il 100% dell’informazione apparteneva a media commerciali dell’opposizione. Ancora oggi l’opposizione ha la maggioranza dei media, ma forme di pluralismo sono garantite perfino al governo popolare sopravvissuto a quello che è stato definito il primo colpo di Stato mediatico della storia. La corruzione infine non è certo scomparsa in Venezuela con il governo bolivariano, ma è bastato che una parte dell’enorme fiume di denaro in tangenti che prendeva la via delle Bahamas fosse destinato al popolo che il paese rinascesse.
Dati così positivi che nessun analista in buona fede può ignorare sono stati possibili per il coniugarsi di due fattori fondamentali. Da una parte c’è stato un netto spostamento di egemonia politica dalle classi alte a quelle popolari. L’esplosione della partecipazione politica di queste ha prodotto il movimento bolivariano, non viceversa. Questo, una volta arrivato al governo con Hugo Chávez, ha potuto beneficiare di una lunga stagione di bonanza petrolifera con i prezzi del greggio, la principale risorsa del paese da sempre, ai livelli più alti dagli anni ’70. In questo contesto lo spostamento di egemonia verso le classi popolari ha permesso la costruzione di uno stato sociale importante e di politiche integrazioniste nella regione.
Se a dieci anni dall’inizio del governo bolivariano i risultati positivi non possono essere messi in discussione vanno valutati anche aspetti negativi del processo e le lentezze nel cambiamento. Al primo posto vi è senz’altro il sostanziale non intaccamento della schiavitù da monocultura. Il paese continua ad essere troppo dipendente dal petrolio. Se è evidente che qualunque altra attività economica è meno redditizia di quella petrolifera è altrettanto evidente che la diversificazione dell’economia è una battaglia che è lontanissima dall’essere vinta. Ciò fa sì che il Venezuela continui ad essere un importatore netto della maggior parte dei beni di consumo, alimenti compresi. Inoltre, nonostante la crescita del narcotraffico non sia paragonabile con quella di paesi come la Colombia o soprattutto il Messico, la diminuzione della povertà e la creazione di posti di lavoro non hanno visto diminuire la violenza e la criminalità. Il Venezuela continua ad essere un paese violentissimo e la polizia e il potere giudiziario continuano ad essere parte del problema e non della soluzione. Inoltre il chavismo in dieci anni ha solo parzialmente risolto il problema del partito, il PSUV, Partito Socialista Unitario del Venezuela, il luogo della burocrazia dove spesso si alligna il carrierismo e la corruzione. Questo dal 2007 ha relativamente dato risposta al problema della frammentazione ma i movimenti sociali, la spina dorsale del chavismo, in questi anni non si sono mai fidati veramente del livello politico per far riferimento al presidente, il che è una risposta al problema, ma non un bene.
Luci, molte luci, alcune delle quali strutturali, e qualche ombra, alcune delle quali restano come debito storico forse per altre stagioni politiche. La domanda per il prossimo decennio è: saprà la rivoluzione bolivariana sopravvivere e consolidarsi all’attuale stagione di basso prezzo del petrolio? Saprà far uscire il paese dal sottosviluppo o dello stato sociale resterà il clientelismo e l’assistenzialismo? Saprà continuare a dare impulso al Socialismo del XXI secolo e all’integrazione regionale? Di sicuro la grande onda degli anni 2002-2007, della grande avanzata è alle spalle. Il 15 febbraio un referendum stabilirà se il presidente Chávez potrà candidarsi alle prossime elezioni. Quel giorno si misurerà quanto i venezuelani, molti dei quali devono al governo il transitare dalla povertà verso la classe media, ci credono ancora.

fonte www.gennarocarotenuto.it

Nessun commento: