venerdì 3 luglio 2009

Banche armate, guerre infinite

I fondi comuni dei più grandi istituti

Pubblichiamo l'inchiesta "Unicredit, Intesa e Ubi Banca, le retine dei fondi armati" che il mensile Valori pubblicherà nel numero di giugno e che ci ha gentilmente concesso in anteprima.

Mauro Meggiolaro,
Pilo Bonaiuti e Matteo Cavallito*
E'una delle banche quotate più socialmente responsabili in italia (secondo i punteggi delle società di rating etico). Alla fine del 2007 ha approvato le nuove linee guida di gruppo per l'operatività nel settore degli armamenti, "in linea con l'orientamento etico proprio dell'istituto" e in collaborazione con Ongdi grande esperienza come Rete Disarmo, Mani Tese e Crbm. Stiamo parlando di Ubi, il quarto gruppo bancario italiano. Ma le migliori linee guida «hanno ben poco valore pratico se non vengono attuate in maniera rigorosa e puntuale», commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo. E non basta applicarle all'import-export di armamenti (regolato dalla legge 185/90). Si può finanziare la produzione di armi anche indirettamente, acquistando azioni di imprese che le producono, attraverso i fondi comuni venduti alla clientela. Ubi lo fa. E non è la sola. Valori lo ha scoperto, grazie a una ricerca condotta sui rendiconti annuali delle prime cinque società di gestione del risparmio (sgr) italiane: Eurizon (Gruppo Intesa Sanpaolo), Pioneer (Unicredit), Ubi Pramerica (Ubi Banca), Arca Sgr (controllata da un gruppo di banche popolari) e Montepaschi Asset Management. La ricerca si è concentrata sui titoli delle società che, in base ai dati messi a disposizione dall'agenzia di rating etici Eiris (www.eiris.org) e da una serie di Ong come Landmine Monitor, producono armi "controverse" (vedi ).

Portafogli sotto esame: da Ubi...
Basta scorrere la lista dei primi 50 titoli presenti nei portafogli dei fondi Eurizon, Pramerica, Arca, ecc. per trovare dati interessanti. Prendiamo, per esempio, il fondo Ubi Pramerica Portafoglio Aggressivo. A pagina 369 del Rendiconto al 30 dicembre 2008 (scaricabile on line dal sito di Ubi, www.ubibanca.it) scopriamo che il fondo investe un milione di euro in armi "controverse" grazie alle partecipazioni in Lockheed Martin (mine antiuomo, cluster e armi nucleari), Bae Systems e Boeing (armi nucleari). Chi, invece, ha messo i suoi soldi nel fondo Obbligazioni Globali Alto rendimento, sempre di Ubi, ha contribuito a sostenere, con 1,34 milioni di euro totali, la società americana L-3 Communications che produce anche le famigerate bombe a grappolo (cluster): ordigni lanciati da aerei, elicotteri o dall'artiglieria di terra, che si aprono e rilasciano centinaia di sub-munizioni: bombe più piccole, granate, mine, agenti chimici, che si disperdono in aree molto vaste. Le munizioni dovrebbero esplodere una volta raggiunti gli obiettivi. In realtà molte rimangono inesplose (dal 5% al 30% del totale) creando veri campi minati. In base alla nostra ricerca, Ubi Pramerica investe un totale di 9,7 milioni di euro in società che producono armi controverse, ad alto potenziale distruttivo. Se si includono anche Siemens e Daimler, che producono componenti per bombe cluster e armi nucleari si arriva a 38,73 milioni.

...a Intesa Sanpaolo
Ma Ubi non è sola. A farle compagnia c'è il Gruppo Intesa Sanpaolo, lo stesso che, nel luglio del 2007, ha deciso di sospendere definitivamente "la partecipazione ad operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d'arma, pur consentite dalla legge 185/90". Anche a Intesa l'investimento in azioni dei produttori di armi deve essere sfuggita. Dal rendiconto annuale di Eurizon (la principale società di gestione del Gruppo) si apprende per esempio che il fondo azionario Eurizon Europa ha investito 8 milioni di euro nel colosso degli armamenti Bae Systems, coinvolta nella produzione di armi nucleari e bombe a grappolo.

La maglia nera a Unicredit
Ma la peggiore della classe tra le società di gestione è Pioneer, del Gruppo Unicredit, che investe oltre 805,82 milioni di euro in imprese coinvolte nella produzione di armi controverse (240,26 milioni se escludiamo Siemens e Daimler e consideriamo solo i produttori di armi in senso stretto). Nei fondi registrati in Lussemburgo si trovano gli investimenti maggiori. European Research alla fine del 2007 (ultimi dati disponibili), investiva ben 39 milioni di euro in Bae Systems, mentre European Small Companies puntava oltre 21 milioni su Rheinmetall, un'impresa tedesca coinvolta nella produzione di cluster bomb. Chi non manca mai nei portafogli dei fondi italiani è però il colosso tricolore delle armi (a partecipazione statale) Finmeccanica. Le prime 5 Sgr italiane ci investono complessivamente 58 milioni di euro. L'orgoglio dell'industria nazionale, esempio magistrale di riconversione al contrario (dal civile al bellico) è accusato di produrre componenti per armi nucleari. Motivo per cui il Fondo sovrano del governo norvegese ha venduto tutto le azioni Finmeccanica nel 2005. E se cominciassero a pensarci anche Unicredit, Intesa e Ubi?.
*rivista "Valori"

Liberazione 03/06/2009, pagina 3

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