mercoledì 18 febbraio 2009

L'Italia torna crocevia del traffico d'armi

Un'inchiesta a Perugia getta luce sui nuovi sistemi criminali

Redazione di altraeconomia
L'Italia sembra essere tornata un crocevia del traffico internazionale di armi, come negli anni 80: la posizione geografica e la presenza diffusa di criminalità anche organizzata favorisce l'attività di gruppi, anche piccoli. Una vicenda più di tutte però aiuta a comprendere i rinnovati meccanismi del traffico di armamenti sul suolo italiano. E' quella messa in luce dall'inchiesta della Procura di Perugia, diretta dal sostituto procuratore Carlo Razzi, che ha visto il rinvio a giudizio di 5 persone, già arrestate all'inizio del 2007.
Il procedimento ora è alla vigilia della fase dibattimentale e si riferisce a fatti avvenuti nel 2006. La dimensione della compravendita al centro della vicenda fa impressione: oltre 500mila mitragliatori automatici e più di 10 milioni di munizioni (prodotti in Cina) dovevano prendere la volta della Libia. La fornitura finale avrebbe raggiunto il valore complessivo di circa 41 milioni di dollari. Ma l'affare avrebbe avuto poi un ricarico del 60% versato agli italiani come commissione. Valore finale dell'operazione: 65 milioni di dollari. Ma a che cosa dovevano servire tutte queste armi? Probabilmente, vista la tipologia antiquata e il sovradimensionamento rispetto ai numeri dell'esercito libico, avrebbero preso altre vie, andando a foraggiare conflitti africani. Un metodo semplice ed efficace che avrebbe infatti spinto il gruppo a cercare diverse commesse (elicotteri, visori notturni) in altre parti del mondo. Gli investigatori hanno intercettato numerose comunicazioni concernenti la Lituania, la Russia, la Repubblica Ceca, il Congo, Israele, la Turchia, la Cina, la Francia, lo Sri Lanka. Di particolare rilievo risulta la trattativa per una commessa di 50.000 fucili Akm, 50.000 fucili Akms e 5.000 mitragliatrici Pkm di fabbricazione russa con un intermediario bulgaro da fornire all'Iraq tramite un sedicente rappresentante del governo irakeno. Un affare da 40 milioni di dollari di cui le autorità irachene e il comando Usa a Baghdad non erano ovviamente a conoscenza.
L'interesse di questa vicenda sta anche nei flussi finanziari legati alla compravendita di armi. I proventi e le tangenti legate agli affari che il gruppo di faccendieri cercava di mettere in piedi sono ovviamente stati oggetto di tentativi di occultamento, ma con meno accortezza quando si è trattato delle tangenti ai referenti libici. I bonifici avrebbero avuto quasi sempre origine da banche maltesi legate alle società già citate, ma spesso sarebbero stati indirizzati su conti di banche italiane di prestanome libici oppure su conti di familiari degli indagati.

Liberazione 01/02/2009, pag 11

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